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Un Nobel in conflitto d’affari

Mai un riconoscimento come quello del Nobel, per l’impegno a favore della Pace, è stato tanto spudoratamente disatteso come sta avvenendo con il comportamento dell’Unione europea per la sua non decisione sull’embargo di armamenti verso la Siria. Qualche dubbio sull’opportunità di conferire quel riconoscimento all’Ue, motivato per il contribuito che aveva dato alla riconciliazione, alla democrazia e ai diritti umani in Europa, era stato comunque in precedenza sollevato, vista l’incapacità di fermare prontamente il massacro nei Balcani e l’aver ripetutamente taciuto sulle tragedie del Mediterraneo, oltre ad operare con una forza militare quale è Frontex per dissuadere l’umanità disperata di trovare in Europa un luogo dove vivere.

E’ con questi precedenti che la Ue ha dunque affrontato lo scorso 27 maggio a Bruxelles il nodo siriano, con i ministri degli esteri dei diversi stati, e ha pensato di risolverlo togliendo l’embargo sulle armi alla Siria. In prima fila a sollecitare le forniture militari all’Opposizione siriana ci sono la Gran Bretagna e la Francia che, constatando l’incapacità dell’Occidente a fermare il quotidiano massacro di civili che dura da due anni, hanno pensato di trarne profitto – come sta facendo la Russia – smerciando armi proprio ora che si entra nel vivo della preparazione per la Conferenza di Pace di metà giugno a Ginevra, l’appuntamento sembra slittare a luglio. Nel frattempo l’Opposizione siriana continua a discutere in riunioni interminabili, l’ultima delle quali si è protratta a Istanbul per giorni e giorni senza alcun risultato, per marcare la divisione tra posizioni laiche e islamiste.

Si continua a parlare di pace, ma tutti sembrano soffiare sul fuoco, trasformando la Siria autoritaria, con un’economia turistica stabile e una posizione geopolitica di garanzia nell’area mediorientale, in terreno di scontro tra sunniti e sciiti, tra Russia ed Europa, tra Cina e Stati uniti, tra laicità musulmana e islamismo. Creando sodalizi pericolosi come tra Iran e Iraq in una sorta di alleanza sciita per emarginare le altre componenti dell’Islam.

Per ora il campo di battaglia tra le due componenti islamiche si svolge cruentamente nel territorio siriano, con mercenari e fanatici che arricchiscono uno scenario circoscritto, ma la situazione ribolle in Iraq con la silenziosa mattanza quotidiana e nell’attiguo Libano con una complesso alternarsi di alleanze variabili. In più, combattenti stranieri in ambo gli schieramenti, fondamentalisti con Bashar al-Assad e con chi gli si oppone, mercenari e idealisti che si fronteggiano. In occasioni simili mai è risultato saggio affidarsi a mercenari per conservare il potere. Ma il fronteggiarsi di sunniti e sciiti (difficilmente comprensibile fuori dell’Islam) pervade gran parte del mondo islamico. In Iraq, al tempo di Saddam Hussein, era la minoranza sunnita a detenere il potere, ora i ruoli sono invertiti, con i sunniti a trovarsi limitati nei diritti e organizzare attentati. Nel Bahrein la minoranza sunnita controlla invece con autorità gli sciiti. E in Pakistan sono frequenti gli attentati nei confronti della comunità sciita.

Più semplicemente la Russia gongola, guardando la Ue che si divide, ambendo ad essere egemone nell’emisfero settentrionale, mentre la Cina scansa gli Stati uniti da quello meridionale. E dopo che il regime di Bashar al-Assad è stato continuamente foraggiato in armamenti da Russia e Iran, ora è la volta che l’Europa procuri armamenti adeguati a rendere più equilibrato lo scontro e accrescere le file di vedove e orfani. I contrasti religiosi e culturali sono un lucroso affare per i mercanti d’armi e un modo per risollevare dalla crisi l’Occidente che detiene la maggioranza della produzione bellica.

L’Europa nel suo non decidere unitariamente si dimostra incapace di mostrarsi come degli stati con un unico futuro. Non è la zona euro a essere in crisi, è l’idea complessiva dell’Europa, con rappresentanti succubi dei governi nazionali e una leadership opaca.

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L’Egitto e la Laicità

Il secondo anniversario della rivoluzione che ha deposto Hosni Mubarak è stato segnato da una protesta dilagante contro i Fratelli musulmani e il loro presidente.

OlO Egitto Prove di laicità Egitto mohamed_morsi_egittoDue anni dopo, le tende sono ancora in piazza Tahrir. Alla rivolta dell’opposizione contro la deriva islamista Morsi ha risposto ordinando di cancellare i murales “critici” e mettere sotto inchiesta la satira, se non basta far intervenire l’esercito.

Una rivoluzione spontanea senza una leadership, caratterizzata dall’utilizzo dei social network come Facebook e Twitter. I siti web varia informazione come quello The National Council for Women dedicato alle donne che manifestano o Join 18 Days In Egypt che si rivolge a chi ha vissuto i giorni di piazza Tahrir per raccogliere ogni testimonianza dei giorni della protesta. In un twitter si affermava che L’Egitto viene trasformato in inferno da gente che pensa di andare in Paradiso.Egitto Donne sidi-henesh-047-001 La violenza sui manifestanti si trasforma in vere aggressioni sessuali nei confronti delle donne che si sono organizzate realizzando il sito Harassmap per segnalare episodi di molestie sessuali via SMS in forma anonima o i gruppi di difesa delle donne denominati Tahrir Bodyguard anche su Twitter che non si limitano ad una presenza sul web, ma girano con caschetto e pettorina fosforescente, per garantire il diritto delle donne a manifestare e contro i predicatori impegnati ad addossare ogni responsabilità delle aggressioni sessuali alle vittime. Secondo gli islamismi sono le stesse donne ad essere responsabili dei loro stupri se si mescolano con gli uomini per partecipare a raduni.

A queste deliranti affermazioni si contrappone la campagna contro le molestie sessuali anche attraverso i disegni sul blog che è un omaggio alle donne.

Egitto Donne mohamed-mahmoud-mural-008-001Una domanda che molti si pongono è se Morsi, il signor nessuno sino al momento della sua elezione a presidente dell’Egitto post Mubarak, a tenere le redini della nazione o sono i suoi Fratelli Musulmani a suggerirne la sua condotta? Di certo c’è che l’Egitto non può fare a meno degli investimenti esteri come i 20miliardi di dollari del Qatar o il discusso ponte sul Mar Rosso promosso dall’Arabia Saudita e che allarma gli ambientalisti. All’Egitto necessita anche il prestito dai 3,2 ai 4,8 miliardi dollari dal FMI (Fondo Monetario Internazionale), richiesto dal governo egiziano per affrontare la crisi finanziaria e il deficit di bilancio, tanto più ora che il turismo sembra un ricordo, nonostante l’impegno del presidente di garantire la sicurezza dei turisti, e Morsi si esibisce nel rincaro di tasse sulle sigarette, birra, bevande analcoliche, elettricità, oltre che su una serie di licenze, sulla pubblicità e nel settore immobiliare.

Nel panorama di precarietà finanziaria l’Egitto conta sul prestito della Banca per lo sviluppo africano (AfDB), per sostenere l’economia nazionale e finanziare progetti di sviluppo specifici, e sul rinnovo degli impegni stipulati dagli Stati uniti, non solo a livello militare, con il precedente governo.

La crisi economica rappresenta in Egitto un argine contro la pressante imposizione di una religiosità sfrenata nella struttura statale. Morsi deve rendere conto alle varie organizzazioni e ai singoli stati dei prestiti e debiti contratti con l’Occidente e il Mondo arabo.

Gran parte degli egiziani sentono che due anni di cambiamenti sono serviti a tradire la rivoluzione e percepire Morsi schiacciato tra gli accordi internazionali e la fratellanza musulmana.

I Fratelli musulmani sono nati come una società di mutuo soccorso, ma in questa fase politica sembrano presi solamente dalla gestione del potere, mettendo in secondo piano le quotidiane necessità dell’egiziano mussulmano o copto che sia.OlO Egitto Prove di laicità Egitto Cibo Divide breadboy

Le famiglie egiziane sono diventate più vulnerabili non hanno abbastanza soldi per comprare cibo, vestiti e riparo. Questa è la conclusione dell’ultima indagine dell’Egyptian Food Observatory’s.

L’Egitto non riesce a risollevare il turismo e dare sicurezza al turista, con i ciclici scontri tra sostenitori e oppositori di una vita laica e gruppi islamisti armati che vagano nel deserto pronti ad intervenire.

Solitamente le crisi economiche sono foriere d’instabilità politica, ma per l’Egitto può diventare l’unica possibilità di uno status quo tra i fautori di un’islamizzazione della vita quotidiana e chi non vuol rinunciare alla laicità dello Stato, anzi vorrebbe accrescere i diritti dei singoli.

In Egitto la laicità della vita pubblica non appartiene al contesto filosofico, ma semplicemente finanziario: non eccedete nell’introduzione di esternazioni religiose nella quotidianità pubblica e vi mancherà il sostennio anche finanziario dell’Occidente. Niente discriminazione verso chi non porta alcun tipo di velo o di abbigliamenti riconosciuti rispettosi dell’islam.

Le agenzie di rating continuano a declassare i titoli egiziani e la disoccupazione aumenta. Si aumentano i prezzi di alcuni generi per poi recedere su alcuni. Una continua acrobazia per confondere la popolazione e far sembrare i governanti sensibili alle necessità della popolazione.

Un apparente status quo, perché Morsi e i suoi sponsor continuano ha prendersi ampi spazi di potere, attraverso le vie istituzionali e con sotterfugi, per poi restituire un po’ del maltolto dopo le furiose manifestazioni di piazza e le proteste nel web.

Un web che si è mostrato utile per far crescere l’indignazione con la messa in Rete del video che pare documenti il trattamento riservato a un uomo nudo dalla polizia.

Se ci si domanda se Morsi o la Fratellanza Musulmana è a tenere le redini del potere in Egitto è ancor più enigmatico il ruolo delle forze armate che sempre più spesso svolgono attività di polizia e di barriera in difesa delle sedi istituzionali minacciate dai manifestanti.

Il Governo si affida all’esercito, scegliendo di schierarlo a difesa dei principali edifici pubblici, oltre che dei commissariati, ma le forze armate hanno metabolizzato le epurazioni che le hanno colpite o stanno attendendo che l’esasperazione della popolazione renda “necessario” il loro intervento.

OlO Egitto Prove di laicità Limes Egitto 0113_cover_250x313Intanto il presidente Morsi riunisce il Consiglio di Difesa per far fronte al caos in cui sta precipitando il Paese e tende la mano all’opposizione laica che continua ad presentarsi in ordine sparso, provando a formare un governo di unità nazionale.

Una rivoluzione tradita è il titolo che dal 2011 rimbalza e ricorre periodicamente sulle testate giornalistiche di vari paesi.

Il periodico Limes, nel suo ventesimo compleanno, dedica a “L’Egitto e i suoi Fratelli” gran parte del numero di febbraio per ripercorrere i due anni che hanno scandito le speranze degli egiziani e avere qualche informazione di più se la “Primavera” araba non si stia trasformando in un inverno islamico.

Un’Europa in ordine sparso

Per alcuni l’Europa è una matrigna uscita dalla più orrida delle favole più che una benevola madre. Una benevola madre di 60anni che ha espresso il meglio nei suoi primi anni di crescita mentre i restanti li ha spesi a guardarsi i personali ombelichi. Uno sport ben noto in Italia, rendendo l’Unione europea sempre più simile a un carrozzone non tanto differente a quegli enti italiani istituiti per non far soffrire di disoccupazione una moltitudine di “capaci” burocrati e politici dispersi in un labirinto di commissioni e sotto strutture.

Un’unione divisa nel Consiglio europeo e nella Commissione europea e per questo c’è chi ha meritato il Nobel per la pace con la motivazione per “i progressi nella pace e nella riconciliazione” e per aver garantito “la democrazia e i diritti umani” nel vecchio continente.

È certo che un’Europa annientata da una guerra ha saputo accogliere nelle utopie di Altiero Spinelli una via d’uscita dal confronto distruttivo tra nazioni per una cooperazione di crescita, ma ora che all’Europa è stato assegnato il Nobel per la Pace è comprensibile pensare ad un premio postumo assegnato ai padri fondatori dell’Unione per i primi decenni della sua crescita.

Ripercorrendo ora alcune scelte e alcuni tentennamenti come quelli sulle guerre Balcaniche o sull’immigrazione è difficile giustificare questo Nobel.

Un’umanità che affronta attraversate perigliose, in cerca di un approdo sicuro a tanta violenza e fame, viene poi respinta o rinchiusa in strutture più simili a carceri che a centri di accoglienza.

Un trattamento riservato verso il prossimo e tollerato nei paesi europei del Mediterraneo, ma ben diverse sono le possibilità che gli extracomunitari possono avere se riescono a raggiungere le terre più a nord. Assistenza, semplificazioni burocratiche per le richieste di asilo, ma è soprattutto raro un trattamento equiparato ad quello di un incallito delinquente.

L’istituzione nel 2004 della cosiddetta agenzia europea delle frontiere denominata Frontex è la dimostrazione della coesione dei 27 Stati nel fare “fronte” unico contro le deboli minacce e della divisone quando gli interessi si sovrappongono o si confliggono. Con Frontex l’Unione europea istituisce il suo braccio armato per tenere lontano i migranti in cerca di un luogo lontano dalle guerre e dalla fame. Mentre è difficile realizzare un esercito europeo per intervenire in missioni d’interposizione e protezione della popolazione civile, ne sono un esempio in ambito europeo i conflitti Balcani, è stato invece estremamente semplice dar vita in pochi anni ad una centrale di comando a Varsavia di un gruppo di polizia fornito di aerei, elicotteri, navi e attrezzatura elettronica per il monitoraggio delle frontiere terrestri e marittime, attuando in diversa forma la reclusione e il respingimento.

L’Unione europea è anche detentrice di una contraddizione sul suo rapportarsi con le minoranze culturali per le quali stanzia fondi per l’integrazione e la difesa delle tradizioni. Nel caso dei cosiddetti Zingari – Rom, Sinti e Camminanti (RSC) – finanzia un progetto per superare discriminazione e pregiudizio, dei quali ne sono oggetto, come la Campagna DOSTA! e garantire a tutti i bambini rom di portare a termine il ciclo della scuola primaria e magari alleviare le difficili condizioni in cui spesso vivono.

Il ruolo dell’Europa è debole e gli stati che ne fanno parte sembrano più propensi all’indebolimento del Vecchio Continente nel panorama internazionale che al rafforzamento dell’Istituzione ed è in questo ambito che leader politici come Daniel Cohn-Bendit e Guy Verhofstadt hanno prodotto un libro Per l’Europa! (Mondadori) per sollecitare un comune impegno dimostrando di aver meritato il Nobel e non di essere un altro premio alle buone intenzioni. Un altro e differente punto di vista sull’Europa è dato dal libro di Mario Monti e Sylvie Goulard Della democrazia in Europa (Rizzoli).

Alla fine di ottobre il Parlamento britannico con una votazione chiede al premier David Cameron di opporsi al previsto aumento del 5% del bilancio della UE e limitarsi al tasso d’inflazione del 2%.

Parlamentari Laburisti e Conservatori, europeisti convinti ed euroscettici, hanno inviato un messaggio al Governo, con la richiesta di ridurre le spese nel prossimo bilancio settennale dell’UE (2014-2020) che Cameron ha fatto suo nel vertice di novembre, aprendo un negoziato sull’aumento del bilancio, perché è insostenibile che l’Ue sbandieri il vessillo dell’austerità per i singoli paesi, ma non per Lei, raccogliendo il sostegno di una minoranza dei paesi per ricercare un compromesso.

Milioni di persone, nell’Europa sottoposta a drastici tagli dei servizi soprattutto sanitari, fanno la fila per essere curati dalle Ong come Medici Senza frontiere. Centinaia di farmaci di prima necessità per l’insulina o per il cancro sono introvabili, ma sembra non interessare a nessuno a Strasburgo come a Londra con la sua strana alleanza per un rigore nel bilancio comunitario. Uno dei tanti non comportamenti che rende l’Europa una vera matrigna malefica.

Tra il voler ridurre e aumentare il budget dell’Ue c’è chi è propenso a congelare le spese, cercando di salvare le sovvenzioni ai programmi agricoli e per sostenere lo sviluppo delle nazioni più povere.

L’utilizzo del veto incrociato su l’una o l’altra proposta ha creato una situazione d’impasse e il mancato accordo sul bilancio comunitario metterà a rischio alcuni progetti a lungo termine e tutto perché l’Italia e la Francia, in prima fila, non vogliono rinunciare ai contribuiti all’agricoltura, ma non sarebbe più utile sostenere l’agricoltura con servizi e promozione, più che confidare sulla carità del mandare al macero tonnellate di prodotto per sostenerne la quotazione.

La litigiosità per difendere gli interessi nazionali guiderà l’Europa ad un altro accordo al ribasso, mettendo in secondo piano l’interesse comunitario.

Ma è reale il problema della lievitazione delle spese della burocrazia nell’Unione Europea quanto il disuguale trattamento economico dei parlamentari. Differenti stipendi perché i parlamentari vengono retribuiti direttamente dagli stati di provenienza. Un dettaglio per molti che prima o poi dovrà essere affrontato e posto come un problema di forma che possa rendere un’Unione Europea più coesa e non frammentata dai singoli interessi. Scegliere di stipendiare i vari parlamentari direttamente dall’Unione Europea è un passo verso un’Unione economica più attiva vincolando i parlamentari all’interesse europeo comune per fronteggiare gli attacchi commerciali e finanziari come le furberie scorrettezze cinesi o russe che spesso si sovrappongono al mancato rispetto dei Diritti Umani in vari luoghi della Terra.

L’Unione europea ha fallito in Medio oriente dopo aver procurato un lavoro all’ex premier britannico Blair e non ha saputo cogliere i segni di un precipitare agli eventi come il fallimento dei Balcani.

La Ashton, il cosiddetto ministro degli esteri dell’Unione, continua a dare dimostrazione d’incapacità nel coniugare diplomazia e fermezza per una politica estera comunitaria anche quando gli interessi economici creano attriti tra i paesi europei rispetto alla difesa dei Diritti umani.

Un difesa dei Diritti che rende l’Europa indecisa, divisa in uno stato amletico di quale posizione sia meglio scegliere comunitariamente come nell’appoggiare la richiesta di Abu Mazen e dell’Autorità nazionale palestinese di riconoscere la Palestina come Stato osservatore all’Onu o fare muro con Israele e gli Stati uniti nel tenere fuori dal convitto umano un popolo in cerca di uno Stato.

È da anni che attivismo europeo si limita all’assegnazione annuale del Premio Sakarov per la difesa dei diritti umani. Quest’anno è stato assegnato agli iraniani Jafar Panahi, regista, e Nasrin Sotudeh, avvocato, deludendo per la seconda volta l’opposizione bielorussa per non aver scelto Ales Bialiatski che era nella lista dei “nobélisables”.

Un riconoscimento che poteva rendere ulteriormente difficili i rapporti diplomatici con una dittatura “perfetta” quale è quella instaurata dal presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko già sotto sanzioni.

Anche il gruppo russo Pussy Riot era papabile per il Nobel, ma sembrava rincorrere troppo la moda del momento. Più forte invece poteva essere il gesto di assegnarlo a Malala Yusafzai, la giovane pakistana gravemente ferita dai taleban per aver difeso, attraverso il suo blog, il diritto delle bambine di andare a scuola, ma il mondo arabo aveva già ottenuto dei riconoscimenti con la giornalista Tawakkul Karman, yemenita, e la candidatura di Malala era fuori tempo massimo.

Anche il piccolo Iqbal, venduto a quattro anni dal padre a un commerciante di tappeti per 12 dollari e ucciso per strada nel 1995 a soli 12 anni, si è battuto per i diritti dell’infanzia e contro il lavoro minorile in miniere e nelle fabbriche.

Ora la candidatura di Malala Yusafzai al Nobel è partita dalla Gran Bretagna con la raccolta di firme e sollecitando il primo ministro David Cameron e agli altri rappresentanti del governo britannico ad appoggiare la nomina.

Un’Europa che si preoccupa di non offendere la sensibilità delle altre religioni ha consigliato alla Slovacchia di limitarsi a riprodurre le effigi dei santi Cirillo e Metodio, ma senza contrassegni religiosi sull’Euro. Niente croci e aureole, ma sfugge alla commissione di “vigilanza” che in Slovenia sono stati stampati degli Euro con una rubiconda faccia per festeggiare il centenario della nascita di un alto ufficiale agli ordini del generale Tito, con tanto di stella rossa sulla bustina, che molti in Italia non apprezzano per il suo operato verso gli italiani in Istria e Dalmazia. Un operato che oggi magari potrebbe essere additato come crimine verso l’umanità, ma in quegli anni era una vedetta per i soprusi che i fascisti avevano perpetrato verso la popolazione civile serba, ma non si è pensato alla sensibilità dei nostri connazionali a Lubiana che si trovano a maneggiare come un monito verso la loro condizione di estranei.

L’Unione europea ha dato dell’incoerente, giustamente, all’Italia nell’ambito della salute, ma è tutta l’Europa ad essere incoerente e tre nobel lo mettono in evidenza con un appello al Comitato di Oslo perché non consegni il 10 dicembre i 900 milioni di euro all’Europa che ha deciso di devolvere i soldi del premio a progetti per l’infanzia vittima delle guerre. Un piccolo atto riparatorio per una riconoscenza opaca.

SBERLEFFI DI UNA CHANSON

Il clamore che ha suscitato la condanna a due anni di carcere duro al gruppo punk delle Pussy Riot per mano della polizia ha offuscato la strage dei minatori durante uno sciopero per delle rivendicazioni salariali in Sud Africa.

La polizia sudafricana ha reagito ad un imminente pericolo dei manifestanti, armati di bastoni, machete e armi da fuoco, che stavano protestando perchè ritengono che 400 euro mensili per 11 ore lavorative a 2mila metri sottoterra per estrarre il platino sono insufficienti anche per chi vive in Sud Africa.

La colpa delle Pussy Riot è di aver esternato con una preghiera cantata in una chiesa moscovita di Cristo Redentore la loro contrarietà al potere imperante di Putin in una Russia autoritaria.

La sentenza, basata sull’imputazione di vandalismo e istigazione all’odio religioso, non chiarisce se è stato ritenuto un’aggravante invocare in un luogo dell’ortodossia russa la Madonna che si porti via Putin, portando offesa allo zar, o il dimenarsi in una chiesa.

Amnesty International ha chiamato a raccolta tutti gli attivisti dei Diritti Umani a manifestare per la libertà delle ventenni punk e l’Occidente alza la voce per l’eccessiva severità della condanna scoprendo solo ora che in Russia è a rischio la libertà d’espressione solo perché il mondo musicale si è schierato con le Pussy Riot, ma nessuno ha biasimato il comportamento delle autorità sudafricane.

Le controversie tra due sindacati rivali sono sfociate in violenza trasformando una rivendicazione per migliorare le condizioni lavorative in uno scontro di tutti contro tutti.

Il gruppo Lonmin, proprietario della miniera, vuole tutelare i suoi interessi e minaccia di licenziare tutti gli scioperanti se non tornano a lavorare. Interessi che sembrano aver avuto una favorevole svolta dopo un periodo di affanno per il platino e dove le quotazioni sono in risalita per la gioia dei mercati e delle minoranze ingioiellate. Un futuro con una penuria di platino è più grave della mancanza di acqua o di una strage.

Uno scontento che ha contagiato altre miniere sudafricane per una vita divisa tra il lavoro nelle viscere della Terra e quella nelle baracche di lamiera, in un paese ricco di risorse goduto da pochi.

L’attenzione dei media sull’universo musicale evidenzia anche le contraddizioni come quella nella quale è inciampato Sting che prima si schiera in difesa delle Pussy Riot e poi canta in un’esclusiva festa in Costa Azzurra del plutocrate russo David Kaplan sostenitore di Putin. Precedentemente in Costa Smeralda aveva deliziato le orecchie degli invitati di Alisher Usmanov, numero uno della Gazprom, per festeggiare la sorella maggiore di Putin avvalorando l’asserzione che Svetonio attribuisce a Vespasiano sul denaro e la sua mancanza di odore: Pecunia non olet.

La triste realtà è che il mondo musicale vive di gossip e sono molti a voler partecipare mentre gli intellettuali si accodano.

Il caso delle Pussy Riot è diventato il simbolo per salvaguardare la libertà d’espressione in attesa della registrazione del marchio, mentre poco trapela per la libertà creativa degli artisti tunisini continuamente sotto il mirino islamista. Violenze che non si limitano alla dialettica, ma confinano in continue aggressioni fisiche che coinvolgono anche la classe docente illuminata sino ad emarginare nelle retrovie della quotidianità le donne cancellando tutte le conquiste con la proposta di modificare le pari opportunità tra donna e uomo nella sua “complementarietà”.

Mentre il diritto d’informazione cerca di essere salvaguardato da Julian Assange per Wikileaks ponendosi sotto l’ala protettiva del governo ecuadoregno, il governo inglese dimostra come sempre di non avere buoni rapporti con la stampa.

Per quei governi che dimostrano autorità nei confronti delle informazioni ce ne sono altri che come la Birmania aboliscono dopo cinquanta anni la censura preventiva sui media dopo essere stato considerato da Reporters sans frontières uno dei peggiori paesi in termini di libertà di stampa.