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India: per ridare la vista a milioni di bambini

In India milioni di persone rischiano di perdere la vista perché sono poveri, vivendo con un solo dollaro al giorno, quando basterebbero 300 dollari per una semplice operazione chirurgica per rimuovere una cataratta in 15 minuti per rimuovere la lente difettosa e sostituita con una lente artificiale di pochi dollari.

Ora grazie ai continui progressi della medicina la Wonderwork con il progetto 20/20/20 cerca di evitare che parte dei 20 milioni di bambini e adulti indiani di rimanere ciechi, ma l’intervento deve essere fatto in giovane età.

Nel sub continente indiano, dove welfare state (lo stato sociale) è inesistente, è impensabile che un cieco, sotto la soglia della povertà, possa andare a scuola e lavorare. Non potendo contare sull’aiuto della società, segnata da fame e violenza, equivale, per chi non vede, a una condanna a morte o essere sfruttati per chiedere l’elemosina.

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L’Altra Crescita

In Italia c’è un’altra crescita: quella della povertà, come evidenzia l’ultimo rapporto della Caritas e con il pamphlet dell’Istat si ha la conferma.

È una crescita endemica che coinvolge tutto il Pianeta come anche nel ben formulato rapporto Gender Development Index, stilato dall’Onu sulla graduatoria dell’Indice di Sviluppo umano, dove la Norvegia primeggia e l’Italia conferma la posizione Italia al 26esima, ma per le donne è 61esima, evidenziando il divario delle opportunità (gender gap) tra i due sessi.

Il titolo del rapporto, False partenze, della Caritas è emblematico sui temi della povertà e dell’esclusione sociale, frutto non di un asettico studio teorico, ma una finestra sul fenomeno della povertà in Italia secondo l’esperienza di ascolto e osservazione svolta dalle 220 Caritas diocesane presenti sul territorio nazionale.

Dal 2007 al 2012 il numero dei poveri in Italia è raddoppiato, passando dai 2,4 milioni ai 4,8, pari all’8% della popolazione, contaminando ambiti sociali ritenuti sino ad ora immuni.

Un Rapporto che valuta la situazione dei servizi ecclesiali come le mense, centri di ascolto, consultori e strutture residenziali/dormitori, frequentati non solo da disoccupati o pensionati, ma anche da genitori separati/divorziati e famiglie in “ristrettezze” economiche.

L’Istat rincara la dose con la sua rilevazione del 12,6% delle famiglie in condizione di povertà relativa (per un totale di 3 milioni 230 mila) e il 7,9% lo è in termini assoluti (2 milioni 28 mila). Le persone in povertà relativa sono il 16,6% della popolazione (10 milioni 48 mila persone), quelle in povertà assoluta il 9,9% (6 milioni 20 mila).

Se le famiglie e gli anziani, ancor più se residenti nel sud dell’Italia, sono una fascia sociale a rischio di povertà, i single non anziani nel Nord hanno meno occasioni di preoccupazione.

I dati non cambiano sul rapporto dell’Undp (Nazioni unite per lo sviluppo), Human Development Report, anzi si dilatano e vengono letti su scala mondiale con 2,2 miliardi di persone povere o al limite dell’indigenza, mentre sono un 1,2 miliardi gli abitanti di questa Terra che vivono con 1,25 dollari al giorno o meno.

La situazione per la popolazione si aggrava se vive in aree di conflitto non solo come la Libia e la Siria, ma anche in Nigeria e in altri paesi potenzialmente prosperi, ma con ricchezza concentrata in poche mani.

Su tanti dati sconfortanti ci potrebbe far sorridere l’affermazione di Matteo Renzi riportata da Alan Friedman nell’intervista al Corriere: «Che la crescita sia 0,4 o 0,8 o 1,5%, non cambia niente dal punto di vista della vita quotidiana delle persone», se non fosse per il particolare che un punto di crescita vuol dire molto per l’economia italiana e per gli italiani.

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Parigi: I contrasti di una città

Ogni città vive di forti contrasti, ma in Parigi sono insiti anche nell’offerta alimentare, passando dai supermercati ai negozi di ricercatezze, dagli ortaggi nostrani a quelli esotici, dall’aglio e cipolla alle spezie mediorientali e asiatiche.

Nelle boucherie si trovano carni di ogni tipo e macellate secondo le diverse culture, nelle pâtisserie si trovano croissant dolci e salati sino alla ricercata pasticceria, mentre nelle boulangerie si trova solo la baguette e raramente trovano spazio altri tipi di pane.

La Francia è ricca di varie prodotti caseari come l’Italia, tanto che in altri tempi da i due paesi si alzava un lamentazione sull’incapacità di governare un popolo con tanti tipi di formaggio, da quelli delicati, insipidi, a quelli dai forti sapori, passando per quelli alle erbe caratterizzati dall’aglio.

La ristorazione propone una variegata scelta gastronomica dalla cucina autoctona alla nouvelle cuisine, dai cibi etnici alla cucina minimalista, da quelli internazionali alle brasserie, e poi i ristoranti, i bistro, bar, diversi da quelli italiani, oltre ai locali angusti dove ci si può imbattere in curiosità culinarie e magari rimanere delusi.

Contrasti che rispecchiano la differenza che intercorre tra due dei simboli della pasticceria francese, e onorati a Parigi, quali sono le Madeleine e i Macaron.

La semplicità delle Madeleine, piccoli dolcetti soffici caratterizzati da una forma a conchiglia, simili per sapore a quello del plumcake, caratterizzate da un aroma di burro e limone più pronunciato sfidano i ricercati Macaron, nominalmente ispirati al dialettale “maccarone” italiano, hanno una preparazione più elaborata su una base di due pezzi a cupola di meringhe, farina di mandorle e zucchero a velo e farcito con crema ganache, marmellata o creme varie e richiusi da due gusci.

Il nome della Madeleine si fa risalire alla pasticciera Madeleine Paulmier (XIX secolo) o forse alla cuoca Madeleine Paulmier vissuta nel XVIII secolo che grazie a Marcel Proust hanno conquistato fama nella sua À la recherche du temps perdu. Nel 2006 le Madeleine vennero scelte per rappresentare la Francia nell’iniziativa Café Europe, indetta dall’Unione Europea durante la presidenza austriaca nel Giorno europeo.

Questi contrasti gastronomici rispecchiano quelli sociali in una città dalla vita cara che ha una schiera di anziani che sopravvivono e numerosi clochard che si ritagliano un angolo di ricovero, che siano dei cartoni con delle coperte gettate sopra o delle tende poste nelle rientranze architettoniche dietro il nuovo Operà della Bastiglia.

Una nuova indigenza che rivela una Parigi in difficoltà e che utilizza i bains-douches, i bagni e le docce pubbliche, non solo dai senza fissa dimora, ma anche da chi vive in luoghi difficilmente definibili appartamenti, spesso sprovvisti d’acqua corrente e il bagno sul corridoio, scegliendo di mangiare nelle mense perché lo stipendio non basta per il vitto e l’alloggio.

Una nuova povertà che coinvolge non solo i migranti ma ogni persona che soffre di esclusione e può trovare l’assistenza di associazioni come Une chorba pour tous e L’un est l’autre che fornisce un alloggio individuale e di gruppo, oltre un pasto caldo gratuito ogni sera e pacchi di cibo due volte a settimana per i bisognosi senza discriminazioni di provenienza geografica e culturale, anche a chi è sfornito dei documenti (i sans-papiers).

L’emarginazione degli indigenti entra di diritto anche nelle elezioni municipali del 2014 con l’espulsione dei rom che “molestano” la città, con il loro non volersi integrare, continuando a scippare i turisti. Un provvedimento del ministro dell’Interno francese Manuel Valls che vuol smorzare i toni della candidata di destra, Nathalie Kosciusko-Morizet, e agevolare la strada alla candidata socialista Anne Hidalgo, in una sfida al femminile del tutto inedita nella Ville Lumière, evitandogli di apparire una donna fredda e calcolatrice.

Espulsioni che si trasformano in deportazioni quando la polizia ferma un pulmino scolastico per allontanare una quindicenne kosovara Leonarda e la sua famiglia dalla Francia.

Una severa applicazione della legge che ha inflitto la stessa sorte al diciannovenne armeno Khatchik, diventato il vessillo del ministro socialista Manuel Valls sino a superare ogni intransigenza gollista, portando imbarazzo all’Elyseo e scatenando l’indignazione studentesca, ma provocando il plauso dell’opinione pubblica.

Nella competizione per la poltrona di sindaco di Parigi si inserisce di prepotenza la destra di Marie Le Pen, gassata dalla vittoria conseguita il 13 ottobre nelle elezioni a Brignoles, con un sintetico programma basato sull’avversione a questa Europa e nel fronteggiare ogni migrazione. Avere non uno, ma due “nemici” rende emotivamente sensibile una cittadinanza alle prese con i quotidiani conti della spesa.

È dove non brillano le luci di Parigi che un’umanità prostrata dalla crisi e quella cronicamente povera vive cercando, alla chiusura dei mercati, nei cassonetti la merce in scadenza.

La Fraternitè Egalitè Libertè sono andate in pensione per essere sostituite con la Légalité.

(3 continua)

Dello stesso argomento:

Parigi: La frenesia delle luci

Roma Parigi: Andata e Ritorno

I grattacieli davanti Greenwich

Sotto la soglia

 

Ben Affleck ha vissuto per soli cinque giorni, dal 29 aprile al 3 maggio, con 1,5 dollari al giorno, contribuendo a far conoscere l’iniziativa di “Live Below the Line”, una campagna volta a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla piaga della povertà nel mondo. Un attore famoso come lui può dar maggiore visibilità all’iniziativa e stimolare le donazioni per le cinque campagne parallele di Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda, anche se gli è stato permesso di nutrirsi dei prodotti del suo orto.

Mark Boyle, nel 2008, affermava che «i primi mesi senza soldi sono i più duri» poi cominciò a coltivare frutta e verdura, oltre a ricevere offerte da parte di diversi benefattori. Una filosofia di vita che prosegue a tutt’oggi e gli permette di trarne anche dei benefici economici con il suo sito http://www.moneylessmanifesto.org e il conseguente libro.

In precedenza (1996) Heidemarie Schwermer decise di cambiare radicalmente modo di vivere, facendo a meno di tutto e vivendo di baratto, proponendosi – in cambio di vitto e alloggio – come custode degli appartamenti di chi deve partire in viaggio. Anche quest’esperienza è divenuta un libro, pubblicato da Terra Nuova Edizioni.

Sono dunque pionieri che istillano perle di saggezza attraverso il web e i libri per vivere senza soldi, ma dovrebbero render partecipi delle loro competenze anche gli abitanti di un qualsiasi villaggio africano, dove però scegliere questo stile di vita è più difficile, ché alla carenza d’acqua si aggiunge la mancanza di benefattori che possono sollevare gli altri dalle responsabilità verso il prossimo.

Con questi esempi non può sembrare ipocrita che un famoso riccone, per dar voce ad una campagna di aiuto, cerchi di sopravvivere con meno di quello che un mendicante racimola solitamente in una città dell’Occidente in una giornata di sole: è più di una questua in un paese africano e pari al quotidiano salario di donna, uomo o bambino impegnati fino a 12 ore di lavoro al giorno a tagliare e assemblare indumenti e calzature per note marche di abbigliamento in fatiscenti fabbriche del Bangladesh o dell’Indonesia, per una retribuzione media mensile di 30 euro.

L’attore e regista statunitense è anche, come altri suoi colleghi di Hollywood, dedito ad aiutare i meno fortunati attraverso organizzazioni non governative con progetti in Africa e in altri luoghi del Pianeta. Per Ben Affleck è la Eastern Congo Initiative (ECI), impegnata a promuovere opportunità di sviluppo economico e sociale nel Congo orientale.

Le condizioni di lavoro sono pessime: locali senza aerazione, maneggio di sostanze tossiche e illuminazione insufficiente sono la regola, per poi vivere con meno di 1,50 dollari al giorno. Migliori condizioni si possono trovare nelle fabbriche di hi-tech, ma i salari rimangono bassi. Si dirà che il costo della vita in quei paesi e ben minore di quello dove i prodotti verranno smerciati, ma allora non si spiegano le miserabili condizioni di vita e le inesistenti opportunità di migliorare il proprio tenore di vita dei lavoratori. La tragedia del Bangladesh – più di mille lavoratori vittime dell’avidità della delocalizzazione – ha posto all’attenzione dell’Occidente le miserevoli condizioni di milioni di persone che vivono per soddisfare a poco prezzo la vanità di pochi, portando alcuni produttori europei di abbigliamento a chiedere migliori condizioni di sicurezza nelle fabbriche. Ma i distributori statunitensi si tengono fuori, quindi non bisogna abbassare la guardia sperando che le promesse diventino realtà.

Le campagne lanciate nei paesi industrializzati contro lo sfruttamento della manodopera nei paesi in via di sviluppo – quelle dell’Ong Abiti Puliti, ad esempio – dedicano di conseguenza molte risorse a sensibilizzare l’opinione pubblica occidentale affinché smetta di acquistare prodotti fabbricati violando i diritti dei lavoratori. Il Bangladesh è, nell’Indice di Sviluppo Umano 2013, al 146° posto insieme al Pakistan nella classifica compilata ogni anno dalle Nazioni Unite, su 186 stati considerati.

Quante persone potrebbero sopravvivere con 1 o anche 2 dollari al giorno, quando l’Occidente getta tonnellate di cibo ogni anno nei cassonetti o lo lascia marcire sugli alberi e nei campi? E a pensare che il 2013 è stato scelto dall’Unione europea come Anno contro lo spreco alimentare. Ma in questo la crisi sta dando una mano: stando agli ultimi rilevamenti, gli italiani sono impegnati a consumare meno prodotti ortofrutticoli e pesce, diminuendo lo spreco che negli ultimi anni era stato quantificato in 20miliardi di euro all’anno di alimenti gettati nei cassonetti.

Ben Affleck, dopo aver raccolto fondi per la campagna per Live Below the Line con il gesto di vivere per alcuni giorni con budget quotidiano di un dollaro e mezzo, ha ritirato la laurea honoris causa dalla Brown University di Providence in Arti Figurative, con l’occasione gli è stato anche riconosciuto il suo contributo a svariate cause umanitarie.

 

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Povertà migrante

L’indigenza e la povertà è stata fino ad ora tenuta lontano dalla vista quotidiana della maggior parte della popolazione, ma con il continuo aggravarsi della situazione economica sono in crescita le persone che si rivolgono alle mense popolari e agli aiuti delle organizzazioni di volontariato.

All’accattonaggio cronico si affianca la timida richiesta di elemosina di persone anziane parcheggiate in una stazione della metropolitana o all’angolo di due vie centrali dai parenti.

Ormai la società benestante non ha più la capacità di spingere un popolo d’indigenti verso i suoi margini, rendendoli ancor più invisibili, impercettibili, ai confini della sopravvivenza, per non disturbare la nostra sensibilità, condannandoli a un perpetuo nomadismo.

A Parigi una famiglia viene cacciata dal museo d’Orsay perché il cattivo odore della loro indigenza infastidiva i visitatori. In Spagna vengono sigillati i cassonetti per impedire recupero alimenti. Ad Evros è stato completato il Muro che separa la Grecia dalla Turchia per ostacolare l’arrivo di migranti e quelli che riescono a porre il piede sul suolo greco troveranno la violenze e gli abusi perpetrati dalla polizia. Una guerra tra poveri.

Spuntano negli angoli più celati di Roma come in altre città dei rottami di roulotte per chi ha perso i titoli per avere un’abitazione. Sono dei senza fissa dimora più fortunati di altri, solo per avere un tetto sulla testa e delle pareti, anche se esili, e non un cartone o attrezzati di una sola coperta.

Un quarto degli italiani, secondo il rapporto del Censis, rischiano l’esclusione sociale, mentre nell’Europa delle grandi sfide e del Premio Nobel 2012 per la Pace si ampliano le disuguaglianze sociali, portando centoventi milioni di persone allo stato di gravi difficoltà economiche.

Nel Mondo i poverissimi sono il 22%, pari a 1,29 miliardi, che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno.

Un popolo al quale Paul Collier dedicò nel 2009 il libro L’ultimo miliardo (Laterza) per analizzare i motivi per i quali i paesi più poveri diventano sempre più poveri e cosa si può
fare per aiutarli che non sia carità.

A Roma si allontanano gli invisibili recintando o sperando in una combustione accidentale dell’area come sotto il cavalcavia della Magliana-Eur, luogo riparato dalle intemperie e dagli occhi, ma ciò nonostante sottoposto a periodici sgombri, sino alla definitiva recinzione. In Cina a Guangzhou delle piramidi di cemento per impedire la sosta agli homeless in luoghi di transito, interventi che possono essere interpretati come arredo urbano.

La Cina, mentre cerca di nascondere la povertà, si prefigge di portare fuori dalla indigenza circa 80 milioni di persone entro il 2015, impegnandosi ad aumentare del 40% il salario minimo, vuol incrementare gli stanziamenti per istruzione e alloggi popolari, oltre a imporre alle aziende di stato di versare un altro 5% dei loro profitti in dividendi entro il 2015.

La Cina è la seconda economia mondiale che negli ultimi anni ha visto crescere il divario tra ricchi e poveri. Una possibile causa per delle rivolte sociali.

Una periferia disagiata, con una povertà che ancor più in risalto la città ricca e che permette agli indigenti di poter consumare, timidamente, un pasto in una mensa di sostegno o di recuperare sedie e mobili dalle discariche.

Il rapporto della britannica Institution of mechanical engineers (Ime): due miliardi di tonnellate, pari alla metà del cibo prodotto nel mondo, di alimenti vengono distrutti; tra il 30 e il 50 % spesso senza neanche arrivare nei piatti dei consumatori e finisce in spazzatura. Una statistica approssimativa se pensiamo a quante tonnellate di prodotti agricoli non vengono colti o mandati alla distruzione per poter tenere alti i prezzi e usufruire degli aiuti economici dell’Ue.

Un centinaio di organizzazioni umanitarie hanno lanciato una campagna contro la fame Enough food for everyone IF… in modo da coincidere con il ruolo del Regno Unito a capo del G8 di quest’anno. Un’ampia coalizione umanitaria dai tempi della campagna Make Poverty History 2005, alla quale aderisce anche Save the Children, perché la fame appartenga al passato.

In Australia c’è il gruppo Roadtrip ad essere impegnato a sottrarre dalla povertà di vivere con meno di 2 dollari al giorno gli abitanti della Papua Nuova Guinea come in altre parti del Mondo e anche con meno di un dollaro.

La Gran Bretagna da una parte si impegna in campagne contro la fame e la povertà, mentre limita il welfare agli immigranti europei.

Dopo la recente conferenza di Bruxelles, che ha affrontato il tema della povertà, i paesi membri tentano ora di costruire una politica sociale comune per rispondere alle emergenze, ma il cammino è ancora tutto in salita.

Rimane difficile credere che la Ue, incapace di trovare una politica estera comune, possa conseguire dei risultati per un programma sociale. Tanto più che a febbraio l’Europa si trova nuovamente divisa sull’approvazione del nuovo bilancio comunitario per il periodo 2014-2020, tra chi vuol ridurre il budget, come Gran Bretagna e Germania, e chi è fautore per rafforzarlo. Le prospettive di un nuovo fallimento dopo quello di novembre si sono rivelate pessimistiche: sono riusciti ad accordarsi al ribasso. Si sono ottenuti dei tagli, ma lasciando invariati gli aiuti alle agricolture.

Due filosofie, quella dei tagli e quella dell’incremento degli investimenti che continueranno a confrontarsi per la stabilità del bilancio e la crescita economica. Più si spende e più si cresce, ma non sembra una scelta oculata. Fare debiti per consolidare e far crescere il benessere personale. Ma si ha un progetto a lungo termine o si vuol alternare austerità con lo sperperare. Può essere una pratica che possa dare delle prospettive? Questo non si può chiamare modernità.

È limitativo che il presidente dell’Eurogruppo Jean Claude Juncker al Parlamento europeo citi Marx contro la crisi per ipotizzare il salario minimo garantito. Una svolta dell’Ue si avrà quando si otterrà una coesione tra i paesi rappresentati al Parlamento europeo, svincolando dai cordoni ombelicali che li tengono troppo legati agli interessi nazionali a discapito dell’interesse comunitario. Che sia l’Ue a provvedere allo stipendio dei parlamentari per una eguaglianza nel trattamento economico equiparato alla presenza.

Un’Europa che non trova delle soluzioni comunitarie quando non riesce a trovare un accordo quando in ballo ci sono i guadagni economici come può affrontare la povertà?

I paesi del nord e quelli del sud dell’Europa affrontano la povertà in diverso modo. In linea di massima l’area protestante crea una rete di servizi sociali finanziati dall’amministrazione pubblica, mentre quelli cattolici si affidano al volontariato e alla carità. La prima è stabile nella sua programmazione, mentre la seconda è precaria e può contare sulle donazioni.

I maggiori paesi investiti dalla crisi rimangono racchiusi nell’acronimo Piigs (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna) accomunati dal rischio di cadere nella povertà. Un rischio che non esenta Malta, Cipro e l’Estonia, la cenerentola del Baltico. Una nazione come una persona quando si trova in difficoltà, è difficile che riesca a risollevarsi, come vuol ribadire il rapporto Ue 2012 su disoccupazione e sviluppi sociali, 469 pagine a firma del commissario Ue per gli affari sociali Lazlo Andor, evidenzia il divario tra Nord-Sud. Un dossier che ha tutto il gusto di una beffa nell’Anno europeo dei cittadini.

Un panorama ricco di contraddizioni come sta succedendo a Malta nel voler diventare con il gioco online la Las Vegas del Mediterraneo, ampliando il suo spettro economico imperniato sul turismo, e affiancandosi a Cipro nell’offerta di servizi finanziari.

In ogni periodo di crisi economica cresce la corsa delle persone nel cercare rifugio verso i sogni di ricchezza nel gioco d’azzardo e nella convinzione di poter investire i pochi soldi in una scommessa o in una speculazione finanziaria.

Il discrimine tra chi ha e chi aveva è evidenziato nelle stazioni ferroviarie delle grandi città italiane, dove le sale d’attesa sono ad uso solo di chi possiede una card vip o uno speciale biglietto.

Anche ActionAid è impegnata nelle problematiche delle nuove povertà, sfide climatiche e crescita sostenibile da affrontate non solo nei paesi del sud del Mondo, ma anche in Italia e nel resto d’Europa. È nell’ambito dell’Anno europeo del cittadino che ActionAid, con la collaborazione dell’Associazione Stampa Romana, ha organizzato il 22 aprile, presso la sede della Provincia di Roma a Palazzo Valentini, una serie di incontri come Nuove povertà e disuguaglianze sociali.

La lunga marcia verso la povertà trova le sue origini anche nell’esodo dalla campagna iniziata con gran vigore negli anni ’60 in tutta Europa e negli Stati uniti e che ora coinvolge anche la Cina. Così timidamente si assiste al fenomeno inverso anche perché il crescente numero dei poveri non permette a una società urbanizzata di praticare la carità.

La povertà si sconfigge con l’istruzione come hanno capito le organizzazioni no-profit Summerbridge, impegnata nell’aiutare l’infanzia meno abbiente dell’area urbana di Pittsburgh, e Breakthrough, spinge i bambini a conoscere altri paesi e culture attraverso viaggi mensili. Due modi per rompere il ciclo della povertà e accedere all’istruzione, anche superiore e universitaria, per migliorare la loro vita.

Un’altra realtà impegnata ad assistere i poveri negli Stati uniti è la National Hunger and Homeless Awareness Week dedita ad aiutare i senza tetto.

Per quanto le varie organizzazioni si possano impegnare in luogo del Pianeta ad aiutare e assistere gli indigenti i rischi di un conflitto tra chi ha e chi non ha appare come inevitabile, una conseguenza dal disagio sociale e della crescente povertà.

In un frammento di descrizione che Paul Auster fa della New York degli anni ’80 nel racconto Città di vetro si legge: […] Oggi, come mai prima: i barboni, gli spiantati, le vagabonde coi sacchetti della spesa, i miserabili e gli ubriaconi. Variano dal semplice indigente a relitto umano. Dovunque ti giri, te li trovi davanti, nei quartieri alti come nei bassifondi. […] E ancora: […]Dammi questi soldi, sembra che ti dicano, e presto sarò di nuovo tra di voi altri, correrò ogni giorno avanti e indietro come tutti quelli che lavorano. […] Sono passati una trentina d’anni e la situazione e cambiata in peggio.

MDG : IF campaign against hunger and enough food for everyone