Ascolto allibito durante uno dei tanti “quiz” a premi la stupefacente risposta di un concorrente (adulto, serio) alla domanda: “A quale popolo i romani devono la sconfitta detta poi proverbialmente delle forche caudine?”.
Il concorrente, incerto e compassato risponde: “… Agli americani?”. Ora, non contesto la libertà di essere miserevolmente ignorante (poteva almeno rispondere genericamente; i cartaginesi, gli egiziani, o altri popoli dell’antichità), in tal caso costui se ne resti tranquillamente a casa, ma come si può arrivare a vertici così grotteschi di totale insipienza?..
C’è da dire che questo episodio non è affatto isolato: in altre occasioni ho udito altre inarrivabili meraviglie che qui non dico…
Anzi no, vi delizio di un ricordo personale: ai tempi dell’Accademia di Belle Arti (corso di scenografia teatrale!) uno studente affermò, a proposito di Shakespeare, trattarsi di un famoso scrittore francese!…
Ma torniamo al nostro concorrente.
Se penso ai quiz d’altri tempi da “Lascia o raddoppia” in poi, in cui specialisti e ferratissimi individui stupivano ammirati dall’italico pubblico televisivo con risposte precise e pertinenti a domande complesse e tortuose!
Altri tempi. Anche nel campo leggero e disimpegnato del quiz si assiste allo sprofondare qualitativo sia delle domande (facili, spesso facilissime) sia delle risposte talmente assurde e inadeguate da far pensare che si è arrivati a profondità di ignoranza ormai abissali. Eppure….. questa è la domanda da porsi, eppure…. come può giustificarsi tanta tragica grossolana ignoranza nell’epoca gloriosa di internet che mette a disposizione di tutti (chi non possiede un computer, un tablet, uno smartphone?) una possibilità infinita di conoscenza storica, letteraria, musicale, geografica, scientifica? Chiunque può con un clic trovare risposta pertinente e precisa praticamente a tutto!.. Che uso dunque si fa di questi preziosissimi mezzi?
A che serve avere sottomano l’uso di questa immensa biblioteca planetaria se poi non c’è alcun interesse o volontà o anche curiosità di aprirla?… Dunque, beati i tempi della faticosa ricerca cartacea tra pesanti enciclopedie, rarità libresche, manuali, fino alle pur corrive letture “popolari”!
A che servono le straordinarie innovazioni tecnologiche se si sguazza nella bestiale innocenza della più totale ignavia?…
Ci viene data la possibilità di salire sulle nuvole, ma la volontà si aggira purtroppo nelle buie e tiepide caverne primordiali, una specie di materno grembo protettivo che deresponsabilizza totalmente il cosiddetto “comune” individuo da qualsiasi apertura mentale……
Cosa diceva il povero Dante?:”Fatti foste non per vivere come bruti, ma….. ecc. ecc.”
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La Migrazione dimenticata
Per chi ha dimenticato e per chi non sa cosa è stata l’emigrazione degli italiani negli anni ’50 (l’ultimo nostro grande esodo in cerca di lavoro dei poveri dai paesi e dalla provincia), per chi non ricorda o non può sapere la pena, la fatica, l’umiliazione dei nostri fratelli di allora, dovremmo tutti rivedere il film “La ragazza in vetrina” di Luciano Emmer del 1961, dove è descritta la terribile esperienza del lavoro in miniera per chi fuggiva dalla fame per andare a morire in fondo alle gallerie!… (E qui confesso la mia emozione nel riconoscere fra i minatori nientemeno Totò, un bel giovanottone figlio di poveri contadini, Totò che ricordo bene fuggì dal paese, io ero bambino, per andare a lavorare in miniera e che poi, ritornato, ci raccontava di questo film e della particina che aveva avuto nella storia)…. E ancora, per chi ha dimenticato chi siamo e cosa la nostra povera gente ha vissuto, dovrebbe rivedere l’odissea dei solfatari siciliani in fuga verso la Francia nel bellissimo film di Pietro Germi “Il cammino della speranza“.
Sono documenti di umanità e di verità che dovrebbero far rivedere nelle scuole, ai ragazzi che vivono attaccati ai vari tablet e smartphone, e che nemmeno alzano la testa per guardarsi intorno.
Che ne sanno dei nostri padri e fratelli di allora? Della loro pena, del loro coraggio e della loro speranza?… RICORDIAMOLI!
Salviamo il cittadino dalla Democrazia
L’economista e Nobel Stiglitz ammonisce il Primo ministro italiano della necessità di revocare il referendum per le riforme istituzionali, perché potrebbe essere dilaniante per la tenuta economica ancor più della Brexit.
Strano che Joseph Stiglitz si preoccupi tanto dell’Eurozona quando l’economista statunitense si era tanto infervorato nel criticare la moneta unica, forse si è accorto che l’economia mondiale è interconnessa e l’ipotesi di un futuro senza l’Euro potrebbe danneggiare anche il suo stile di vita o semplicemente vuol dettare lui le modalità per cancellarla, sta di fatto che la proposta pone nuovamente il quesito di una Democrazia sotto tutela.
Anche se spesso il cittadino cade, nell’esprimere il suo voto, nella trappola dell’emotività e dei disturbi intestinali non gli si può negare il diritto ad esprimere la propria opinione, tanto il politico riesce sempre ha neutralizzare qualsiasi risultato, come è stato dimostrato con il finanziamento pubblico dei partiti e sull’acqua come diritto, e poi abbiamo la Democrazia impartita dalla nascita delle Città metropolitane, con le procedure di voto che hanno rasentato la clandestinità, un parlamentino eletto dagli amministratori dell’Area e con la presidenza di diritto del sindaco del comune capoluogo.
Le Città metropolitane nascono dalle ceneri di alcune Province (Roma, Milano, Napoli, Torino, ect.) e da loro si differenziano nel rendere l’elettorato spettatore delle sue precedenti scelte. Una Democrazia che “rappresenta” le scelte precedentemente fatte dagli elettori, assomigliando al futuro Senato della riforma costituzionale Renzi-Boschi, non permettendo al cittadino di poter confermare la soddisfazione del precedente voto o esprimere in suo eventuale dissenso.
Un serio quesito è sul lasciar praticare la Democrazia razionalmente o emotivamente per una miglior rappresentatività dell’umore popolare. Quindi ha senso fare decidere il «popolo», Brexit insegna , o ignorare la sovranità popolare se la scelta potrebbe essere dannosa?
C’è sempre la possibilità di farsi abbindolare dal modello russo o turco, con un forte accentramento del potere, optando per una Democrazia “rilassata” da un senso di benessere e di sicurezza, dovuto solo al controllo dei mezzi d’informazione che veicolano il messaggio governativo.
Alcuni movimenti puntano alla Democrazia della Rete, con la scomparsa delle sezioni politiche e di un confronto reale, ma forse anche praticando la demolizione dei piccoli feudi.
La Democrazia soffre della scarsa partecipazione dell’elettore, più che del cittadino, e la Spagna ne è un esempio con una crisi che si è protratta, con due chiamate alle urne inutilizzabili, per quasi un anno, per poi provare a risolverla con la rinuncia di una delle parti.
Comunque, alla fine, qualcuno deve decidere e non ci si può ritrovare come in Spagna, senza un governo per quasi un anno, o in Belgio, anche se non sembra sia andata poi tanto male, e non possiamo nemmeno limitarci a esclamare che abbiamo scherzato – vedi Brexit ! .
Africa: le Donne del quotidiano
Le donne africane rappresentano, visto il ruolo bellicoso o apatico del maschio, la locomotiva della società, infatti, come viene evidenziato nel recente studio del World Farmers Organisation, il 43% dei contadini sono donne, anche se in alcuni Paesi la percentuale sale al 70%, e sono ancora le donne, secondo la Fao (agenzia Onu per l’alimentazione e l’agricoltura), a farsi carico dell’approvvigionamento del 90% della fornitura d’acqua domestica e tra il 60% e l’80% della produzione di cibo consumato e venduto dalle famiglie.
Sono sempre le donne ad essere coinvolte nell’80% delle attività di immagazzinamento del cibo e trasporto e nel 90% del lavoro richiesto nella preparazione della terra prima della semina.
Sono numeri che ben tratteggiano il ruolo cruciale della donna, nonostante che il 50% delle donne dell’Africa subsahariana non sa leggere né scrivere, nel contesto africano dove molte di esse, soprattutto le vedove, vivono in miseria.

Nel Ciad il Magis (Movimento e azione dei gesuiti italiani per lo sviluppo) sostiene i cosiddetti Orti comunitari, inseriti nel progetto “Le donne per l’agricoltura sostenibile Ciad”, rappresentano per alcune comunità la possibilità di dare un’istruzione ai figli, mentre per altre e’ la conversione dell’economia basata sulla produzione di birra di miglio (Bili Bili), e quindi uno stato cronico di alcolismo degli uomini, in riscatto sociale per svegliare il maschio dalla commiserazione.
Gli orti comunitari delle donne ciadiane non godono del sostegno finanziario della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus e dell’Unione europea, ma usufruiscono delle donazioni di persone per aiutare altre persone, senza gli ambiziosi obbiettivi di realizzare 10.000 orti, definiti dalla Fondazione: “buoni, puliti e giusti nelle scuole e nei villaggi africani significa garantire alle comunità cibo fresco e sano, ma anche formare una rete di leader consapevoli del valore della propria terra e della propria cultura; protagonisti del cambiamento e del futuro di questo continente.”
Una campagna dal grande battage pubblicitario che fa risplendere il blasone di Slow Food e offre un’occasione di riflessione sul futuro alimentare del Mondo.
Il Ciad non ha delle terre talmente fertili da far gola alla Cina e a tutti quei paesi impegnati nell’accaparramento e forse è per questo che viene ignorata sia la situazione politica che economica. E’ un luogo dove l’impegno delle donne non è solo uno stimolo ad una dignitosa vita, ma anche l’occasione di fronteggiare la desertificazione.
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Qualcosa di più:
Le loro Afriche: un progetto contro la mortalità materno-infantile
Africa: i sensi di colpa del nostro consumismo
I sensi di colpa del nostro consumismo
Solidarietà: il lato nascosto delle banche
Cellulari per delle cucine solari
Africa: Speciali visite a domicilio
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L’Uno e gli Altri
Si parla spesso in questo nostro occidente (apparentemente) evoluto e tollerante della “diversità” e delle problematiche, spesso drammatiche, legate al “diverso”. Ma dalle prime pagine, dagli approfonditi saggi di filosofi e sociologi, fin nei salotti più colti e avveduti, la diversità di cui si discute è principalmente quella sessuale.
Non che non abbia l’omosessualità tuttora ,anche dalle nostre parti, talvolta risvolti preoccupanti se non addirittura tragici. Ma mi sembra di poter dire che non vivendo in una società di severa repressione morale e di fanatico integralismo religioso, la diversità sessuale sia se non universalmente accettata come assolutamente “naturale”, certamente ampiamente tollerata e anche giuridicamente in via di equanime risoluzione. Fatte salve ovviamente le eccezioni, spesso drammatiche, che sono conseguenze di ambienti arretrati e di depressioni culturali che sono “sacche” di violenza e di intolleranza. Non voglio esagerare ma credo che, oggi come oggi, la diversità preoccupante e meno accettata dalla società sia altrove.
Sia nella “diversità” congenita e necessaria di chi per temperamento, per scelta culturale e di vita, e sopratutto per diversa e “alternativa” percezione della realtà, è automaticamente relegato ai margini della collettività. Poeti, artisti, filosofi, ma anche individui di non particolari talenti estetici o scientifici, semplicemente perché non si immedesimano nella massa, non volendo e non potendolo fare, si trovano a impantanarsi nelle paludi mortificanti dell’emarginazione, dell’incomprensione,se non del rifiuto intollerante che è conseguenza (individuo/società) di una reciproca incompatibilità.
Purtroppo non tutti questi individui possono elevarsi al rango di genialità magari non amate ma comunque ammirate e rispettate (Beethoven, Michelangelo, Leonardo), genialità che pur nell’eccellenza del loro indiscutibile talento hanno sofferto i drammi della diversità. Ma si deve considerare il limbo deprimente della solitudine in cui,pur nelle nostre civilissime società, il “diverso” è relegato senza alcuna gratificazione culturale. Eppure si pensi che tale individuo, malcompreso, trascurato, o addirittura ritenuto superfluo e ingombrante, rappresenta pur il sale necessario, o se preferite la goccia d’aceto o d’amaro, che porta alle necessarie riflessioni sui valori effettivi di un pur civile consesso umano. Riflessioni e considerazioni malviste e intollerabili (pensate alla fine che fa il grillo che rimprovera Pinocchio!) perché distolgono dal godimento di una apparente ma appagante sensazione di “appartenere” al proprio tempo.
Perché la “diversità” in quanto tale si pone sempre in posizione critica e di inesorabile approfondimento di fronte alle cose e ai fatti ai quali pur esso appartiene per necessità storica.
Insomma, a dirla tutta, colui che è diverso dalla massa, astenendosi dai suoi rituali e dalle sue omologazioni, si pone di conseguenza alla giusta distanza dai fenomeni sociali e umani per osservare senza esserne travolto, assurdità, contraddizioni, menzogne e superficialità.
Tale individuo naturalmente, non omologandosi e non assecondando le universali e indispensabili illusioni di chi gode del suo tempo nel flusso irresistibile dell’onda generazionale in una reciproca accettazione delle regole inderogabili dello stare insieme:(fare le stesse cose negli stessi tempi e modi), non può essere bene accetto e tanto meno amato dalla massa.
Di conseguenza nella contemporaneità esso sarà sempre necessariamente sconfitto perché i molti preponderano sempre sull’uno, anche se talvolta, nelle conseguenze di una società che si trasforma criticamente, l’opera o semplicemente l’esempio, la presenza, la qualità del “diverso” viene ripresa in considerazione e riqualificata.
Questo nei casi e nelle eccezioni di personalità particolarmente forti ed emergenti. Per il diverso “comune” (contraddizione in termini!): l’asociale, l’introverso, il barbone, lo scontento, il misantropo, non resta che rassegnarsi alla sua “diversità” senza nemmeno compensi o riconoscimenti postumi, o tuttalpiù può tentare l’inganno, per sé e per gli altri, di un “inserimento” fallace e penoso in una massa che non comprende e non ama e da cui non è amato e compreso.