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Voglia d’Italia

Un titolo singolare, forse anche criptico, per una mostra singolare. La spiegazione si ha con il sottotitolo “Il collezionismo internazionale nella Roma del Vittoriano”; si tratta dell’esame del fenomeno collezionistico che interessò, fra la seconda metà dell’800 ed il primo decennio del secolo successivo, numerosi esponenti di classi alto borghesi generalmente di origine anglo-sassone e spesso residenti in Italia. La mostra si articola presso due sedi, visitabili con unico biglietto, Palazzo Venezia ed i sotterranei del Vittoriano. La prima parte, suddivisa in sette sezioni, è ospitata nell’ appartamento Barbo e nelle grandi sale del primo piano ed esamina la vita, l’attività collezionistica ed infine la donazione dei coniugi George Wurts ed Henrietta Tower. Il Wurts, diplomatico statunitense, e la Tower, ricca ereditiera, a fine ‘800 si stabilirono a Roma in Palazzo Antici Mattei iniziando a frequentare la migliore società e ricevendo in casa e nella Villa Sciarra, acquistata nel 1902, dove organizzavano spesso concerti ed incontri musicali. Nel corso della loro vita i Wurts furono collezionisti bulimici raccogliendo opere d’arte e oggetti comuni antichi o esotici, nelle varie sezioni si susseguono informazioni sulla loro vita, sulle prime raccolte di una varietà di oggetti russi, giapponesi, cinesi, tedeschi: si va da statuette lignee a paraventi laccati, da dipinti a libri, a bronzetti, a porcellane. Non ci sono capolavori, sono opere di artigianato di qualità ammassati senza alcun odine preciso, secondo informazioni d’epoca gli oggetti erano usati come elementi di arredamento con criteri molto personali che avevano alla base un sentito horror vacui. Tale arredamento “stile Vittoriale” era diffusissimo nelle dimore nobiliari ed alto borghesi del giovane Regno d’Italia.Tra il 1928 e il 1933 i due coniugi lasciarono in eredità la Villa e la loro raccolta di più di quattromila pezzi allo Stato Italiano. Particolarmente interessante la seconda parte della mostra ospitata nei sotterranei del Vittoriano parte dei quali aperti per la prima volta dopo un accurato restauro; si transita per un grande locale, non facente parte della mostra, dove sono esposti progetti e plastici del Vittoriano presentati per il concorso e si giunge alle otto sezioni dell’esposizione. Si è accolti da una grande statua bronzea di Settimio Severo copia di un originale finito in Belgio e commissionata dal Wurts per la sua collezione, si prosegue in ampi sotterranei utilizzati ai tempi della costruzione del monumento per la lavorazione dei marmi dove sono ospitate opere di ogni genere provenienti da donazioni a favore di musei o istituzioni varie. Sono esaminate le personalità di illustri collezionisti di fine ‘800 e la storia delle loro raccolte fino alla loro donazione o dispersione e poi il mondo del collezionismo, la legislazione, il sistema delle aste, gli scambi e i rapporti tra artisti e mecenati. Pezzo forte è un busto in terracotta di Donatello originariamente sul portale di una chiesa del Mugello e ora negli Stati Uniti, seguono dipinti, maioliche e ceramiche opera di artisti contemporanei in stile relativo a varie epoche artistiche. Molto interessante è la sezione relativa ai falsi di cui è un vistoso esempio una Annunciazione in marmo venduta per un prezzo elevatissimo ad una collezionista statunitense come opera di Simone Martini ed invece scolpita dallo scultore moderno Alceo Dossena. Chiude la mostra una sezione dedicata ai fregi molto di moda all’epoca della costruzione del Vittoriano con esposte due parti di un fregio bronzeo scolpito da Angelo Zanelli, bozzetti per i mosaici del Vittoriano di Guido Bargellini, disegni preparatori di un fregio di Edoardo Gioja ed alcuni cartoni predisposti da Giulio Aristide Sartorio per il fregio dell’Aula di Montecitorio. Come già detto mostra singolare sia per la tematica svolta che per il tipo e la qualità degli oggetti esposti. L’organizzazione è opera di Civita, ricchissimo è il catalogo di ben 520 pagine edito da da arte’m. Nella Sala Regia di Palazzo Venezia nei giorni 22 dicembre, 20 gennaio e 16 febbraio alle ore 21 saranno tenuti concerti jazz.

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Voglia d’Italia
Il collezionismo internazionale nella Roma del Vittoriano
Dal 7 dicembre 2017 al 4 marzo 2018

Roma

Palazzo Venezia
Ingresso da Piazza Venezia
Martedì/Domenica 8.30 – 19.30 (chiuso il lunedì)
La biglietteria chiude un’ora prima

Gallerie Sacconi al Vittoriano
Ingresso da Piazza Venezia e da Via del Teatro di Marcello (lato Aracoeli)
Tutti i giorni 9.30 – 19.30
La biglietteria chiude un’ora prima

informazioni:
tel. 06/32810
http://www.gebart.it/

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La Belle Epoque al Vittoriano

Mostre Boldini - Franca Florio aLa pittura sontuosa ed elegante, le linee sinuose, le dolci cromie di Giovanni Boldini sono in mostra al Vittoriano; sono esposte circa 130 opere provenienti da almeno 30 musei italiani ed esteri e da altrettante collezioni private; sono in mostra anche una trentina di dipinti di artisti suoi contemporanei per un utile ed interessante confronto. E’ una rivisitazione dell’arte del pittore alla sua epoca di grande fama ed poi purtroppo un po’ in ombra e che la mostra si incarica di riabilitare completamente. Il Boldini nacque a Ferrara nel 1842 e fece il suo apprendistato con il padre, pittore di tipo accademico, fu poi a Firenze a contatto con l’ambiente dei Macchiaioli di cui per qualche tempo seguì lo stile. Il salto di qualità lo fece trasferendosi a Londra dove acquistò larga notorietà come ritrattista dell’alta società.

Nel 1871 si spostò a Parigi, pur con frequenti viaggi in Europa, frequentando gli Impressionisti ed appoggiandosi alla Maison Goupil dell’omonimo importante mercante d’arte; attraverso la Contessa Gabrielle de Rasty, che divenne sua amante, entrò in contatto con la nobiltà e l’alta borghesia parigina. Assieme ai suoi compatrioti De Nittis e Zandomeneghi, un trio noto come “les Italiens de Paris” si specializzò nella ritrattistica effigiando i maggiori esponenti della vita mondana e della cultura internazionale. Si distinse per una eccezionale abilità tecnica, per l’uso accattivante del colore, per le linee dolci, caratteristiche che fecero di lui un maestro nell’interpretazione dell’eleganza femminile e dei costumi dell’alta società del suo tempo. Per molti anni fu uno dei pittori più richiesti dai committenti, apprezzato e corteggiato dal bel mondo fino a diventare uno dei simboli della Belle Epoque.

La Grande Guerra e gli epocali mutamenti sociali ed economici intervenuti negli anni Venti del ‘900 spazzarono via il suo mondo di grazia, di stile, di eleganza e misero in ombra il Boldini che morì a Parigi, quasi novantenne, nel 1932.

La mostra si articola in quattro sezioni: la prima, “la luce nuova della macchia” (1864-1870), riguarda il suo primo periodo fiorentino e i rapporti con i Macchiaioli, la seconda, “La Maison Goupil tra chic e impressione” (1871-1878), tratta dei suoi esordi parigini e dei suoi contatti con gli Impressionisti, la terza, “la ricerca dell’attimo fuggente” (1879-1890), è relativa al suo periodo di maggior fama ,alla quarta infine, “Il ritratto della Belle Epoque” (1892-1924), appartengono gli anni dei grandi ritratti, tra cui quello di Giuseppe Verdi, con un ripetersi di immagini sensuali, colorate, piene di vita. Le donne sono bellissime, con lunghi colli flessuosi, con forme generose, gli uomini seri, austeri, con un’eleganza semplice e severa. I suoi ultimi dipinti, di poco anteriori alla guerra. Risentono di un qualche influsso delle nuove mode, quali il futurismo di Boccioni, quasi un tentativo di “adeguarsi” con colori stridenti ed ampie linee di movimento. Ma ormai l’arte del Boldini era al tramonto, la Storia aveva distrutto il suo mondo, le Avanguardie artistiche demolivano la figura, annullavano il disegno, scomponevano il colore.

La mostra è un susseguirsi di immagini piacevoli e, soprattutto nelle sezioni terza e quarta, una sfilata di ritratti femminili di grande fascino. Tra loro spicca quello della Baronessa Franca Florio che ha una storia interessante; fu dipinto nel 1901 ma non fu apprezzato da Don Ignazio che trovò il ritratto troppo scollato e provocatorio e sostituito nel 1903 da un altro successivamente sparito.

Il primo, conservato nello studio del Boldini, fu acquistato anni dopo da Donna Franca ma nel 1928, a seguito della bancarotta dei Florio, fu venduto e dopo diversi passaggi è finito nella raccolta Bellavista Caltagirone a cui è stato confiscato a seguito di una procedura giudiziaria; è eccezionalmente esposto in mostra e poi andrà in asta. Accanto ai dipinti sono esposte una quarantina di lettere scritte dal Boldini a Telemaco Signorini nel 1889 nella sua qualità di presidente della commissione d’arte per la sezione italiana dell’Esposizione Universale di Parigi del 1889.

La mostra è stata organizzata da ARTHEMISIA Group e dall’Assessorato alla Crescita Culturale del Comune di Roma.
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GIOVANNI BOLDINI
Dal 3 marzo al 16 luglio 2017

Complesso del Vittoriano
Roma

Orario:
da lunedì a giovedì 9,30 – 19,30
venerdì e sabato 9,30 – 22,00
domenica 9,30 -20,30
la biglietteria chiude un’ora prima

Catalogo
SKIRA

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Cronache di tela

hopper-cronache-americane-su-tela-1La mostra è suddivisa in sei sezioni: ritratti e paesaggi, disegni preparatori, incisioni e olii, acquerelli e immancabili immagini di donne, sono tutti i protagonisti della retrospettiva romana. Narrando l’incredibile potenzialità dell’esperienza quotidiana che caratterizzò la sua opera, l’esposizione vuole essere una vera e propria “cifra hopperiana”, ereditata in molteplici campi dell’espressione visiva che hanno reso i suoi quadri poster, copertine di libri e citazione cinematografiche.

Sfuggente e raffinato, poco avvezzo alla frequentazione del mondo dell’arte ma allo stesso tempo popolare, riconosciuto e amatissimo, Edward Hopper si distingue e si rende riconoscibile per la sua capacità di fotografare e trasformare in quadri i tratti e i modelli del mito americano.

Ieri come oggi amato da diverse categorie di appassionati, hopper-cronache-americane-su-tela-2nonostante – o forse proprio per questo – nella sua lunga carriera abbia perseguito una posizione fortemente “anti-avanguardista”.

Nelle sue tele c’è la frenesia di una ricerca del nuovo, quello dei bar di notte, delle strade desolate senza un’anima viva, delle pompe di benzina e dei paesaggi di campagna che egli stesso raccontò mettendo in discussione il sogno americano e indicando la strada di una rinascita oltre a quella della conquista di una esistenza più consapevole.

Le prime sezioni illustrano le opere del periodo accademico e gli schizzi inondati di luce e le opere del periodo parigino. Capolavori come Night Shadows (1921) ed Evening Wind (1921) mettono in evidenza la sua tecnica elegante e quel “senso di incredibile potenzialità dell’esperienza quotidiana” che riscuote grande successo e che segna l’inizio di una felice carriera.

Nella sezione che celebra la straordinaria mano di Hopper disegnatore e il suo metodo di lavoro, è presentato un importante gruppo di disegni preparatori come Study for Gas (1940), Study for Girlie Show (1941), Study for Summertime (1943), Study for Pennsylvania Coal Town (1947).

La mostra riunisce anche alcune delle più significative immagini di donne da sole e in interni, affaccendate o contemplative: dipinti che raccontano al meglio la poetica dell’artista, il suo discreto realismo e soprattutto l’abilità nel rivelare la bellezza dei soggetti più comuni, usando spesso un taglio cinematografico.

Non solo nei dipinti, ma anche nelle incisioni di cui era maestro, nei disegni, negli acquerelli, dall’inizio del secolo agli anni Sessanta del Novecento, la sua carriera inscena uno straordinario repertorio di motivi e generi della pittura figurativa: ritratto, paesaggio, scena d’interno sono i protagonisti dei suoi capolavori.

All’esposizione delle opere si aggiunge una sezione del tutto inedita, dedicata all’influenza di Hopper sul grande cinema come nei film che hanno per protagonista Philip Marlowe, i lavori di Hitchcock – Psycho e Finestra sul cortile -, quelli di Michelangelo Antonioni, fino ai diversi riferimenti hopperiani ne Il Grido, Deserto rosso e L’eclisse.

In Profondo rosso, Dario Argento ricostruisce come “Nighthawks” la sequenza del bar; in Velluto blue Mullholland Drive, il grande David Lynch s’ispira a molte opere di Hopper, così come Wim Wenders in Paris, Texas, Todd Haynes in Lontano dal Paradiso e i fratelli Coen in L’uomo che non c’era.

Working Title/Artist: Edward Hopper: The Lighthouse at Two Lights Department: Modern Art Culture/Period/Location:  HB/TOA Date Code:  Working Date:  photography by mma 1980, transparency #9ad scanned and retouched by film and media (jn) 5_16_07

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EDWARD HOPPER
Dal 1 ottobre 2016 al 12 febbraio 2017

Roma
Complesso del Vittoriano (Ala Brasini)

Prenotazione ingresso

Informazioni:
tel. 06/678.0664
prenotazioni tel. 06/8715.111

Sito web

Catalogo:
Skira

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Hopper Cronache americane su tela
di Gianleonardo Latini
dal Gambero Rosso
dell’agosto 1992

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Da Parigi il Museo D’Orsay

A Parigi, lo sapete tutti, c’è un Museo allestito all’interno di un ex stazione. Sto parlando, ovviamente, del Museo d’Orsay dal nome della famosa Gare d’Orsay. Ebbene questo splendido Museo ora, come dire, si rifà il look. Dall’idea primigenia di Gae Aulenti che lo pensò con pietra e luce diffusa a pareti scure e luci dirette. Il Nuovo Orsay, inaugurato nel 2011 e ancora oggi in ristrutturazione, comprende anche il nuovo modo di presentare quadri e sculture.  A raccontare, ora la storia di questo museo ci pensa una sezione dell’interessante esposizione inaugurata al Complesso del Vittoriano il 22 febbraio scorso (2014) e che chiuderà l’8 giugno di quest’anno. Si ha tutto il tempo per vedere le opere realizzate tra il 1848 e il 1914 dai più grandi maestri francesi di quel periodo. Sto, chiaramente, parlando di Gauguin, Monet, Degas, Sisley, Pissarro, Van Gogh, Manet, Corot, Seurat per parlare solo di alcuni artisti che la mostra ci offre. Il tutto attraverso settanta opere che partendo da quella pittura considerata accademica dei Salon e attraversando la rivoluzione impressionista arriva alle soluzioni formali dei nabis e dei simbolisti.

L’esposizione del Vittoriano Musée d’Orsay. Capolavori è curata da Guy Cogeval e da Xavier Rey ed è suddivisa dall’arte dei Salon alla Scuola di Barbizon, che darà inizio allo studio impressionista della luce e i pittori che ne fecero parte aprirono la strada al paesaggio impressionista.

Segue la sezione tra la modernità della tecnica impressionista e i soggetti rappresentati. La successiva sezione è tutta imperniata su quell’esperienza simbolista attraverso ritratti, scene di costume o paesaggi. Infine la sezione sull’eredità impressionista come i pointillisti che allargheranno ancora di più il limite della separazione delle macchie cromatiche portate avanti dagli impressionisti.

Ma voglio percorrere con voi l’itinerario della mostra, soffermandomi di tanto in tanto su alcuni dipinti e come spesso ho scritto, il consiglio è sempre quello solito. Vedersi l’esposizione una prima volta di seguito e ritornare un po’ a ritroso attraverso i dipinti che ci hanno colpito come ad esempio nella prima sezione quel La Jeunesse et l’Amour (Gioventù e Amore) di William Bouguereau (1825 – 1905) pittore accademico francese di modeste origini inglesi. Questo Gioventù e Amore rappresenta un nudo di donna dalle forme levigate e perfette intento nel rivolgere un sorriso all’amorino sulle sue spalle. Un bel dipinto come interessanti e validi sono i suoi oltre ottocento dipinti che ha prodotto. Eppure anche al suo tempo un certo Jules Castagnary definiva il guardare questa pittura come la responsabile di forti nausee. Il Castagnary, infatti, era tra i primi sostenitori del ‘nuovo’, appassionato di Courbet. Ma basta fare della Pittura, della Scultura o comunque dell’Arte che sia semplicemente il “nuovo”? E la bella pittura di Bouguereau? Se avete voglia andatevi a vedere sui motori di ricerca cosa ha veramente dipinto l’artista di origine inglese. Nella seconda sezione, Il paesaggio e la vita rurale: dal classicismo all’impressionismo, sono presenti artisti come Corot, Millet, Bazille, Monet, Pissarro, Sisley, Cezanne, Seurat e quel Paul-Camille Guigou (1834 – 1871) che a ventisei anni dipingerà Lavandaia sollecitato da Emile Loubon che lo spingerà alla passione per il paesaggio spronando lui e altri allievi a dipingere “dal vero”.

Veramente un’altra epoca, fuori dalle insignificanti installazioni a suon di video (viste e riviste) e di suoni che non hanno nulla a che vedere con la vera Pittura. Nella terza sezione: ‘Rappresentare la propria epoca: la vita contemporanea’, ci sono opere di Manet, Renoir, Degas, ancora Pissarro, ancora Monet e poi De Nittis.

Tutte opere abbastanza conosciute ma sempre godibilissime. A seguire la sezione Stati d’animo. La pittura simbolista e nell’ultima sezione, Dopo l’impressionismo verso le avanguardie del XX secolo, si può vedere il famoso dipinto L’italienne di Van Gogh.

Un viaggio di colore e di colori che attraversa poco più di sessanta anni di una pittura alla ricerca del “Bello”.

Ricca visione a tutti voi.

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Musée d’orsay Capolavori

Dal 22 febbraio all’8 giugno 2014

Roma

Complesso del Vittoriano

Ingresso:

12 € intero – ridotto 9,00 €

Orario:

dal lunedì al giovedì 9.30 – 19.30

venerdì e sabato 9.30 – 23.00

domenica 9.30 – 20.30

Informazioni:

tel. 06/6780664

Catalogo:

Skira

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 RMN169362NU 06 Mostre Capolavori Museo d'Orsay Bouguereau_La giovin#13E6BD06 Mostre Capolavori Museo d'Orsay Van Gogh_L'Italiana