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Confini / Limes

I confini sono una creazione moderna: nei tempi antichi il Limes era presidiato, ma in maniera meno burocratica di adesso. Indicava piuttosto la fine del territorio dove era esercitato il potere dello Stato, magari lì affidato ai legionari con famiglia o delegato alle comunità locali romanizzate. Al di là del Limes non c’era il contatto immediato con un altro impero, ma piuttosto un continuo attrito di frontiera in vaste aree incolte ancora prive di governo o abitate da nomadi. Nel  lessico romano dopo l’ager venivano il campus e infine la silva, ovvero: campi coltivati, terreni forse colonizzabili e zone selvagge. Anche se in ampie aree del pianeta il controllo statuale è spesso solo formale per mancanza di strutture o semplicemente di popolazione, oggi una zona senza stato è solo la conseguenza di un collasso politico (come in Libia), il concetto di confine essendo organico allo stato nazionale. Almeno in Europa i confini sono diciamo razionali: le Alpi dividono le popolazioni italiane da quelle francesi, tedesche e slave; i Pirenei sono lo spartiacque tra francesi e spagnoli, mentre i lunghi fiumi del Nord fissano i confini nel senso dei meridiani: il Reno spartisce francesi e tedeschi, l’Oder fissa la frontiera tra tedeschi e polacchi, dopo la Narva ai baltici subentrano i russi. Ovviamente esistono sempre minoranze stanziate dalla parte sbagliata, ma è solo la Guerra Fredda ad aver fissato per più di quarant’anni confini presidiati quanto artificiali; altrimenti c’è sempre una logica, a meno che uno stato non decida di spostare popolazioni allogene da un’altra parte, come fecero i Turchi Ottomani nei Balcani o nel Baltico i Sovietici. Ma in quel caso possiamo parlare di movimenti metanastatici, ovvero spostamenti demografici interni agli imperi. I friulani iniziarono a emigrare quando la fine dell’Impero austro-ungarico impedì loro di lavorare a stagione in Polonia come facevano da sempre. E a scatenare la seconda Guerra Mondiale furono anche le nuove frontiere decise dai vincitori della prima, e non a caso gli Americani nel 1945 impedirono agli alleati altre annessioni territoriali, mentre per i sovietici e gli jugoslavi il discorso fu ben diverso: ai polacchi fu tolto una parte di territorio a est, compensato da una parte della Prussia orientale, mentre la Jugoslavia di Tito oltre l’Istria  stava per annettersi Trieste ma almeno in quello fu fermata da Churchill. Oggi il confine è aperto, ma per anni al porto mancava il naturale entroterra commerciale proprio per la rigidità dei confini.

Ma ora andiamo ora in Africa. I giornali dicono che gruppi terroristici si muovono tra Mali, Niger, Burkina Faso e Ciad, sconfinando magari in Libia o in Mauritania. Ebbene, invito tutti ad aprire un atlante De Agostini o Google Maps: i confini tra quegli stati africani sono tirati con riga e compasso, uniscono zone quasi a casaccio, fanno convivere etnie diverse o le dividono dall’etnia omologa. Disegnate sulla carta ma non sul terreno, quelle frontiere non sono presidiate se non da rade pattuglie del deserto, né hanno senso per gli allevatori nomadi Tuareg e Tebu. Neanche ho idea di come accorgersi di aver sconfinato, visto che non ci sono posti di dogana o reticolati. Eredità coloniale, ma drammaticamente presa sul serio dai giovani stati africani, che hanno accettato senza mai discutere le vecchie linee di confine a suo tempo  disegnate dai diplomatici europei su carte geografiche magari anche imprecise. In maniera non meno drammatica, l’Impero Ottomano fu smembrato dopo la prima Guerra Mondiale. L’accordo segreto anglo-francese Sykes-Picot (1916), anche se è durato 100 anni, si è inventato l’Iraq, il Libano e la Siria, più la Palestina affidata agli Inglesi, con i risultati che sappiamo. Ma se i confini tra Iraq e Iran sono soltanto convenzionali e seguono in gran parte l’Eufrate, dalla parte del Tigri la situazione non è lineare. In ogni caso i grandi fiumi – Danubio, Volga, Tigri ed Eufrate – spesso non dividono ma uniscono, specie se navigabili.

Sia chiaro che i confini hanno comunque un senso: quando ho fatto il militare a Trieste negli anni Settanta del secolo scorso ho capito a che serve un confine e perché va difeso, concetto oggi dilavato e ambiguo, vista l’ondivaga politica estera italiana. Ma che senso ha difendere con muri e reticolati Ceuta e Melilla, due antieconomiche exclave spagnole (cioè formalmente europee) in Marocco? Difenderle dagli africani, quando sono Africa? Nel 2020 non dovrebbero semplicemente esistere.

Morale? Le frontiere dovrebbero deciderle direttamente le popolazioni. Spagnoli e portoghesi si ignorano e la linea di confine è la stessa da mille anni. Noi italiani abbiamo la fortuna di avere le Alpi, che sono confini naturali come i Pirenei. Ma erigere muri non serve (l’ultimo è la Brexit), o almeno è antieconomico. L’idea può non piacere, ma è la realtà. Quando poi le Nazioni Unite stabiliranno che ognuno può andare dove gli pare senza dare spiegazioni, allora sarà realmente una nuova era.

Infanzia: i Diritti negati nel rapporto di Save the Children

I media riescono a commuoverci per un minorenne vittima di violenza, ma in un mondo d’immagini è difficile che un rapporto pieno di numeri e statistiche possa coinvolgere il cittadino come un’immagine di un bimbo dal viso sofferente.

Conflitti, carestie e sfruttamento negano a centinaia di milioni di minorenni l’infanzia che non solo Save the Children cerca di fargli vivere, portando all’attenzione la realtà dell’infanzia nelle varie aree del Mondo e nonostante l’Italia occupa l’ottavo posto “migliore” dove bambine e bambini potrebbero vivere, sono 1,2 milioni i minori in povertà assoluta.

Sempre più bambini soffrono e muoiono in un Mondo dove gli adulti violenti dettano legge, distruggendo scuole con raid aerei o attentati, aumentando la schiera dei mancati alunni. Bambini ai quali viene negato il diritto allo studio vengono struttati nel lavoro minorile e sono vittime di matrimoni e gravidanze precoci.

Il Mondo subisce un’ulteriore diseguaglianza nella fortuna per i bambini che possono godere a pieno tutte le potenzialità offerte nel nascere a Singapore o in Finlandia, piuttosto che nella Repubblica Centrafricana.

Nel Rapporto sulla condizione dei bambini in 176 Paesi https://s3.savethechildren.it/public/files/uploads/pubblicazioni/rapporto-sulla-condizione-dei-bambini-nel-mondo.pdf, stilato da Save the Children, è evidenziato come non tutti i bambini di questo millennio hanno la possibilità di crescere in salute, di essere scolarizzati ed essere protetti.

Per i bambini che riescono a fuggire dalle aree di conflitto, come ad esempio la Siria e lo Yemen, la vita in un campo profughi non è priva di pericoli e non sarà facile neanche per quelli che riusciranno a sbarcare in Europa, per essere accettati.

Vivere in paesi come la Svezia, Finlandia, Irlanda, Germania, Slovenia e Norvegia non esenta l’infanzia dai pericoli della pedofilia e dalla violenza familiare, ma sicuramente con minori rischi che incontrano i 420 milioni di bambini nelle aree di conflitto.

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Infanzia in pericolo: uno più di 100
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Le loro Afriche: un progetto contro la mortalità materno-infantile
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Un promemoria sul mondo in conflitto
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Infanzia in pericolo: Uno più di 100

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Il turbamento che ha suscitato il dramma della piccola Noemi, in una città tra le meno tranquille, è commovente, pensando alla partecipazione del popolo nel far recapitare messaggi di auguri e peluche, oltre alle personalità che hanno dedicato preghiere e promesse di giustizia . Una bimba che viene ferita da un proiettile come se vivesse in una zona di guerra. Una ferita di guerra, come ha dichiarato il primario di chirurgia pediatrica del Santobono, in una Napoli così bella e ricca di violenza.

Quanta commozione può provocare la tragedia di una bimba in una piazza partenopea o di un bimbo sulla spiaggia di Bodrum, paradiso turistico della Turchia, nel tentativo di fuggire dalle guerre e dalla fame, ma quando l’infanzia coinvolta nel dramma della vita è superiore ad uno l’empatia viene meno, forse per la mancanza di dettagli.

La notizia di un adolescente morto in mare con la pagella cucita in tasca o quella di un ragazzo annegato abbracciato al suo violino, trovano spazio nei nostri pensieri, anche se fugacemente, magari perché non sono solo un numero, ma hanno un nome e un cognome, spesso una foto, mentre già 4 bambini uccisi da un missile nel villaggio siriano, nella provincia di Hama, poco importa se erano cristiani durante il catechismo, o decine di morti in una scuolabus nello Yemen, rimangono nell’ambito delle statistiche.

I mezzi d’informazione non hanno lo spazio per umanizzare le vittime di stragi di bombe o missili dei “buoni” o dei “cattivi”.

Un nome commuove più di 100 morti in mare o in un conflitto.

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Dopo che il New York Times aveva commosso con Amal, la bimba yemenita di 7 anni, simbolo della sofferenze della guerra, ha scelto Anailin Nava, venezuelana di 2 anni, immagine della denutrizione.

Un’infanzia vittima non solo delle guerre, ma anche del lavoro minorile e della prostituzione, dei maltrattamenti e della malnutrizione.

Vittime strumentalizzate per fini politici e dove l’Onu e l’Unicef si trovano in attrito con L’Organizzazione Internazionale del Lavoro, un’altra ‘agenzia specializzata delle Nazioni Unite, sul salvaguardare i diritti del lavoratore e  dell’infanzia, per proteggere i minori dal lavoro.

Accordi e trattati internazionali messi a rischio dall’incipienza dei nazionalismi e dei sovranismi e da una mancata sensibilizzazione delle persone ai diritti umani di ogni singolo individuo è anche un nostro diritto, senza differenza di età, sesso, nazionalità, cultura.

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Migrazione: Conflitti e insicurezza alimentare

Nell’estratto del recente rapporto The State of Food Security and Nutrition in the World 2017 (Lo Stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo) redatto dall’Onu con la FAO, WFP (Programma alimentare mondiale) IFAD e al quale per la prima volta hanno collaborato anche Unicef e Oms, viene messa in risalto la correlazione tra insicurezza alimentare e migrazione. Un’insicurezza alimentare dovuta più ai conflitti che direttamente da situazioni di carestia.

Una correlazione che è stata al centro della Giornata mondiale dell’alimentazione dello scorso 16 ottobre, promossa dalla Fao, per investire nella sicurezza alimentare e nello sviluppo rurale dove Ifad (Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo), la terza e più giovane delle agenzie Onu che si interessano di alimentazione, è impegnata nel trasformare l’agricoltura e le comunità rurali per porre entro il 2030 fine alla fame e garantire un accesso sicuro al cibo nutriente e sufficiente per tutto l’anno.

Una meta che sembra irraggiungibile se i conflitti e i cambiamenti climatici hanno aumentato, dopo una costante diminuzione, il numero delle persone che soffrono la fame, raggiungendo circa 815 milioni, pari all’11% della popolazione mondiale.

Sono 38 milioni di persone in più rispetto all’anno scorso vittime, come dimostrano i recenti appelli di aiuto dalle città siriane poste d’assedio, della proliferazione di conflitti o per quei migranti “trattenuti” sulle isole greche dell’Egeo, ma anche tutta quell’umanità bloccata in Turchia o nei campi libici che non ha accesso regolare ai generi alimentari e medicine.

Mentre nell’Occidente sono circa 41 milioni di bambini ad essere in sovrappeso nel Mondo sono circa 155 milioni di bambini di età inferiore ai cinque anni non hanno una crescita regolare (troppo bassi per la loro età) e 52 milioni soffrono di deperimento cronico, che significa che il loro peso non è adeguato rispetto alla loro altezza.

Da una parte i conflitti, con i cambiamenti climatici, ad opporsi alla vita serena di milioni di famiglie e dall’altra sono i mutamenti nelle abitudini alimentari a tracciare per gli “occidentali” un futuro di obesità e malattie cardiache condite con il diabete.

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Qualcosa di più:

Cibo: senza disuguaglianze e sprechi
Spreco Alimentare: iniquità tra opulenza e carestia
Cibo per molti ma non per tutti

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Qualcosa di più:

Migrazione: Un monopolio libico
Migrazione: non bastano le pacche sulle spalle
Migrazione: umanità sofferente tra due fuochi
Migrazione: Orban ha una ricetta per l’accoglienza
Aleppo peggio di Sarajevo
Migrazione: La sentinella turca
Migrazione: Punto e a capo
Migrazione: Il rincaro turco e la vergognosa resa della Eu
Europa: la confusione e l’inganno della Ue
Europa e Migrazione: un mini-Schengen tedesco
Migrazione: Quando l’Europa è latitante
Un Mondo iniquo
Rifugiati: Pochi Euro per una Tenda come Casa
Siria: Vittime Minori
Europa: Fortezza d’argilla senza diplomazia
La barca è piena
Il bastone e la carota, la questione migratoria

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Un Mondo iniquo

siria-aleppo-14670831_10154591393324808_3675277897794890283_nIn Yemen 370mila bambini soffrono, mentre in Colombia sono stati 220mila le vittime della guerra civile, in 10 anni in Messico sono scomparse 30mila persone, in 5 anni di guerra in Siria i morti sono 270mila, in Iraq e Afghanistan, nonostante i tentativi di “normalizzazione” dell’Occidente, si continua a morire per attentati terroristici, come anche in Pakistan, mentre il Africa si soffre per carestia e conflitti.

Nel Mediterraneo, secondo l’International Organization for Migration (Iom) e confermato dal portavoce dell’agenzia per i rifugiati Unhcr William Spindler, sono circa 3mila le persone che hanno perso la vita, nel tentativo di fuggire da guerre e povertà nel sud del mondo.

Tante, troppe sono le persone torturate e assassinate, per poter dare giustizia a tutti, ma una cosa si potrebbe fare: non cadere nella banalità di additare l’assassinio e la tortura come “brutale”. È lapalissiano che tali azioni sono brutali. Come può esistere una tortura amorevole? E’ come affermare che un indigente soffre della mancanza del minimo indispensabile. È brutale rifiutare protezione a donne e bambini.

Usare un vocabolo come “brutale” solo per catturare l’attenzione dell’ascoltatore, o lettore, sminuisce le molte altre azioni violente che gli umani sono capaci di pensare e realizzare.

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#Aleppo #Syria 2016: è una foto di prima mano postate su una chat whazup #nofilter

I crimini che si sono perpetrati contro l’umanità non sono solo “circoscritti” ai genocidi del ‘900 degli Armeni o degli Ebrei, dei Curdi o dei Ruandesi, ma anche il crimine quotidiano degli attentati e della prevaricazione delle potenti multinazionali nei confronti delle piccole comunità, per sorvolare sulle stragi in varie forme dei nativi delle Americhe, dell’Africa e dell’Asia per colonizzare e civilizzare.

Un’umanità in gran parte vittima di un’omologazione forzata che nega la possibilità di vivere in tranquillità nelle differenze, pregando come e dove si vuole, se lo si desidera, e nella lingua che si conosce.

Un’omologazione indotta da una globalizzazione a senso unico che evita gli scambi e le contaminazioni, per una crescita delle varie società, dando precedenza alla prevaricazione.

L’arroganza dell’Occidente nell’imporre i propri docmi, sino a voler esportare la sua pretesa Democrazia.

La strumentalizzazione delle religioni per interesse e predominio di alcune persone su altre, sbandierando la Guerra di Religioni solo per esacerbare gli animi.

Mai come in questi ultimi anni nei conflitti non si fa alcuna distinzione, colpendo scuole, ospedali e edifici di culto. Prima erano danni collaterali, ora sono degli obbiettivi per snidare i terroristi.

In questi ultimi anni si è superato ogni limite, non esistono più aree esenti dall’odio, rendendo qualunque luogo un obbiettivo, un target dei conflitti.

Durante l’assedio di Sarajevo i suoi abitanti riuscivano a condurre una vita quasi “normale”, cosa impossibile per Aleppo dove all’assedio si aggiunge a un martellante bombardamento. Una guerriglia urbana trasformata in un distaccato rilascio, notte dopo notte, di bombe dal cielo che non solo nega un’infanzia ai bambini, ma li terrorizza se non riesce ad ucciderli.

Le vittime prescelte sono sempre le donne e i bambini, non solo nei conflitti, ma soprattutto negando loro un futuro, riducendoli in schiavitù. Un destino riservato anche agli uomini di quell’umanità oppressa, spinta alla competizione che esclude i timidi.

Non solo in Sudafrica, in India, e nel Sudamerica si fa scempio della donna e di minori che riescono ad arrivare in Occidente. Secondo l’ultimo rapporto di Oxfam Italia  i minori che giungono in Italia dopo viaggi perigliosi, spariscono dalle strutture di accoglienza, probabilmente fuggono per raggiungere i parenti nelle diverse città europee, ma c’è anche chi finirà negli ambiti delinquenziali, perché gli adulti invece di proteggerli li utilizzano nello sfruttamento minorile.

Nel Mondo regna la diseguaglianza tra generi e popoli, tra nazioni e continenti, tra i pochi che hanno il 99% della ricchezza mondiale e la moltitudine  spesso sopraffatta  per avere una fetta di quell’uno percento disponibile.

Il grido «#NiUnaMenos» («Non una di meno») che echeggia per le strade di Buenos Aires per chiedere giustizia per l’ennesima donna, ragazza, violentata e uccisa, comprende e abbraccia i bambini e tutte le vittime di una vita prepotente.

migrazione-580f17294Tra le strategie dell’Unione europea contro la povertà e l’emarginazione, per non lasciare indietro nessuna persona, ha attivato una piattaforma, nell’ambito delle sette iniziative prioritarie dell’Europa 2020, per una crescita intelligente, sostenibile e solidale.

Una piattaforma che potrebbe rimanere al palo di un semplice studio statistico o di un’indagine demografica, mentre 4milioni di italiani conoscono la fame, soffrendo l’inutilità di un “aiuto” virtuale, per appoggiare concretamente le strutture economico-finanziarie.

I propositi dell’Unione sono nobili nell’intervenire nel mercato del lavoro, per un reddito minimo, garantendo l’assistenza sanitaria, l’istruzione, gli alloggi e l’accesso a conti bancari di base.