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Artisti del o nel sistema della critica

Su ArtsLife con “L’opera d’arte è il sistema”, Marco Tonelli replica all’intervento di Achille Bonito Oliva su Robinson di Repubblica, aprendo un dibattito al quale hanno partecipato anche su FB critici e artisti come: Anna Cochetti, Luigi Massimo Bruno e Andrea Lanini

Va dato atto a Bonito Oliva che, piaccia o no, la sua affermazione che “non esiste l’arte ma il sistema dell’arte” (già codificata nel 2000 nel libro Arte e Sistema dell’Arte e oggi riaffermata) ha una certa dose di legittimità. Prendiamo il caso paradigmatico della Transavanguardia italiana. Un movimento inventato dal niente da un critico con l’appoggio di gallerie, musei, collezionisti e mercanti tra anni ’70 e ’80 del XX secolo. In pochi anni esce un manifesto pubblicato da un rinomato editore d’avanguardia. Un libro su una pseudo “teoria del manierismo e del traditore”, gli artisti dopo vari aggiustamenti vengono stabilizzati in numero di cinque. I quali all’interno di un ritorno mondiale della pittura tra USA, Germania, Francia, Spagna, pur con opere meno visionarie di Kiefer, Basquiat, Garouste o Barcelò, diventeranno nuove star del firmamento.” … (Marco Tonelli)

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  • Luigi Massimo Bruno

…Sapevamo, sapevamo…sono decenni che grido al vento quello che qui è detto più diffusamente. Ma io credo con forza e passione che l’opera d’arte esisterà sempre,nonostante tutto…Quello che qui è chiamato “il sistema” io chiamo più banalmente “il mercato” (critici,galleristi,mercanti), “Sancta Sanctorum” che decide come quando e perché; e questo aldisopra e aldilà del valore intrinseco della cosidetta opera d’arte, ma solo per mera decisione autonoma….anzi,più l’opera in sé è banale o sciatta o discutibilissima (inutile fare esempi) più è “manovrabile” e disponibile per assumere valori iconici di “oggetto” determinante (si dovrebbe risalire alla Pop Art e al valore del “gesto”).L’Artista fortemente individualizzato non serve ai “santoni” che decidono,nel loro gelido olimpo il “diktat” estetico; è utile l’artefice con le sue soluzioni vacue e anemiche, gusci vuoti pronti ad essere manipolati..Inutile dire che questo sottopone il mondo dell’arte a “mode” transitorie ed effimere che lasciano ben poco di sé ( chi parla più oggi di “transavanguardia?)..restano i pontefici, i burattinai che decidono il”sistema” o Mercato” come più vi piace. Questo ha determinato ormai la tempo la paradossale supremazia del critico sulla figura romantica dell’artefice, critico che manovra la sua “scuderia” di obbedienti operai….Ma siamo proprio così sicuri che questo freddo disporre di cadaveri e manichini siano le uniche bandiere che ci meritiamo del nostro contemporaneo estetico?

  • Andrea Lanini

L’idea che la Transavanguardia sia stata una furbesca invenzione di.Bonilo Oliva in accordo con i subdoli meccanismi del sistema non regge. Gli artisti

tedeschi di quel periodo ma anche francesi e perfino americani come Schnabel e Salle risentono di una atmosfera più generale, storica, senza la quale nè il

critico nè il sistema possono fare gran che. Opera, artista, critico, sistema e tutto .il resto andrebbero analizzati insieme con un distacco critico che prescinda

da personalismi polemid.

  • Anna Cochetti

Andrea Lanini … non credo che nelle posizioni critiche espresse da Marco Tonelli d siano “personalismi polemid” … e sono d’accordo con te che si debba

sempre studiare il periodo più in generale, lo “spirito dei tempi” … distinguendo però la moneta buona da quella che suona tarocca … Che ABO fosse il

“creatore” degli artisli della sua “scuderia” mi sembra di ricordare che in quegli anni fosse assodato e glorificato

  • Andrea Lanini

Anna Cochetli si si d’accordo e tra l’altro non ho mai avuto una gran simpatia verso quella operazione. Volevo dire però che Abo non l’ ha creata dal

nulla ma si è inserito in una fase storica di rinusso che é più degna di attenzione delle manovre dei singoli.

  • Anna Cochetti

Andrea Lanini … si … ma vero pure che non tutti sono rifluiti in quegli anni. .. di artisti fuori sistema dal sistema sistematicamente misconosciuti ce ne

sono … no?

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Aica: Una risorsa per la Cultura

L’Italia non ha mai particolarmente brillato nell’utilizzare i fondi europei per la cultura, come dimostrano gli scarsi investimenti richiesti con l’atteggiamento supponente verso gli altri paesi per il suo ricco passato artistico.

L’annoverare nella propria storia secoli d’arte e letteratura sembra che esenti i nostri governi di incrementare l’impegno nel conservare un posto di rilievo nel panorama culturale mondiale.

Vivere di rendita significa anche finire nell’indigenza a forza di consumare il patrimonio, un’Italia simile a dei letterati che non praticano la lettura e si ritrovano alla lunga analfabeti, dedicandosi solo all’eccellenza vinicola o dell’alta moda, ignorando la ricchezza della parola e dell’immagine, visto che nella musica contiamo ancora su Verdi e Donizetti.

Da questo scenario poco gratificante non si discosta ne anche L’Aica italiana, unica associazione di critica dell’arte riconosciuta internazionalmente, che continua a vivere nel torpore dei gloriosi anni ’60 della presidenza Argan, a differenza degli altri membri.

La sede centrale dell’Aica è a Parigi ed è affiliata all’Unesco come organizzazione non governativa (Ong) dal 1940, ed è riconosciuta e accettata presso i Musei e le Istituzioni artistiche di tutto il Mondo, ma sono anni che la sezione italiana ha intrapreso una strada in discesa ed è solo grazie all’impegno di poche persone come l’attuale presidente Cecilia Casorati che l’Aica non si è dissolta nel nulla in capziose discussioni sul ruolo critico – curatore e figurazione – astrazione, oltre a quello della pittura – fotografia.

Partendo dal semplice assioma che entrambi possono essere intesi come educatori, il dibattito non tiene conto del compito svolto dal curatore come critico, con il suo porre l’arte alle persone. Mentre il critico potrebbe preferire non scendere nell’arena dell’esposizione, ma limitarsi a un’attività di osservatore, diventando un tramite tra l’autore e il “lettore” dell’opera, cercando di far comprendere le contrapposizioni tra tematiche e mezzi.

Il ruolo del critico “militante” che, con il suo visitare gli studi, arricchiva il panorama con proficui confronti, sembra essere tramontato con il passare degli anni sulle spalle degli ex giovani critici, per essere soppiantato da quello del presenzialismo statico. Non più alla ricerca di nuove proposte, ma in attesa che pittori, scultori, fotografi e installatori si propongano, magari sotto le egide di una galleria.

L’arte in Italia è sempre stata dilaniata da sterili discussioni e latenti invidie non solo tra critici, ma soprattutto tra artisti, che hanno agevolato il predominio di altri paesi nel panorama mondiale, sempre più monopolizzato dalla presenza artistica cinese.

La crisi della cultura in Italia si deve anche dalle preferenze governative nel potenziare l’Aereonautica militare con l’acquisto degli aerei F35 dalla dubbia affidabilità e dalla provata necessità.

Una crisi che ha colpito anche l’Aica, ma ora il letargo sembra concludersi con l’annuncio del rinnovo delle cariche che avverrà a settembre con la presentazione di tre candidature per la carica di presidente (Renato Barilli, Raffaele Gavarro, Anna Maria Nassisi), ognuna con un differente approccio alla critica dell’arte, ma con l’unica intenzione di porre l’Aica come punto di riferimento per la conoscenza del contemporaneo, senza mettersi in concorrenza con l’associazione degli storici dell’arte.

L’Aica, oltre a promuovere e difendere gli interessi di categoria, si dovrebbe impegnare nella conoscenza delle arti visive e dell’estetica di ogni cultura anche tramite il sito non proprio all’altezza di quello delle altre sezioni, come reca nello statuto, attraverso una rete nazionale e internazionale dei suoi soci.

Un traguardo pieno d’insidie e difficoltà, non ultimo quello di riconquistare il ruolo d’interlocutore affidabile per le istituzioni, da qualche tempo occupato dalle gallerie private poco inclini a proposte fuori dai loro interessi non solo economici, perché l’Aica ritorni a essere una garanzia per l’evoluzione dell’arte.

Ogni sezione dell’Aica si differenzia dalle sue consorelle nel rapportarsi con l’arte e la sua quotidianità, ma ogni ambito ha un suo posto nella cultura del paese, soprattutto quando sceglie di essere una voce critica verso le politiche governative non solo nell’ambito artistico.

Il futuro per l’Aica ha le fattezze dell’Europa nell’interloquire in modo ufficiale con tutte le rappresentanze dell’associazione, proponendo delle iniziative in partnership con le istituzioni e gli enti preposti alla promozione della cultura italiana come la Società Dante Alighieri, per accedere ai finanziamenti della Ue.