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Beni di un’Italia dismessa

Dall’Unione europea, come dagli Stati uniti e senza dimenticare tutto il Medio sino all’Estremo Oriente, vengono continuamente indirizzate all’Italia lusinghieri complimenti e additata come un Paese dalle grandi potenzialità; forse a non crederci sono gli stessi italiani, ma che confidano tanto nei cambiamenti promulgati dai politici. Un popolo di cinici creduloni che facilmente si accoda all’Opinion Leader di turno.

Una speranza che ha portato gli italiani ad affidarsi più di una volta a un qualsiasi imbonitore, dai toni velleitariamente populisti, alternando lo sconforto vittimistico a toni minacciosi nell’additare il nemico di turno, mentre una gran parte dei cittadini diserta gli appuntamenti elettorali perché non si sente rappresentato per poi protestare e inveire contro tutti.

Inveire contro la presenza migrante o l’Europa intera non ha importanza, tutto serve per distrarre dalla cronica incapacità di affrontare i problemi con gli strumenti della democrazia e quando non si rimane soddisfatti si grida al colpo di stato o alla dittatura.

Giudizi gridati da politici disarcionati e da italiani che s’incontrano solo in piazza per la cronica sindrome individualista, incapaci di compartecipazione alla vita comunitaria, interessati al loro orticello, senza alcun riguardo per il vicino.

Tutto ciò come speranza di una sana riflessione sulla necessità di potenziare il servizio al pubblico che la politica dovrebbe dare seguito nel 2014 e non limitarsi ai soliti editti di buone intenzioni, guardando al privato.

È risaputo che le parole non costano nulla se non l’utilizzo coscienzioso dell’italiano, ma far seguito dalle intenzioni ai fatti, nel dare un addio a una politica costosa, più incline a rendere soddisfatta quella minoranza d’italiani che non deve vivere con mille, millecinquecento euro mensili.

A Pompei arriva un generale impegnato da anni con il corpo dei carabinieri sul fronte della salvaguardia del patrimonio artistico, per poter utilizzare con oculatezza e lontano dalle mani della Camorra, i 105 milioni di euro per rendere il sito archeologico più famoso e frequentato del Pianeta a rendersi presentabile nella sua interezza. Ma l’incuria e i crolli continuano.

I Bronzi di Riace tornano a essere visti, dopo due anni passati orizzontalmente, nella nuova sala al Museo della Magna Grecia. Ma sono numerose le realtà museali che stentano a promuovere e far vedere i loro tesori.

L’immensa ricchezza italiana non è solo sigillata nei musei, ma è anche nella quotidiana espressività delle arti e non si può cavalcare la tigre del cinema quando è sotto i riflettori di una ribalta estera, per poi negare qualsiasi altro supporto nei meandri ministeriali.

La Grande bellezza non può essere ricondotta solo a un film sopravalutato da politici superficiali, dimenticando pellicole bel più incisive nella storia della cinematografia, per farsi belli davanti agli italiani poco interessati alla vera bellezza dell’Italia dei monumenti e dei paesaggi. Un patrimonio che si vuol svendere per pochi immediati euro e non valorizzare per renderli una costante fonte di ricchezza per la comunità.

Un concetto quello della valorizzazione del patrimonio artistico italiano che ha difficoltà nel trovare una giusta considerazione nel vocabolario dei politici che si barcamenano tra le testimonianze storiche e la dismissione del Demanio militare e quello confiscato alle organizzazioni criminali.

Un patrimonio che i politici appaiono più propensi a denigrare con balzelli e invenzioni burocratiche, negando un concreto supporto che valichi le formali parole di riverenza a tutta la cultura italiana.

L’Italia è uno di quei paesi con una classe politica misera e quando c’è chi può fare la differenza, mettendo in evidenzia le private meschinità e i pubblici vizi, viene solitamente emarginato.

Si invoca la discontinuità, con la fine del caos amministrativo, ma è un’interminabile consequenzialità della cattiva gestione del bene pubblico, affossando ogni possibile supremazia italiana sia nell’ambito dell’arte, che per il paesaggio e il cibo.

Non può essere sufficiente l’appassionata difesa che il neo segretario del Partito democratico non manca di fare, da nord a sud, del Bel Paese perché l’Italia possa svettare sulle altre nazioni.

A Matteo Renzi gli capita di scivolare su concetti neoliberisti, ma ha un innato ottimismo sul riuscire a coniugare il pubblico e il privato per il bene pubblico e sembra che abbia ben chiaro il percorso che trasforma le parole in risultati, moltiplicando i pani e i pesci sulla sponda di un lago ridotto a discarica, sventolando bandiere pacifiste nel proporre un ulteriore taglio alle spese militari con il dimezzamento della fornitura dei fantomatici F35.

Nei precedenti vent’anni come può essere venuto meno il patto con l’elettore se era così facile approntare interventi che potevano favorire il lavoro, la casa e la scuola? E vedere così trascorsi i vent’anni prima senza veri interventi sul patrimonio culturale e ambientale, ma purtroppo anche i vent’anni anteriori sono passati senza uno sguardo avveduto nel preparare un futuro meno disagevole per l’odierna Italia.

Il prof. Stefano Settis, con la pubblicazione su l’Unità del 6 marzo dell’introduzione al più argomentato libro Il territorio, bene comune degli italiani. Proprietà collettiva, proprietà privata e interesse pubblico di Paolo Maddalena, non tralascia alcuna occasione per evidenziare, oltre all’importanza della salvaguardia dell’ambiente e del nostro patrimonio culturale, la poca disponibilità dei politici ad amministrare i beni pubblici per l’interesse della comunità e non del privato.

Ma quali politici che ambiscono a essere ricordati come statisti hanno fatto delle scelte oculate per tracciare il percorso di sviluppo e non limitarsi a barcamenarsi per far sopravvivere le loro candidature e non il bene pubblico?

 

01 Italia Sette mosse del 2014 Il territorio, bene comune degli italiani di Paolo Maddalena

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Autore: Paolo Maddalena

Editore: Donzelli

Collana: Saggine

Prezzo di copertina: € 18.00

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01 Italia Sette mosse del 2014 grandebellezza_itinerari_d0

Quando si scoprirono renziani

È ormai una certezza: l’Italia è una realtà strillata, dove hanno posto quelli che in doppio petto o in maniche di camicia fanno roboanti annunci, mentre non vi è posto per chi silenziosamente opera per risanare una nazione martoriata dal populismo che traccia la strada verso il suo futuro sotto suggerimento di un popolo emozionalmente turbato dalle quotidiane difficoltà e dalla sempre più crescente distanza tra il Paese politico e quello reale.

Ma non è certo che le indicazioni di rotta desunte dai malumori di un’Italia insofferente siano quelle che potranno condurre ad un approdo sicuro o, come è già stato sperimentato, piuttosto ad un’ulteriore aggravio della situazione.

Il togliere una tassa o gridare di levarsi dalla palude può essere una bella immagine da vendere all’elettorato ormai deluso da tutto, che si affida sempre più a personaggi caciaroni, tronfi di ambizione che è buona cosa in politica se non si coinvolgessero le vite di milioni d’italiani, ma tutto ciò non ne fa di diritto uno statista.

Dopo due tentativi di introdurre della sobrietà nella politica, sino ha toccare l’austerità, si ritorna alla goliardia di: È qui la Festa? Di uno che nella stampa estera, ad esempio sul Guardian, s’interroga se potrà essere un giovane Blair, un Berlusconi o un vecchio Fonzie.

Come si comporterà un personaggio telegenico e suadente, pronto a diventare il più giovane premier del Bel Paese dei giorni nostri, con le promesse disattese che l’Italia ha contratto nei confronti delle Ong impegnate in progetti di cooperazione per lo sviluppo dei paesi afflitti dai conflitti e dalle carestie?

L’Italia impegnata a organizzare l’Expo del 2015 incentrato sul Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita, firmataria di un accordo con l’Onu per portare alla ribalta mondiale la sfida per sconfiggere fame e povertà con End poverty 2015 millennium campaign, come si comporterà per dare uno stimolo a produrre cibo sufficiente per una popolazione mondiale che entro il 2050 raggiungerà i nove miliardi di abitanti?

Rimarrà a organizzare vetrine e convegni, ignorando i progetti come Bits of Future: Food For All promosso dall’associazione Scienza per Amore e dalla società BioHyst applicando la tecnologia Hyst (Hypercritical Separation Technology) che si appresta a trasferirsi nella Confederazione svizzera o farà qualcosa di più per promuovere il Made in Italy?

L’ambiziosa ottusità di pensarsi un leader unto dal destino per delle facezie sarà capace di consolidare la credibilità italiana nel panorama internazionale o sarà il mattacchione del Cucu settete?

Sarà capace di affrontare le elezioni europee e la crescente avanzata degli euroscettici? Sarà capace di offrire nuove prospettive all’Europa nella cooperazione tra gli stati membri e in una politica estera unica nel semestre a guida italiana?

Il bulletto che ha scansato il colto sobrio è solo un ambizioso fanfarone o il salvatore della Patria che tutti aspettano?

Tante domande, troppe, e per qualcuno sono anche di più i dubbi che l’Italia non aveva bisogno di sciogliere in questo momento. Stabilità era l’unica priorità.

Questo cambio di personalità al volante di un’Italia confusa non doveva avvenire ora e in queste condizioni dove si sono scoperti tutti renziani, trasformando un partito di centro-sinistra in un’ameba in cerca di un’identità.

È così disperata questa Italia di affidare il futuro a un’incognita?

Non è uno strafottente ambizioso, è un cavallo di troia per completare la dismissione che si sta perpetrando delle ultime tracce di un partito popolare.

Grazie Enrico. Stai sereno Matteo, demolitore più che rottamatore, è sempre facile dare i consigli stando in tribuna, ma è un’altra cosa quando si scende in campo e si deve giocare con continui cambi di fronte. Dovresti saperne qualcosa con le tue rassicurazioni a Enrico, comunque o la va o la spacca.

Italia il Nuovo primo ministro ​​Renzi è Blair Berlusconi o Fonzie 1898171_629421110458391_822288112_n

Il Museo del nulla

L’ultimo capitolo della sofferta e contorta storia del Museo della Civiltà Romana prevede ora la chiusura al pubblico della struttura, con l’eccezione del Planetario, del Plastico e di alcune sale storiche. Già era stato dichiarato inagibile il lungo sottopasso che unisce i due corpi di fabbrica principali, che ospita al piano superiore il calco della Colonna Traiana commissionato da Napoleone III e in quello inferiore il magazzino dei plastici non esposti. In sostanza, l’enorme museo è stato dichiarato inagibile. A farne le spese saranno non solo i visitatori (d’inverno non molti, scuole a parte), ma anche l’ufficio dell’Antiquarium comunale, istituzione perennemente senza pace. Il problema non è nuovo, ma strutturale: si tratta di edifici costruiti praticamente in tempo di guerra, con materiali scadenti – soprattutto il tondino del cemento armato – e già alcuni anni fa furono coibentati e rifatti i lucernai. Costoso è sempre stato il riscaldamento delle sale, visti i soffitti di venti metri e l’ampiezza dei vani, mentre basso è sempre stato il numero dei visitatori, scuole a parte. Purtroppo l’EUR non è centrale e il trasporto pubblico ferma a diverse centinaia di metri dall’ingresso del museo. In più, il turista medio si ferma a Roma una media di tre giorni, cinque al massimo, e già ha tanto da vedere in città, anche se spesso chi ammira il grande plastico del Museo continua poi per Ostia antica. Opportuno sarebbe organizzare un servizio di navette dagli alberghi e inserire l’architettura dell’EUR nel giro del turismo di massa. Ma va detto per dovere di cronaca che il sovraintendente della giunta Alemanno, Umberto Broccoli, aveva progettato lo smantellamento del museo e il trasferimento di parte delle sue collezioni nell’erigendo Museo della città di Roma nell’edificio della ex Pantanella a via dei Cerchi, all’epoca occupato dal Servizio elettorale, dai Servizi demografici e dal laboratorio di scenografia del Teatro dell’Opera, ed ora rioccupato dal Dipartimento del Commercio (1). Ma sarebbe più esatto dire: si voleva riportare il Museo dov’era originariamente. Ma andiamo per ordine.

La storia inizia nel lontano1911, quando a Roma si tenne la grande Esposizione per i 50 anni di Roma capitale. In quel contesto, alle Terme di Diocleziano, curata da Rodolfo Lanciani, venne organizzata una mostra dedicata alle province dell’Impero romano, con calchi provenienti da tutte le parti d’Europa, Asia e Africa. Tutto questo materiale fu poi acquistato dal Comune di Roma e Quirino Giglioli ne fece sotto la sua direzione un museo permanente, il Museo dell’Impero Romano, dapprima ospitato nei modesti spazi dell’ex convento di Sant’Ambrogio alla Massima (dietro al portico di Ottavia); successivamente nel 1927 nel corpo di fabbrica dismesso dalla Pantanella, in quel complesso edilizio addossato a Santa Maria in Cosmedin che ora ospita vari servizi del Comune di Roma. Per la cronaca, sul frontone dell’Ufficio elettorale c’è ancora scritto inciso e ben leggibile “Palazzo dei Musei”. Ma la chiave di volta la diede la Mostra Augustea della Romanità, proposta dallo stesso Giglioli a Mussolini e tenuta nel 1937 a Palazzo delle Esposizioni, senza badare a spese e con l’apporto di molte istituzioni straniere. Stavolta il fine propagandistico non era quello di valorizzare il contributo e il consenso di tutte le province verso il progetto politico unitario italiano, ma quello di esaltare la Romanità e l’Impero attraverso la figura di Augusto, di cui ricorreva il bimillenario. Questa mostra ebbe un successo enorme: un milione di visitatori in un anno, che per l’epoca non era poco. Ne restano il catalogo ufficiale e l’archivio. E’ evidente una forte impronta ideologica nell’allestimento, ma è anche sorprendente la quantità e qualità del materiale esposto: modellini, calchi, ricostruzioni persino in scala 1:1. Grandi attrazioni erano anche l’enorme plastico di Roma imperiale creato dal Gismondi e il calco completo della Colonna Traiana, preesistenti alla mostra. Molti originali, se non sono andati perduti, sono nel migliore dei casi in posti poco accessibili, come la Cirenaica o l’Anatolia. Anche questa volta il materiale fu acquisito per dono o per commercio dal Comune di Roma (all’epoca, dal Governatorato) per essere stabilizzato in un grande Museo dell’Impero. L’occasione sarebbe stato il reimpiego del bel complesso architettonico creato dall’architetto Pietro Aschieri e finanziato da Umberto Agnelli per l’E42, allo scopo di esporre ovviamente le automobili e gli autocarri prodotti dalla FIAT. Ma l’Esposizione non fu mai inaugurata a causa della guerra e gli edifici furono ereditati dall’attuale Ente EUR. Solo successivamente, negli anni ’50 del secolo scorso, l’Impero essendo ormai un lontano ricordo di un sogno infranto, il museo apre timidamente i battenti, inizialmente sotto la direzione di Carlo Pietrangeli. E’ interessante leggere una pubblicazione da lui firmata nel dopoguerra (2): si evita qualsiasi riferimento alla Romanità e si parla genericamente di civiltà latina. In sostanza il sovraintendente deve adottare un figlio non suo e cerca di rimanere nel generico. In questo modo nel 1954 (ri)apre il museo, pallido ritratto di se stesso, scenografia di un film mai girato, e sopravvive per i successivi sessant’anni col nome di Museo della Civiltà Romana, abbreviato MCR.

Per chi ci ha lavorato, quella del MCR è stata un’esperienza particolare. A vederlo da fuori, il museo è bellissimo e le sue possenti mura e il colonnato si sono spesso visti nelle sfilate di moda e soprattutto in molti film ambientati nell’antichità classica e mitologica, i c.d. film peplum. Si risparmiava in tal modo sulle scenografie, con effetti tutt’altro che disprezzabili. Ma a parte il plastico del Gismondi (sempre pieno di polvere), per anni tutto il resto del materiale esposto sembrava non avere una strutturazione precisa. Non esisteva fino a pochi anni fa una cartellonistica decente e le didascalie degli anni Trenta si mescolavano a quelle moderne, in confusione grafica e ideologica. Era difficile persino seguire un itinerario, visto che le sale si rincontravano a casaccio e la metà erano chiuse. Ma ancora oggi molti preziosi modellini d’epoca – ma quelli in magazzino sono quasi il doppio – non sono protetti da teche di plexiglas; il personale d’inverno soffre il freddo per l’ampiezza degli ambienti, difficilmente riscaldabili. Ricordo che nel 1993 per la mostra Militaria (SME) furono aperte tutte le sale dalla mattina alla sera sette giorni su sette, ma  l’Esercito ci prestò una cinquantina di soldati di leva. Non esiste una sala convegni perché nessuno ha mai pensato ad allestirne una, forse per l’ostilità dell’ente EUR che gestisce già il Centro Congressi ed è il reale proprietario della struttura del MCR, al quale il Comune di Roma paga un modesto affitto. In ogni caso la grande sala all’ingresso del museo è ormai occupata dal nuovo Planetario, redditizio corpo estraneo che sostituisce il vecchio planetario Zeiss alla Sala Ottagona delle Terme di Diocleziano e ha riqualificato comunque il museo. Ma pur con tutte queste iniziative, il museo non riesce a contare più di 12.000 presenze all’anno, per la maggior parte scuole, e per questo motivo l’appalto per la libreria andò deserto due volte. Attualmente la società Zètema gestisce due punti vendita (Roma antica e Astronomia), ma per la ristorazione chi non si accontenta del distributore automatico deve farsi 400 m. a piedi fino al bar più vicino. Niente male come accoglienza, anche se problemi simili li hanno tutti i grandi musei dell’EUR, ovvero il Pigorini e il Museo delle tradizioni popolari e quello dell’Alto Medioevo. Quello delle Poste è chiuso, quindi non fa testo.

Ma passiamo ora alla parte immersa dell’iceberg. Pochi sanno che i sotterranei (spettrali) sono pieni di plastici e calchi pieni di polvere, in quantità pari al materiale esposto. Aggiungo pure che nel Museo esiste una buona collezione di libri e riviste d’epoca, pubblicazioni destinate alla biblioteca del Museo dell’Impero e che solo ora si sta cercando di riordinare dopo sessanta anni di incuria. Impegnativa attività del Museo è invece la concessione ad altri musei o a editori e reti televisive dei calchi e delle foto del materiale esposto, immagini che, nei libri e riviste dove sono pubblicate, almeno ricreano una sorta di museo virtuale di continuo ricomposto, come abbiamo spesso visto nelle trasmissioni di Piero Angela. Altrimenti, una delle poche e ultime esposizioni in loco organizzata dal Museo fu quella di Traiano pochi anni fa, grazie alla dedizione di due funzionarie interne. Esposizione a costo zero, essendo stata organizzata esclusivamente con i materiali in magazzino, ma priva di seguito: Augusto quest’anno rimane fuori dal Museo.

Dunque, l’enorme spazio espositivo è sottoutilizzato; al che si dirà: quel museo costa troppo e rende poco. Ma non è un problema esclusivamente economico: il problema è ideologico. Investimenti a parte, almeno nel progetto iniziale il Museo dell’Impero Romano sarebbe stato perlomeno un buon Museo Fascista, ma privo di un’ideologia è diventato invece il Museo del Nulla, un esempio da manuale di de-significazione progressiva, di perdita di senso. Quel museo può sopravvivere solo con un’Idea forte, mentre la sua gestione è stata invece caratterizzata per anni da una costante mediocrità, fino a renderlo fino a non molti anni fa un Museo Zen. Ma per come si sono messe ora le cose, tanto vale ridare le chiavi all’Ente EUR e pensare seriamente a qualcos’altro. Ripeto: non è questione solo di fondi, ma di idee e della capacità di svilupparle. Finora però nessun progetto è riuscito ad andare oltre le buone intenzioni.

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Note:

(1)    Anche se il sovraintendente Broccoli non è riuscito a legare il suo nome a nessun progetto particolare, questo era almeno organico: si prevedeva di dedicare un piano per ogni era: Roma antica, Roma del Rinascimento e del Barocco, Roma moderna. Ma a parte il cambio di giunta in Campidoglio, la crisi economica avrebbe comunque smorzato l’ambizioso ma lungimirante progetto, che avrebbe ricollegato la documentazione della storia di Roma alla zona archeologica e ai Musei Capitolini, con un prevedibile afflusso di visitatori. Roma rimane l’unica capitale europea che non ha un museo della storia della città. Del progetto restano ormai solo le rassegne stampa:

http://archiviostorico.corriere.it/2007/aprile/19/Via_dei_Cerchi_addio_agli_co_10_070419010.shtml#

http://www.06blog.it/post/9911/nel-2011-i-lavori-per-il-museo-della-citta-di-roma-a-via-dei-cerchi-nelledificio-previsto-anche-un-hotel

(2) I Musei del comune di Roma dopo la seconda Guerra mondiale : A cura della ripartizione antichità e belle arti del comune di Roma . Roma, 1950

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Reggia di Carditello: Il recupero dopo il saccheggio

Lo sport maggiormente praticato nel Bel Paese d’Italia è l’atto di pentimento, da buona nazione cattolica, per ogni mancata scelta. Atti di costrizione che vagano tra le politiche sociali e quelle sul patrimonio artistico, per non dimenticare le incertezze nella politica estera e nei diritti civili, amareggiano molte persone che continuano a meravigliarsi di quanti tesori l’Italia continui a celare nell’indifferenza degli amministratori sino a quando la pubblica opinione riesce a scalfire l’analfabetismo dilagante e porre all’attenzione la necessità di preservare un bene come la reggia borbonica di Carditello.

Il Ministero ai Beni Culturali ha acquisito la Reggia di Carditello, esempio di villa agricola, ma solo dopo aver che ha subito continui saccheggi. Forse sarebbe opportuno interrogarsi, prima di gioire, se una testimonianza di un’epoca e di un concetto di agricoltura possa essere occasione di grassi affari prima di gettare in un pozzo milioni di euro e poi lasciarla bella e splendente in mezzo a cinque discariche, senza collegamenti e soprattutto con un deficitario programma di valorizzazione turistica.

Il professore Stefano Settis gioisce, ma dopo La Grande Bellezza è oramai ufficializzato che – bellezza fa rima con mondezza – sarebbe utile evitare che le cinque discariche presenti nelle immediate vicinanze della tenuta agricola non compromettano il suo sogno di renderla apparentemente produttiva a fini didattico turistici.

È opinione dell’arch. Eugenio Frollo, del Forum di Agenda 21, che saranno sufficienti una dozzina di milioni di euro, più di quello che è costata per acquistarla, per rendere la Reggia adatta ad accogliere i visitatori e possibili eventi. Forse l’architetto è ottimista o non è a conoscenza della proverbiale voracità dei politici e degli amministratori per far lavorare tutti e al più allungo possibile, senza dimenticare che, a differenza delle discariche presidiate da militari per l’alto valor strategico, per decenni il complesso è stato lasciato in balia dei saccheggiatori, spogliandola di tutto, anche dei gradini.

Dopo i lavori cosa rimarrà dell’originaria struttura, e si potrà ancora definire un intervento di restauro o sarà una sorta di ricostruzione post terremoto?

Saranno “subito” disponibili tre milioni di euro per i primi lavori, poi una fondazione, con i Ministeri dei Beni culturali, dell’Ambiente e dell’Agricoltura, enti locali e associazioni impegnate sul territorio, dovranno gestire le successive fasi.

I preventivi saranno solo indicativi e le spese sicuramente lieviteranno e alla fine tanto lavoro e fondi per nulla, perché una testimonianza settecentesca, assediata dalla mondezza anche se legalmente ordinata, non avrà infrastrutture necessarie per la promozione e l’accoglienza.

Non sarebbe opportuno elaborare un progetto complessivo che non preveda solo l’organizzazione dei lotti dei lavori, ma anche come rendere in futuro accessibile e fruibile il parco e la dimora?

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Il patrimonio di una città

Tutela e valorizzazione dei beni artistici di Roma, e non solo, sono nelle mani degli architetti e dei burocrati che tirano di conti.

Troviamo architetti che sanno gestire musei e biblioteche, curano la salvaguardia e il decoro dei monumenti e aree archeologiche, mentre i burocrati dell’amministrazione pubblica si trasformano in manager per la valorizzazione di questi tesori, spesso ignorandone la storia, mentre gli archeologi, gli archivisti, gli storici dell’arte e i bibliotecari occupano un ruolo di secondo piano, necessario per dare le informazioni appropriate e avallare le diverse scelte.

In un decennio è stato in crescendo il potere acquisito dagli architetti all’interno delle pubbliche amministrazioni, ma tutto è iniziato negli anni ’80, quando alla figura dell’architetto era stata assegnata la missione di risolvi guai. Una missione dovuta ai suoi studi umanistici, ma non troppo, e tecnici, ma senza eccessi, che rende l’architetto un professionista al disopra di qualsiasi peccato di specializzazione. Dove lo metti fa la sua figura!

I primi riconoscimenti per i servizi futuri l’architetto li ottenne negli anni della Legge 285/77, quando si diede un forte incentivo al lavoro giovanile nell’ambito della cultura, ma con gli anni si è consumata un’aberrazione della missione che ha emarginato ogni altra figura professionale.

Gli equilibri si sono rotti e gli architetti, in quantità industriale, sono diventati i depositari della cultura mentre sembra che nessuno si sia accorto di questa invasione.

Uno, solo un architetto si è dimostrato degno di tracciare un’indicazione valida per la cultura, ma dopo gli anni ’80 hanno cercato di emarginarlo.

Un architetto come Renato Nicolini che non era solo l’inventore dell’Estate Romana, ma aveva anche aperto le biblioteche e i musei, senza scopi di lucro, coinvolgendo quello che allora si chiamava realtà nel territorio.

Gli altri architetti difficilmente dimostrano un’apertura mentale disposta alla collaborazione. L’ego è così spropositato nel perseguire il sogno dei politici nel lasciare un segno del loro passaggio, ma spesso è solo simile a ciò che rimane sull’asfalto dopo il passaggio dei trasporti equestri.

Equini, ovini o bovini che siano cambia solo la grandezza del danno, seguendo questa scia che da qualche anno anche i burocrati del pallottoliere vogliono ritenersi importanti, sentendosi capaci di poter quantificare la potenzialità della cultura espressa in Euro.

Non è possibile racchiudere tutto in uno schema di costi-benefici a breve scadenza, ma è necessario avere uno sguardo verso il futuro per avviare una reazione a catena che porti nello strabordante patrimonio italiano la scintilla per una ripresa economica, ma questo non avverrà se i burocrati tramano con gli architetti per un bilancio politico e non per un investimento futuro.

Praticare il risparmio in modo sconsiderato o l’allungamento dei tempi nell’utilizzo dei fondi non offre nessun vantaggio economico, ma solo lo sperpero di un patrimonio.

Una goccia nel mare dell’incuria che può andare persa se non si sollecita l’intervento del Capo dello Stato attraverso l’adesione alla lettera su Change.org.