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Infanzia: i Diritti negati nel rapporto di Save the Children

I media riescono a commuoverci per un minorenne vittima di violenza, ma in un mondo d’immagini è difficile che un rapporto pieno di numeri e statistiche possa coinvolgere il cittadino come un’immagine di un bimbo dal viso sofferente.

Conflitti, carestie e sfruttamento negano a centinaia di milioni di minorenni l’infanzia che non solo Save the Children cerca di fargli vivere, portando all’attenzione la realtà dell’infanzia nelle varie aree del Mondo e nonostante l’Italia occupa l’ottavo posto “migliore” dove bambine e bambini potrebbero vivere, sono 1,2 milioni i minori in povertà assoluta.

Sempre più bambini soffrono e muoiono in un Mondo dove gli adulti violenti dettano legge, distruggendo scuole con raid aerei o attentati, aumentando la schiera dei mancati alunni. Bambini ai quali viene negato il diritto allo studio vengono struttati nel lavoro minorile e sono vittime di matrimoni e gravidanze precoci.

Il Mondo subisce un’ulteriore diseguaglianza nella fortuna per i bambini che possono godere a pieno tutte le potenzialità offerte nel nascere a Singapore o in Finlandia, piuttosto che nella Repubblica Centrafricana.

Nel Rapporto sulla condizione dei bambini in 176 Paesi https://s3.savethechildren.it/public/files/uploads/pubblicazioni/rapporto-sulla-condizione-dei-bambini-nel-mondo.pdf, stilato da Save the Children, è evidenziato come non tutti i bambini di questo millennio hanno la possibilità di crescere in salute, di essere scolarizzati ed essere protetti.

Per i bambini che riescono a fuggire dalle aree di conflitto, come ad esempio la Siria e lo Yemen, la vita in un campo profughi non è priva di pericoli e non sarà facile neanche per quelli che riusciranno a sbarcare in Europa, per essere accettati.

Vivere in paesi come la Svezia, Finlandia, Irlanda, Germania, Slovenia e Norvegia non esenta l’infanzia dai pericoli della pedofilia e dalla violenza familiare, ma sicuramente con minori rischi che incontrano i 420 milioni di bambini nelle aree di conflitto.

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Sotto la soglia

 

Ben Affleck ha vissuto per soli cinque giorni, dal 29 aprile al 3 maggio, con 1,5 dollari al giorno, contribuendo a far conoscere l’iniziativa di “Live Below the Line”, una campagna volta a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla piaga della povertà nel mondo. Un attore famoso come lui può dar maggiore visibilità all’iniziativa e stimolare le donazioni per le cinque campagne parallele di Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda, anche se gli è stato permesso di nutrirsi dei prodotti del suo orto.

Mark Boyle, nel 2008, affermava che «i primi mesi senza soldi sono i più duri» poi cominciò a coltivare frutta e verdura, oltre a ricevere offerte da parte di diversi benefattori. Una filosofia di vita che prosegue a tutt’oggi e gli permette di trarne anche dei benefici economici con il suo sito http://www.moneylessmanifesto.org e il conseguente libro.

In precedenza (1996) Heidemarie Schwermer decise di cambiare radicalmente modo di vivere, facendo a meno di tutto e vivendo di baratto, proponendosi – in cambio di vitto e alloggio – come custode degli appartamenti di chi deve partire in viaggio. Anche quest’esperienza è divenuta un libro, pubblicato da Terra Nuova Edizioni.

Sono dunque pionieri che istillano perle di saggezza attraverso il web e i libri per vivere senza soldi, ma dovrebbero render partecipi delle loro competenze anche gli abitanti di un qualsiasi villaggio africano, dove però scegliere questo stile di vita è più difficile, ché alla carenza d’acqua si aggiunge la mancanza di benefattori che possono sollevare gli altri dalle responsabilità verso il prossimo.

Con questi esempi non può sembrare ipocrita che un famoso riccone, per dar voce ad una campagna di aiuto, cerchi di sopravvivere con meno di quello che un mendicante racimola solitamente in una città dell’Occidente in una giornata di sole: è più di una questua in un paese africano e pari al quotidiano salario di donna, uomo o bambino impegnati fino a 12 ore di lavoro al giorno a tagliare e assemblare indumenti e calzature per note marche di abbigliamento in fatiscenti fabbriche del Bangladesh o dell’Indonesia, per una retribuzione media mensile di 30 euro.

L’attore e regista statunitense è anche, come altri suoi colleghi di Hollywood, dedito ad aiutare i meno fortunati attraverso organizzazioni non governative con progetti in Africa e in altri luoghi del Pianeta. Per Ben Affleck è la Eastern Congo Initiative (ECI), impegnata a promuovere opportunità di sviluppo economico e sociale nel Congo orientale.

Le condizioni di lavoro sono pessime: locali senza aerazione, maneggio di sostanze tossiche e illuminazione insufficiente sono la regola, per poi vivere con meno di 1,50 dollari al giorno. Migliori condizioni si possono trovare nelle fabbriche di hi-tech, ma i salari rimangono bassi. Si dirà che il costo della vita in quei paesi e ben minore di quello dove i prodotti verranno smerciati, ma allora non si spiegano le miserabili condizioni di vita e le inesistenti opportunità di migliorare il proprio tenore di vita dei lavoratori. La tragedia del Bangladesh – più di mille lavoratori vittime dell’avidità della delocalizzazione – ha posto all’attenzione dell’Occidente le miserevoli condizioni di milioni di persone che vivono per soddisfare a poco prezzo la vanità di pochi, portando alcuni produttori europei di abbigliamento a chiedere migliori condizioni di sicurezza nelle fabbriche. Ma i distributori statunitensi si tengono fuori, quindi non bisogna abbassare la guardia sperando che le promesse diventino realtà.

Le campagne lanciate nei paesi industrializzati contro lo sfruttamento della manodopera nei paesi in via di sviluppo – quelle dell’Ong Abiti Puliti, ad esempio – dedicano di conseguenza molte risorse a sensibilizzare l’opinione pubblica occidentale affinché smetta di acquistare prodotti fabbricati violando i diritti dei lavoratori. Il Bangladesh è, nell’Indice di Sviluppo Umano 2013, al 146° posto insieme al Pakistan nella classifica compilata ogni anno dalle Nazioni Unite, su 186 stati considerati.

Quante persone potrebbero sopravvivere con 1 o anche 2 dollari al giorno, quando l’Occidente getta tonnellate di cibo ogni anno nei cassonetti o lo lascia marcire sugli alberi e nei campi? E a pensare che il 2013 è stato scelto dall’Unione europea come Anno contro lo spreco alimentare. Ma in questo la crisi sta dando una mano: stando agli ultimi rilevamenti, gli italiani sono impegnati a consumare meno prodotti ortofrutticoli e pesce, diminuendo lo spreco che negli ultimi anni era stato quantificato in 20miliardi di euro all’anno di alimenti gettati nei cassonetti.

Ben Affleck, dopo aver raccolto fondi per la campagna per Live Below the Line con il gesto di vivere per alcuni giorni con budget quotidiano di un dollaro e mezzo, ha ritirato la laurea honoris causa dalla Brown University di Providence in Arti Figurative, con l’occasione gli è stato anche riconosciuto il suo contributo a svariate cause umanitarie.

 

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La sostenibilità dello Sviluppo

Nella corsa allo sviluppo e nel tentativo di emancipazione dall’influenza nordamericana, archiviando la cosiddetta dottrina Monroe, i paesi sudamericani hanno spinto sulla crescita economica attraverso processi di industrializzazione e di costruzione di grandi opere nei quali, spesso, si sono manifestate evidenti contraddizioni in termini di violazioni ambientali e di diritti umani.

Stiamo parlando di un territorio – quello sudamericano – che concentra in sé quasi la metà delle foreste tropicali e sette dei venticinque ecosistemi più ricchi del mondo. È popolato da oltre cinquecentoventidue gruppi indigeni rappresentanti però, solo il 6% della popolazione totale, che invece si riversa negli agglomerati urbani (dopo il 1960 il tasso di urbanizzazione passa dal 50% al 75%) posizionando quindi tale Continente come il più urbanizzato del terzo mondo (il 30% della popolazione concentrata nelle periferie).

La costruzione di accessi di comunicazione terrestri o per acqua, il disboscamento, l’urbanizzazione, l’estrazione delle materie prime (minerali e idrocarburi), la coltivazione dei campi con monocolture intensive, la pratica della caccia (47 % delle specie animali sono catturate illegalmente), la promozione del turismo o la creazione di impianti industriali, se non affrontati in un’ottica ecosostenibile, creano danni non solo al territorio circostante ma di seguito al paese e conseguentemente all’equilibrio ecologico mondiale.

Ciò è facilmente intuibile soprattutto nel caso della deforestazione, che ha causato nel continente latinoamericano tra il 1990 e il 2000 la perdita  di 46,7 milioni di ettari di foreste e avanza, con una percentuale annuale doppia rispetto alla media mondiale, contribuendo così in modo sostanziale al cambio climatico e all’effetto serra.

Necessita invece di una maggiore riflessione l’analisi delle conseguenze relative allo sfruttamento dei campi per le monocolture e per i biocarburi, come avviene nel primo caso, nel “blocco” costituito da Argentina, Brasile, Paraguay e Bolivia che rappresenta il 68% dell’esportazione mondiale complessiva della soia e si sta affermando come il maggiore esportatore mondiale di questo cereale (“Mercosoya 2006”) e nel secondo, con la coltivazione della canna da zucchero in Brasile.

La monocultura, agroecologicamente parlando, nega la possibilità dello sviluppo di un’agricoltura adattata al ciclo biogeochimico terrestre comportando, quindi, un alto supporto di fertilizzanti, erbicidi, fungicidi i cui residui contaminano ed inquinano il territorio coltivato. L’intensificazione delle monoculture e dell’allevamento bovino in zone ecologiche,  come  ad esempio quella del  “Cerrado” e del “Chaco”, hanno causato la perdita delle caratteristiche ecologiche del territorio e delle riserve naturali di biomassa. All’impatto ecologico si aggiunge quello sociale derivato dalla riduzione dei campi disponibili per la produzione di alimenti.

La costruzione dell’autostrada trans-amazzonica e dell’idrovia Paraguay-Paranà hanno anch’essi influito sulla perdita della biodiversità.

Nella ricerca di fonti di energia alternative, obiettivo di per sé pregevole, il Brasile ha progettato di costruire una diga per la quale verrà modificato circa l’80% del corso del fiume Xingu, danneggiando di conseguenza gli abitanti di quell’area che verranno a trovarsi senza acqua. Peraltro, secondo studi dell’ INPA (Istituto amazzonico nazionale di ricerca), l’inondazione della foresta causerà la dispersione in atmosfera di enormi quantità di metano, un gas serra che è venticinque volte più dannoso dell’anidride carbonica.

Il rispetto ambientale è negato di fronte al miraggio dei profitti anche quando si parla di multinazionali nordamericane o europee operanti in territorio sudamericano. Alla luce del fenomeno già ampiamente dibattuto “del nuovo colonialismo economico” perpetuato dalle multinazionali, queste ultime hanno praticamente invaso i paesi in via di sviluppo, per sfruttare nuovi giacimenti minerari e d’idrocarburi e godere di enormi vantaggi, sia di tipo economico che tecnico: come la deregolamentazione sulle tematiche ambientali. Questo ha portato, proprio in America Latina, ad un aumento esponenziale della presenza di industrie estrattive che non hanno avuto scrupoli ad usare metodi poco ortodossi, a volte anche all’oscuro dei governi, e che molto spesso restano impunite.

Ma alcuni casi vengono alla luce: come quello della  lunga battaglia legale tra Chevron e gli ecuadoriani. Fortunatamente la Corte Suprema statunitense ha respinto la richiesta della Chevron per l’annullamento della sentenza ecuadoriana che richiede un risarcimento di 18,2 miliardi di dollari, emessa nel 2011 dopo 8 anni di indagini nella città  petrolifera di Lago Agrio. L’Ecuador ha dimostrato che erano stati versati più di 16 miliardi di galloni di greggio, fanghi e rifiuti tossici in Amazzonia, gravemente inquinanti per sorgenti, falde e corsi d’acqua e, a causa dei quali, sono state decimate tribù indigene della regione.

Una battaglia è stata vinta “penso che sia stata fatta giustizia”, afferma il presidente dell’Ecuador Rafael Correa, anche se come ha affermato la Corte d’appello “nessuna somma sarà sufficiente a riparare tutti i crimini che hanno fatto nella nostra zona, né sarà sufficiente a portare i morti in vita.”

Lo stesso Correa che intende affidare lo sfruttamento di una zona della foresta amazzonica ai cinesi, disinteressandosi degli indios che vi abitano.

La Cina è bramosa di ricchezze naturali e dopo l’Africa è la volta del continente latinoamericano ad essere visto solo come uno smisurato supermercato per soddisfare tutte le nessità di una popolosa nazione protesa ad acquisire il monopolio di ogni risorsa, in una sorta di Capitalismo di Stato autoritario globale.

Un’avidità che ha portato la Cina alla devastazione di parte del suo territorio e di quello africano per impegnarsi anche sul suolo sudamericano.

Nel caso della Famatina (Argentina, estremo nord della provincia di La Rioja) è la piccola comunità e non il Governo a lottare contro la corporation canadese Osisko Mining sensibilizzando l’intero paese fino a mobilitare manifestazioni davanti all’ambasciata canadese di Buenos Aires. La comunità della Famatina è riuscita, per il momento, a bloccare l’estrazione di oro nella megaminiera a cielo aperto: la multinazionale canadese utilizzava 10 tonnellate di cianuro al giorno per separare l’oro dalla roccia, con effetti devastanti non solo per la contaminazione dell’acqua della zona ma anche per tutto il territorio.

Come afferma Gustavo Carrasquel, ambientalista venezuelano: ”Oggi non c’è un governo in America Latina che stia realmente costruendo un progetto per il miglioramento delle condizioni ambientali nel proprio paese”.

C’è comunque da dire che ripercorrere il tema ambientale ed i principi dello sviluppo sostenibile, creando obiettivi di miglioramento ambientale, economico, sociale ed istituzionale, implica il tenere in considerazione le minacce o gli impatti ambientali in eco-regioni (178 “ecoregioni” identificate in America Latina e Caraibi) per lo più sovranazionali.

Veri e propri conflitti tra gli interessi del Capitale e quello delle comunità, non solo indigene, custodi di aree preziose a preservare le biodiversità, evidenziati nel sito della CDCA (Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali).

Le logiche dello sviluppo sostenibile seguono un’intricata rete di attori e problematiche, difficilmente rappresentabili in un quadro organico. Da qui la grande complessità e la necessità di promuovere un Piano di Azione Sovranazionale con un Fondo monetario ad esso univocamente destinato per bilanciare economie e diseconomie. È importante, altresì, una maggiore sensibilizzazione non solo a livello nazionale (pensiamo semplicemente alla gestione dei rifiuti nel territorio urbano), ma anche internazionale.

Nell’ambito delle Istituzioni a tutela o dei tavoli aperti dalle varie organizzazioni, l’approccio latinoamericano è caratterizzato da forme di integrazione sub-regionale e da una marcata tendenza al metodo intergovernativo, piuttosto che allo sviluppo di istituzioni sovranazionali.

Organizzazioni “storiche” come il Mercosur, la Comunità Andina delle Nazioni (CAN) e il Sistema dell’Integrazione Centroamericana (SICA), ma anche le nuove come l’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR) e l’Alternativa Bolivariana per l’America (ALBA), coinvolgono aree più limitate rispetto alle grandi aggregazioni geografiche: un quadro composito di integrazione nel quale coesistono diversi raggruppamenti di paesi che rende difficile il perseguimento di politiche che coinvolgano efficacemente anche dimensioni extra regionali.

In questo panorama si inserisce la Conferenza sulle strategie per l’uso delle risorse naturali (Conferencia de la Unión de Naciones Suramericanas sobre Recursos Naturales para el Desarrollo Integral de la Región) che riunirà dal 27 al 30 maggio nella capitale venezuelana i membri dell’UNASUR. Una riflessione collettiva sull’importanza di un migliore utilizzo delle risorse naturali e del territorio, per uno sviluppo sostenibile in ambito sociale, economico, culturale, tecnologico e industriale.

I governi sudamericani saranno sufficientemente lungimiranti nelle scelte?

 

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