Archivi tag: Dino Campana

Post d’Arte: da Pasolini a Pietro Marussig

Pasolini

Intelligente senz’altro, ma discutibile su molti piani (e non solo per le sue scelte di vita): non è tutto oro poetico che luccica il suo, fatta eccezione per “Le ceneri di Gramsci” di foscoliana malinconia. Ma non è vero, come diceva Moravia, che è stato il più grande poeta del novecento… preferisco Alfonso Gatto, Umberto Saba, Ungaretti, Dino Campana e altri ancora… Mi interessava fare il suo ritratto, non tanto per il suo valore di scrittore, ma per l’oscurità della sua tragica vitalità.

Preraffaelliti

Solo una pretesa intellettuale il desiderio dei preraffaelliti di “resuscitare” la gloriosa pittura del ‘400 italiano… naturalmente era impossibile, così che la loro estetica si configura nelle ultime frange del Romanticismo fine ottocento, pregnante di decadentismo letterario. Ma aldilà di questo peccato originale la loro pittura è degna di lode per la capacità tecnica e per una certa dimensione dolcemente crepuscolare che ne fà la loro cifra.

Quale pittura

Vedo che in pittura torna a trionfare il Surrealismo, Simbolismo, Misterismo e tutti i labirinti enigmatici possibili… Non so, ma aldilà delle indubbie capacità tecniche avverto “contorcinamenti” cervellotici magari stupefacenti, ma che non mi commuovono… E’ come trovarsi in un salotto di gente raffinata e colta (anche troppo!) ed aver voglia improvvisamente, di scambiare qualche battuta liberatoria con il cameriere che ci porta il thè!

Emilio Longoni

Delizioso intimismo sulla traccia tutta tardo ottocentesca dell’attenzione per gli umili e la piccola quotidianità (Palizzi, Toma, Mancini), qualità del resto comune con l’estetica dei macchiaioli e del loro lirico provincialismo.

Emile Vernon (1872-1919)

Ecco l’esempio, di quei tempi, di una  pittura  pur tenera e affettuosa nel ricordo, ma tipicamente corriva da ebdomadario per modiste.

Pietro Marussig, 1879-1937, “Figura al balcone”

C’è qualcosa di ingenuo, o se preferite di infantile, nelle evidenti sproporzioni o nel taglio grossolano di alcune parti, temo non tutte volute e architettate… Ma in tutto ciò vi  è un’aria di domestica semplicità e di una poesia del quotidiano che rimanda inevitabilmente ad altri tempi e a trascorsi ambiti familiari evocati con naturalezza e sincerità..

Santa Maria della Pietà

Sono tornato nel comprensorio di Santa Maria della Pietà dopo anni, ma solo per ottenere la carta d’identità elettronica (CIE) presso l’ufficio del Municipio. Abito in realtà dall’altro capo di Roma, ma la prenotazione meno dilazionata era lì, quindi ho preso il treno urbano come una volta e sono sceso alla stazione di Monte Mario. Ho infatti lavorato per dieci anni nella locale biblioteca circoscrizionale e quel treno era la mia salvezza: era il classico treno dei pendolari, ma da casa impiegavo una mezz’ora, evitando chilometri di traffico dal centro fino alla via Trionfale. All’epoca il Manicomio era stato ufficialmente chiuso grazie alla legge 180 (o legge Basaglia), da poco approvata (13 maggio 1978), mentre io iniziai a lavorare qualche mese più tardi. Per anni la nostra biblioteca lavorò in stretto contatto con gli operatori sanitari e psichiatrici per inserire gli ex-degenti psichiatrici nelle nostre attività: ricordo un memorabile laboratorio di poesia che fu infine sviluppato in un libro stampato coi fondi comunali per la cultura. Ma ricordo anche il quartiere popolato per anni da alcuni degenti sbandati. La legge Basaglia non ha mai detto che la follia non esiste, né prescriveva l’abbandono criminale degli ex-degenti psichiatrici. Diciamo che è stata applicata la prima parte del discorso, ma non la seconda, ma non certo per colpa di Basaglia. Le strutture di sostegno agli ex-degenti alternative alla reclusione non sono mai andate a regime, eppure sono passati più di quarant’anni dalla  legge 180, che comunque finora non è stata adottata da nessuno Stato oltre l’Italia.

Ma torniamo al Comprensorio. All’epoca gli edifici erano conservati in modo uniforme, oggi il restauro e la manutenzione sono lo specchio esatto della parcellizzazione degli spazi. Si poteva programmare un uso civico omogeneo e coerente di questa immensa struttura – magari riunire tutte le cattedre di medicina, psichiatria e psicologia e farne un polo universitario di eccellenza –  e invece gli spazi sono stati divisi per “quote”. Un padiglione al Municipio, un altro a una cooperativa, un altro alla direzione sanitaria dell’ASL, un altro a un’associazione culturale, poi c’è il “Museo della Mente” e poi ancora l’ambulatorio veterinario. Basta entrare nel comprensorio: lo stato di conservazione dei padiglioni (ma quanti sono?) non è omogeneo, la manutenzione dei viali e delle aiuole non si capisce a chi compete ed è ben diversa dal giardino ordinato che ricordavo. Ora sembra tutto un cantiere nella savana e in più la segnaletica è molto carente: fatico non poco per trovare il padiglione giusto, quello dei servizi demografici del Comune (un altro è dedicato al turismo!). E dire che per ben due volte ho fatto il servizio elettorale come presidente di seggio speciale proprio dentro i padiglioni “chiusi”, quelli dove ad esaurimento stavano i degenti gravi non autosufficienti. Esperienza surreale: liste elettorali non aggiornate, elettori dementi. Ma siccome l’incapacità di intendere è giuridica e nessuno si era preso la responsabilità di occuparsene, anche gli psicotici avevano ancora diritto di voto. Ovviamente le operazioni di voto e di scrutinio si svolgevano in modo anomalo. Alcuni degenti li avrei riconosciuti in un film di Silvano Agosti, La seconda ombra (2000), dedicato appunto alla figura di Basaglia. Generosamente, Silvano li scelse per impersonare se stessi come protagonisti. Prima di questa esperienza ero entrato solo un paio di volte nell’area peraltro molto vasta: di progetti per l’ex-manicomio ne furono pensati tanti e ricordo almeno un paio di iniziative teatrali o di animazione. Ricordo anche un laboratorio di danza moderna affidato a un coreografo di origine americana, di cui restavano dopo qualche anno solo le tavole di legno divelte dal pavimento. Molti infissi o suppellettili furono anche saccheggiate dagli operai dei cantieri (le maniglie d’ottone vintage, p.es.), né la successiva presenza di un campo nomadi a pochi metri dal recinto esterno deve aver migliorato la situazione.

Faccio comunque la fila all’esterno del padiglione del Municipio (con il covid, dentro non può stare troppa gente) e devo dire che gli impiegati sono molto gentili. Ma prima di uscire da questo luogo ameno faccio una foto: qualcuno ha fatto un murale con il volto di Alda Merini, e questo era un omaggio doveroso. Peccato che nessuna biblioteca interna sia stata mai dedicata a Dino Campana.