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Ballando per i diritti nel sud delle Americhe

Il 14 febbraio è stata lanciata l’iniziativa “One Billion rising” da “V-Day” organizzazione Ong fondata da Eve Ensler (drammaturga, sceneggiatrice e regista statunitense) che opera in tutto il mondo per promuovere la dignità della donna.

“One Billion rising” proprio quest’anno coincide con il 15/o anniversario della nascita di V-Day costituitasi, dopo che nel 1998 si promosse la diffusione e la rappresentazione capillare dei “Monologhi della vagina” della Ensler, come atto di protesta contro la violenza sulle donne.

L’iniziativa Flash mob “One Billion rising” prende le mosse dalla statistica delle Nazioni Unite: una donna su tre nel mondo subisce violenza di qualche tipo almeno una volta nella vita. A questa statistica agghiacciante, la Ensler reagisce con un’incitazione: “Alzati, Danza” che “almeno un miliardo di donne e coloro che le amano possano alzarsi e uscire in strada e danzare contro la violenza sulle donne”.

Come afferma Eve, infatti, “la danza è tutto. Quando si balla si prende spazio, si è autentici. Si è nel proprio corpo. Si esprime sensualità. Si rompono le regole. Si è vivi. Perché ballare è una esperienza comune. Quando le vedo danzare (le donne del Congo), mi pare come se tutto fosse possibile. Trasformano il dolore in potere. Ho visto donne che hanno subito le peggiori atrocità, le peggiori, ma quando ballano entrano in un’altra energia. Entrano in un altro vigore. Non importa in quale parte del pianeta sei, tutti possiamo fare parte di quel miliardo in crescita”.

Il successo di One Billion Rising esprime la voglia di cambiare il paradigma: una manifestazione planetaria promossa contro ogni forma di violenza sulle donne a cui hanno aderito 202 Paesi, oltre a 5.000 associazioni, innumerevoli Ong e istituzioni, perché “un miliardo di donne stuprate sono un’atrocità, un miliardo di donne che ballano sono una rivoluzione”.

In America latina “One Billion Rising” è stato reinterpretato con “Un Billón de Pie” “Es hora de ponerse de pie. No seas cómplice. Despierta. Apoya. Actúa.” (E’ ora di rialzarsi, non essere complice. Svegliati. Supporta. Agisci).

Dei 4000 eventi organizzati in tutto il mondo, quasi 800 sono concentrati in America Latina, dove la discriminazione della donna avviene dentro e fuori le istituzioni e, se i Governi non riescono a prendere una posizione forte contro questa violenza garantendo sicurezza, essi stessi si rendono inevitabilmente complici dei delitti perpetrati da altri.

Su questa linea, a La Paz (Baja California Sur) l’ex-deputata federale Rosi Orozco, presidentessa delle Asociación Civil Unidos Contra la Trata ha colto l’occasione dell’iniziativa Un Billón de Pie, per responsabilizzare i legislatori locali all’approvazione di leggi locali coerenti con la Ley General para Prevenir, Sancionar y Erradicar los Delitos en Materia de Trata de Personas y para la Protección y Asistencia a las Víctimas.

Rosi Orozco in un discorso presso la Universidad Autónoma de Baja California Sur (UABCS) ha sostenuto coraggiosamente che la Baja California Sur (BCS) è uno stato dove non è mai stata emessa una sentenza in seguito alla tratta di persone. “Proprio nel campo della tratta di persone abbiamo una situazione dove possono aver luogo impunità perché non ci sono leggi approvate. Dunque possiamo fare molto, già che non ci sono leggi contro la tratta delle persone, leggi di cui si dovrebbe occupare per primo lo Stato. …Possiamo creare uno strumento che, nel momento in cui la Procuraduría General de la República (PGR) si metterà al lavoro, non ci permetta di giungere davanti agli accusati con un vuoto legale. Per i bambini e le bambine e per tutte le persone che sono vittime della tratta […] La legge enfatizza il tema della prevenzione, per questo un’iniziativa come Un Millón de Pie è molto importante per sensibilizzare sulla prevenzione. La tratta delle persone ha le sue radici in aree di vulnerabilità sociale, quelle con basso livello di educazione, povertà, violenza familiare, corruzione, estorsione, disoccupazione: situazioni di cui si approfittano coloro che organizzano le tratte ingannando le persone come nel caso di Lisset Soto Salinas, scomparsa il 14 ottobre del 2010”.

Solo in Messico ci sono circa 70 mila bambini e bambine sfruttati sessualmente di questi circa 30 mila hanno dai 10 ai 14 anni di età.

Nel Salvador un uomo che assalta un autobus e ruba i cellulari, i portafogli e gli anelli dei passeggeri resterà in carcere più a lungo di chi ha venduto una donna: il ladro rischia dai sei ai dieci anni di reclusione, il trafficante di persone solo quattro anni. Il Salvador ha inserito questo crimine nel suo codice penale nel 2003 e la prima condanna è arrivata nel 2006. In questi anni ci sono state altre 39 condanne, ma nel settembre del 2011, con la creazione del consiglio nazionale contro la tratta di esseri umani, la questione ha ripreso forza.

Dal report del United Nations Office on Drugs and Crime del 2011 risulta che le vittime della tratta sono circa 2,5 milioni e si calcola altresì che per ogni vittima identificata ce ne sono altre 20 non identificate.

Dal 2006 il 66% delle vittime della tratta nell’America latina è costituito da donne, il 13% da bambine, il 12% da uomini, il 9% da bambini.

Il 63% dei 155 paesi e territori che ha ratificato il Protocollo delle Nazioni Unite contro la tratta di persone ha approvato leggi interne che sanzionano questo delitto e il numero di paesi che ha promulgato leggi per combattere la tratta di persone è raddoppiato tra il 2003 e il 2008.

Tuttavia tra il 2003 e il 2008, il 40% dei paesi con leggi vigenti contro la tratta di persone non ha registrato nessuna condanna per questo delitto.

Nel 2010 i principali paesi di destinazione per lo sfruttamento sessuale delle vittime della tratta provenienti dal Sudamerica sono Spagna, Italia, Portogallo, Francia, Paesi Bassi, Germania, Austria e Svizzera.

Il giro di affari che è originato dalle tratte di persone è pari a 1.3 miliardi di dollari. Il 49% è generato nei paesi industrializzati caratterizzati per essere la principale destinazione delle vittime che provengono dal Latinoamerica.

OlO un billion de pie

L’Egitto e la Laicità

Il secondo anniversario della rivoluzione che ha deposto Hosni Mubarak è stato segnato da una protesta dilagante contro i Fratelli musulmani e il loro presidente.

OlO Egitto Prove di laicità Egitto mohamed_morsi_egittoDue anni dopo, le tende sono ancora in piazza Tahrir. Alla rivolta dell’opposizione contro la deriva islamista Morsi ha risposto ordinando di cancellare i murales “critici” e mettere sotto inchiesta la satira, se non basta far intervenire l’esercito.

Una rivoluzione spontanea senza una leadership, caratterizzata dall’utilizzo dei social network come Facebook e Twitter. I siti web varia informazione come quello The National Council for Women dedicato alle donne che manifestano o Join 18 Days In Egypt che si rivolge a chi ha vissuto i giorni di piazza Tahrir per raccogliere ogni testimonianza dei giorni della protesta. In un twitter si affermava che L’Egitto viene trasformato in inferno da gente che pensa di andare in Paradiso.Egitto Donne sidi-henesh-047-001 La violenza sui manifestanti si trasforma in vere aggressioni sessuali nei confronti delle donne che si sono organizzate realizzando il sito Harassmap per segnalare episodi di molestie sessuali via SMS in forma anonima o i gruppi di difesa delle donne denominati Tahrir Bodyguard anche su Twitter che non si limitano ad una presenza sul web, ma girano con caschetto e pettorina fosforescente, per garantire il diritto delle donne a manifestare e contro i predicatori impegnati ad addossare ogni responsabilità delle aggressioni sessuali alle vittime. Secondo gli islamismi sono le stesse donne ad essere responsabili dei loro stupri se si mescolano con gli uomini per partecipare a raduni.

A queste deliranti affermazioni si contrappone la campagna contro le molestie sessuali anche attraverso i disegni sul blog che è un omaggio alle donne.

Egitto Donne mohamed-mahmoud-mural-008-001Una domanda che molti si pongono è se Morsi, il signor nessuno sino al momento della sua elezione a presidente dell’Egitto post Mubarak, a tenere le redini della nazione o sono i suoi Fratelli Musulmani a suggerirne la sua condotta? Di certo c’è che l’Egitto non può fare a meno degli investimenti esteri come i 20miliardi di dollari del Qatar o il discusso ponte sul Mar Rosso promosso dall’Arabia Saudita e che allarma gli ambientalisti. All’Egitto necessita anche il prestito dai 3,2 ai 4,8 miliardi dollari dal FMI (Fondo Monetario Internazionale), richiesto dal governo egiziano per affrontare la crisi finanziaria e il deficit di bilancio, tanto più ora che il turismo sembra un ricordo, nonostante l’impegno del presidente di garantire la sicurezza dei turisti, e Morsi si esibisce nel rincaro di tasse sulle sigarette, birra, bevande analcoliche, elettricità, oltre che su una serie di licenze, sulla pubblicità e nel settore immobiliare.

Nel panorama di precarietà finanziaria l’Egitto conta sul prestito della Banca per lo sviluppo africano (AfDB), per sostenere l’economia nazionale e finanziare progetti di sviluppo specifici, e sul rinnovo degli impegni stipulati dagli Stati uniti, non solo a livello militare, con il precedente governo.

La crisi economica rappresenta in Egitto un argine contro la pressante imposizione di una religiosità sfrenata nella struttura statale. Morsi deve rendere conto alle varie organizzazioni e ai singoli stati dei prestiti e debiti contratti con l’Occidente e il Mondo arabo.

Gran parte degli egiziani sentono che due anni di cambiamenti sono serviti a tradire la rivoluzione e percepire Morsi schiacciato tra gli accordi internazionali e la fratellanza musulmana.

I Fratelli musulmani sono nati come una società di mutuo soccorso, ma in questa fase politica sembrano presi solamente dalla gestione del potere, mettendo in secondo piano le quotidiane necessità dell’egiziano mussulmano o copto che sia.OlO Egitto Prove di laicità Egitto Cibo Divide breadboy

Le famiglie egiziane sono diventate più vulnerabili non hanno abbastanza soldi per comprare cibo, vestiti e riparo. Questa è la conclusione dell’ultima indagine dell’Egyptian Food Observatory’s.

L’Egitto non riesce a risollevare il turismo e dare sicurezza al turista, con i ciclici scontri tra sostenitori e oppositori di una vita laica e gruppi islamisti armati che vagano nel deserto pronti ad intervenire.

Solitamente le crisi economiche sono foriere d’instabilità politica, ma per l’Egitto può diventare l’unica possibilità di uno status quo tra i fautori di un’islamizzazione della vita quotidiana e chi non vuol rinunciare alla laicità dello Stato, anzi vorrebbe accrescere i diritti dei singoli.

In Egitto la laicità della vita pubblica non appartiene al contesto filosofico, ma semplicemente finanziario: non eccedete nell’introduzione di esternazioni religiose nella quotidianità pubblica e vi mancherà il sostennio anche finanziario dell’Occidente. Niente discriminazione verso chi non porta alcun tipo di velo o di abbigliamenti riconosciuti rispettosi dell’islam.

Le agenzie di rating continuano a declassare i titoli egiziani e la disoccupazione aumenta. Si aumentano i prezzi di alcuni generi per poi recedere su alcuni. Una continua acrobazia per confondere la popolazione e far sembrare i governanti sensibili alle necessità della popolazione.

Un apparente status quo, perché Morsi e i suoi sponsor continuano ha prendersi ampi spazi di potere, attraverso le vie istituzionali e con sotterfugi, per poi restituire un po’ del maltolto dopo le furiose manifestazioni di piazza e le proteste nel web.

Un web che si è mostrato utile per far crescere l’indignazione con la messa in Rete del video che pare documenti il trattamento riservato a un uomo nudo dalla polizia.

Se ci si domanda se Morsi o la Fratellanza Musulmana è a tenere le redini del potere in Egitto è ancor più enigmatico il ruolo delle forze armate che sempre più spesso svolgono attività di polizia e di barriera in difesa delle sedi istituzionali minacciate dai manifestanti.

Il Governo si affida all’esercito, scegliendo di schierarlo a difesa dei principali edifici pubblici, oltre che dei commissariati, ma le forze armate hanno metabolizzato le epurazioni che le hanno colpite o stanno attendendo che l’esasperazione della popolazione renda “necessario” il loro intervento.

OlO Egitto Prove di laicità Limes Egitto 0113_cover_250x313Intanto il presidente Morsi riunisce il Consiglio di Difesa per far fronte al caos in cui sta precipitando il Paese e tende la mano all’opposizione laica che continua ad presentarsi in ordine sparso, provando a formare un governo di unità nazionale.

Una rivoluzione tradita è il titolo che dal 2011 rimbalza e ricorre periodicamente sulle testate giornalistiche di vari paesi.

Il periodico Limes, nel suo ventesimo compleanno, dedica a “L’Egitto e i suoi Fratelli” gran parte del numero di febbraio per ripercorrere i due anni che hanno scandito le speranze degli egiziani e avere qualche informazione di più se la “Primavera” araba non si stia trasformando in un inverno islamico.

Un luogo dei Diritti al Femminile

Nell’agosto del 2006 a Buenos Aires venne costituito il Museo de la Mujer. L’iniziativa fu promossa da Graciela Tejero Coni, bisnipote di Gabriela Laperriére, una delle prime attiviste nel paese per la difesa dei Diritti delle Donne all’inizio del secolo scorso. Il movimento delle donne è alla base del Progetto Museale con l’obiettivo di creare un continuo processo di dialogo tra passato e presente, affinché quanto era già stato fatto fosse uno stimolo e una spinta per l’attuale lotta. Da allora furono stabiliti, infatti, contatti con altri Musei de la Mujer esistenti nel resto del mondo (Germania, Inghilterra, Italia, Austria, Belgio, Polonia, Romania, Svezia, Norvegia per l’Europa; Stati Uniti per il Nord d’America; Peru, Messico, Costa Rica per il Sud Centro America; Australia, Senegal e Sudan e Mali per l’Africa; Cina). Grazie alla guida del consiglio direttivo (Elizabeth Coni – Graciela Tejero Coni – Irene Jaievsky – Diana Coppola – Verónica Coppola – Berta Wexler- Maria Cillis) e la costituzione di un’équipe di professioniste e specialiste viene mantenuto vivo un archivio storico e un museo specifico della storia culturale, si promuove la produzione di arte e cultura delle donne – che fanno la storia con il loro percorso assieme al popolo. Da qui si comprende la creazione e la promozione dell’incontro nazionale delle donne con cadenza annuale e l’organizzazione del secondo congresso Internazionale in occasione del centenario del primo avvenuto a Buenos Aires nel 1910. Nonostante la globalizzazione delle informazioni, il progresso tecnologico e lo sviluppo economico e sociale, nonostante il mondo sembri avanzare, continua ad essere necessario affrontare la rivendicazione dei diritti umani con una duplice lotta contro oppressione e subordinazione di genere. Insieme possiamo fare molto: siamo in grado di ascoltarci reciprocamente, recuperando la coscienza della nostra dignità. Collaborare l’una con l’altra solidarmente, ci permette di fare di più di ciò che è possibile fare singolarmente, cioè unire i nostri talenti per un ideale unico. L’intelligenza emotiva e creativa supera le barriere dell’ignoranza e del pregiudizio per una vita libera da ogni schiavitù, autentica nell’amore del prossimo.

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Buenos Aires (Argentina)OlO Argentina Derechos Humanos -Ayer y Hoy de las Mujeres_Graciela Tejero Coni e Irene Jaievsky

Museo de la Mujer

Attualmente ospita la mostra:

AYER Y HOY DE LAS MUJERES

Dal 7 dicembre 2012 all’11 gennaio 2013

ZINGARATE

Di storie d’amore tra Rom e Gagi – così loro chiamano noi – son pieni letteratura e cinema, caratterizzate tutte dalla forte sensualità delle donne rom e dalla sciocca possessività di noi gagi sedentari, perennemente attratti da Carmen ma incapaci di lasciarla libera. Ebbene, una nota originale la offre un libro autoprodotto e ben poco edificante: Sensazioni pericolose, di un certo Vladimir Casinari (Lulu.com, 2007 – 112 pagine, anche in e-book). E’ la narrazione autobiografica di un italiano che per lavoro viaggia spesso all’est da solo, non disprezzando il sesso a pagamento. In questo libro mi ha incuriosito lo strano rapporto che quest’uomo ha con i rom. In Italia gli zingari tradizionalmente non vendono le loro donne (anche se l’arrivo delle nuove ondate sta peggiorando la situazione), mentre in Romania e dintorni ragazze rom anche giovanissime si prostituiscono per aiutare la famiglia o sfruttate da altri rom. Ora il nostro eroe – ricco tra i miserabili – non si fa scrupolo di andarle a cercare, rischiando di cacciarsi nei guai con poliziotti gaglioffi e prolifiche famiglie zingare, le quali incoraggiano questo straniero nelle sue scelte on the road, sperando in un ritorno economico. Almeno un paio di volte viene ospitato a casa loro – povere abitazioni sovraffollate, prive di servizi ma piene di marmocchi – in situazioni che risultano quasi comiche se non trasudassero miseria morale e materiale. Come in uno sgangherato film di Kusturiza, il nostro eroe viene ogni volta presentato ai genitori, s’intende con le madri ruffiane e si accoppia con queste giovani rom in condizioni di promiscuità, quasi in presenza di tutta la famiglia, la quale però alla fine si aspetta sempre un generoso contributo volontario o addirittura che si porti la figlia in Italia, per loro la terra del benessere. Quando si va in città – musica a tutto volume, come piace a loro – prima si va tutti a ballare, poi si fa la spesa e lui paga tutto, alimentari e regali. Ma spesso lui fa il tirchio e si offende pure, neanche pensando ai rischi che corre. In una scena da film, dopo che ha dormito con una delle sorelle praticamente davanti a tutti, i fratelli e la madre non lo fanno uscire e battono le mani sulla sua macchina chiamando “soldi-soldi” e facendo il gesto delle banconote sfogliate. A quel punto lui paga, risparmiandosi forse una coltellata. Come molti gagi, è affascinato dal mondo rom ma nel profondo non lo capisce affatto. P.es., un’altra volta conosce due sorelle e va con entrambe, ma è quella più giovane che vuole rimanere incinta: l’altra ha già un figlio. Comportamento bizzarro? No, perché in quel mondo povero un figlio è comunque una ricchezza, mentre lui ragiona da impiegato. Un’altra famiglia rom che gli ha concesso la figlia vorrebbe che lui intestasse loro un pozzo. Si, un pozzo: vivono in un tugurio in campagna e quella sarebbe già una ricchezza. La miseria materiale descritta nel libro è infatti impressionante; quella morale ne è una conseguenza, ma il protagonista la sfrutta e apprezza l’allegra vitalità di queste famiglie, nonostante facciano una vita da cani. Una volta percorse strade sconnesse e prive di segnaletica e giunto a destinazione, ammira i bei tappeti che ornano le loro povere stanze – spesso un unico ambiente separato dalla cucina – e nota la bellezza delle persone, anche se da un anno all’altro questa sfiorisce precocemente. Con la vita che fanno, non c’è di che stupirsi. Quanto a lui, è un vero nomade ad honorem, non riuscendo mai legarsi a una donna per troppo tempo. Alcune di esse vorrebbero venire con lui in Italia e magari amano veramente questo gagio incosciente. Una sua amante rom alla fine lo saluta sconsolata, ma la sua reazione è unica:

Quando mi chiamò vagabondo provai immenso piacere, perché detto da lei, una zingara, lo considerai un grande complimento, un onore, un valido riconoscimento al mio modo di intendere il viaggio.

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SENSAZIONI PROIBITE
di Vladimir Casinari
Editore Lulu.com, 2007
http://www.lulu.com/it
Formato Paperback
Pagine 108
Prezzo di vendita € 14,00 (ma disponibile anche in e-book a 5.90euro)
Lingua Italiano
ISBN-13 9781847993434

Un’Europa in ordine sparso

Per alcuni l’Europa è una matrigna uscita dalla più orrida delle favole più che una benevola madre. Una benevola madre di 60anni che ha espresso il meglio nei suoi primi anni di crescita mentre i restanti li ha spesi a guardarsi i personali ombelichi. Uno sport ben noto in Italia, rendendo l’Unione europea sempre più simile a un carrozzone non tanto differente a quegli enti italiani istituiti per non far soffrire di disoccupazione una moltitudine di “capaci” burocrati e politici dispersi in un labirinto di commissioni e sotto strutture.

Un’unione divisa nel Consiglio europeo e nella Commissione europea e per questo c’è chi ha meritato il Nobel per la pace con la motivazione per “i progressi nella pace e nella riconciliazione” e per aver garantito “la democrazia e i diritti umani” nel vecchio continente.

È certo che un’Europa annientata da una guerra ha saputo accogliere nelle utopie di Altiero Spinelli una via d’uscita dal confronto distruttivo tra nazioni per una cooperazione di crescita, ma ora che all’Europa è stato assegnato il Nobel per la Pace è comprensibile pensare ad un premio postumo assegnato ai padri fondatori dell’Unione per i primi decenni della sua crescita.

Ripercorrendo ora alcune scelte e alcuni tentennamenti come quelli sulle guerre Balcaniche o sull’immigrazione è difficile giustificare questo Nobel.

Un’umanità che affronta attraversate perigliose, in cerca di un approdo sicuro a tanta violenza e fame, viene poi respinta o rinchiusa in strutture più simili a carceri che a centri di accoglienza.

Un trattamento riservato verso il prossimo e tollerato nei paesi europei del Mediterraneo, ma ben diverse sono le possibilità che gli extracomunitari possono avere se riescono a raggiungere le terre più a nord. Assistenza, semplificazioni burocratiche per le richieste di asilo, ma è soprattutto raro un trattamento equiparato ad quello di un incallito delinquente.

L’istituzione nel 2004 della cosiddetta agenzia europea delle frontiere denominata Frontex è la dimostrazione della coesione dei 27 Stati nel fare “fronte” unico contro le deboli minacce e della divisone quando gli interessi si sovrappongono o si confliggono. Con Frontex l’Unione europea istituisce il suo braccio armato per tenere lontano i migranti in cerca di un luogo lontano dalle guerre e dalla fame. Mentre è difficile realizzare un esercito europeo per intervenire in missioni d’interposizione e protezione della popolazione civile, ne sono un esempio in ambito europeo i conflitti Balcani, è stato invece estremamente semplice dar vita in pochi anni ad una centrale di comando a Varsavia di un gruppo di polizia fornito di aerei, elicotteri, navi e attrezzatura elettronica per il monitoraggio delle frontiere terrestri e marittime, attuando in diversa forma la reclusione e il respingimento.

L’Unione europea è anche detentrice di una contraddizione sul suo rapportarsi con le minoranze culturali per le quali stanzia fondi per l’integrazione e la difesa delle tradizioni. Nel caso dei cosiddetti Zingari – Rom, Sinti e Camminanti (RSC) – finanzia un progetto per superare discriminazione e pregiudizio, dei quali ne sono oggetto, come la Campagna DOSTA! e garantire a tutti i bambini rom di portare a termine il ciclo della scuola primaria e magari alleviare le difficili condizioni in cui spesso vivono.

Il ruolo dell’Europa è debole e gli stati che ne fanno parte sembrano più propensi all’indebolimento del Vecchio Continente nel panorama internazionale che al rafforzamento dell’Istituzione ed è in questo ambito che leader politici come Daniel Cohn-Bendit e Guy Verhofstadt hanno prodotto un libro Per l’Europa! (Mondadori) per sollecitare un comune impegno dimostrando di aver meritato il Nobel e non di essere un altro premio alle buone intenzioni. Un altro e differente punto di vista sull’Europa è dato dal libro di Mario Monti e Sylvie Goulard Della democrazia in Europa (Rizzoli).

Alla fine di ottobre il Parlamento britannico con una votazione chiede al premier David Cameron di opporsi al previsto aumento del 5% del bilancio della UE e limitarsi al tasso d’inflazione del 2%.

Parlamentari Laburisti e Conservatori, europeisti convinti ed euroscettici, hanno inviato un messaggio al Governo, con la richiesta di ridurre le spese nel prossimo bilancio settennale dell’UE (2014-2020) che Cameron ha fatto suo nel vertice di novembre, aprendo un negoziato sull’aumento del bilancio, perché è insostenibile che l’Ue sbandieri il vessillo dell’austerità per i singoli paesi, ma non per Lei, raccogliendo il sostegno di una minoranza dei paesi per ricercare un compromesso.

Milioni di persone, nell’Europa sottoposta a drastici tagli dei servizi soprattutto sanitari, fanno la fila per essere curati dalle Ong come Medici Senza frontiere. Centinaia di farmaci di prima necessità per l’insulina o per il cancro sono introvabili, ma sembra non interessare a nessuno a Strasburgo come a Londra con la sua strana alleanza per un rigore nel bilancio comunitario. Uno dei tanti non comportamenti che rende l’Europa una vera matrigna malefica.

Tra il voler ridurre e aumentare il budget dell’Ue c’è chi è propenso a congelare le spese, cercando di salvare le sovvenzioni ai programmi agricoli e per sostenere lo sviluppo delle nazioni più povere.

L’utilizzo del veto incrociato su l’una o l’altra proposta ha creato una situazione d’impasse e il mancato accordo sul bilancio comunitario metterà a rischio alcuni progetti a lungo termine e tutto perché l’Italia e la Francia, in prima fila, non vogliono rinunciare ai contribuiti all’agricoltura, ma non sarebbe più utile sostenere l’agricoltura con servizi e promozione, più che confidare sulla carità del mandare al macero tonnellate di prodotto per sostenerne la quotazione.

La litigiosità per difendere gli interessi nazionali guiderà l’Europa ad un altro accordo al ribasso, mettendo in secondo piano l’interesse comunitario.

Ma è reale il problema della lievitazione delle spese della burocrazia nell’Unione Europea quanto il disuguale trattamento economico dei parlamentari. Differenti stipendi perché i parlamentari vengono retribuiti direttamente dagli stati di provenienza. Un dettaglio per molti che prima o poi dovrà essere affrontato e posto come un problema di forma che possa rendere un’Unione Europea più coesa e non frammentata dai singoli interessi. Scegliere di stipendiare i vari parlamentari direttamente dall’Unione Europea è un passo verso un’Unione economica più attiva vincolando i parlamentari all’interesse europeo comune per fronteggiare gli attacchi commerciali e finanziari come le furberie scorrettezze cinesi o russe che spesso si sovrappongono al mancato rispetto dei Diritti Umani in vari luoghi della Terra.

L’Unione europea ha fallito in Medio oriente dopo aver procurato un lavoro all’ex premier britannico Blair e non ha saputo cogliere i segni di un precipitare agli eventi come il fallimento dei Balcani.

La Ashton, il cosiddetto ministro degli esteri dell’Unione, continua a dare dimostrazione d’incapacità nel coniugare diplomazia e fermezza per una politica estera comunitaria anche quando gli interessi economici creano attriti tra i paesi europei rispetto alla difesa dei Diritti umani.

Un difesa dei Diritti che rende l’Europa indecisa, divisa in uno stato amletico di quale posizione sia meglio scegliere comunitariamente come nell’appoggiare la richiesta di Abu Mazen e dell’Autorità nazionale palestinese di riconoscere la Palestina come Stato osservatore all’Onu o fare muro con Israele e gli Stati uniti nel tenere fuori dal convitto umano un popolo in cerca di uno Stato.

È da anni che attivismo europeo si limita all’assegnazione annuale del Premio Sakarov per la difesa dei diritti umani. Quest’anno è stato assegnato agli iraniani Jafar Panahi, regista, e Nasrin Sotudeh, avvocato, deludendo per la seconda volta l’opposizione bielorussa per non aver scelto Ales Bialiatski che era nella lista dei “nobélisables”.

Un riconoscimento che poteva rendere ulteriormente difficili i rapporti diplomatici con una dittatura “perfetta” quale è quella instaurata dal presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko già sotto sanzioni.

Anche il gruppo russo Pussy Riot era papabile per il Nobel, ma sembrava rincorrere troppo la moda del momento. Più forte invece poteva essere il gesto di assegnarlo a Malala Yusafzai, la giovane pakistana gravemente ferita dai taleban per aver difeso, attraverso il suo blog, il diritto delle bambine di andare a scuola, ma il mondo arabo aveva già ottenuto dei riconoscimenti con la giornalista Tawakkul Karman, yemenita, e la candidatura di Malala era fuori tempo massimo.

Anche il piccolo Iqbal, venduto a quattro anni dal padre a un commerciante di tappeti per 12 dollari e ucciso per strada nel 1995 a soli 12 anni, si è battuto per i diritti dell’infanzia e contro il lavoro minorile in miniere e nelle fabbriche.

Ora la candidatura di Malala Yusafzai al Nobel è partita dalla Gran Bretagna con la raccolta di firme e sollecitando il primo ministro David Cameron e agli altri rappresentanti del governo britannico ad appoggiare la nomina.

Un’Europa che si preoccupa di non offendere la sensibilità delle altre religioni ha consigliato alla Slovacchia di limitarsi a riprodurre le effigi dei santi Cirillo e Metodio, ma senza contrassegni religiosi sull’Euro. Niente croci e aureole, ma sfugge alla commissione di “vigilanza” che in Slovenia sono stati stampati degli Euro con una rubiconda faccia per festeggiare il centenario della nascita di un alto ufficiale agli ordini del generale Tito, con tanto di stella rossa sulla bustina, che molti in Italia non apprezzano per il suo operato verso gli italiani in Istria e Dalmazia. Un operato che oggi magari potrebbe essere additato come crimine verso l’umanità, ma in quegli anni era una vedetta per i soprusi che i fascisti avevano perpetrato verso la popolazione civile serba, ma non si è pensato alla sensibilità dei nostri connazionali a Lubiana che si trovano a maneggiare come un monito verso la loro condizione di estranei.

L’Unione europea ha dato dell’incoerente, giustamente, all’Italia nell’ambito della salute, ma è tutta l’Europa ad essere incoerente e tre nobel lo mettono in evidenza con un appello al Comitato di Oslo perché non consegni il 10 dicembre i 900 milioni di euro all’Europa che ha deciso di devolvere i soldi del premio a progetti per l’infanzia vittima delle guerre. Un piccolo atto riparatorio per una riconoscenza opaca.