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Ladri di anime virtuali

Il mese scorso alcuni profili su Twitter e Telegram hanno pubblicato documenti classificati relativi alla strategia degli Stati Uniti e della Nato per preparare le Forze armate ucraine all’invasione russa, ma anche nel mio piccolo le acque si sono agitate: da qualche giorno sto cercando di rassicurare mia moglie, senza grandi risultati. Le hanno hackerato il suo profilo Instagram e le sue amiche ricevono da ieri strani messaggi: “aiutami a diventare ambasciatore di influenza” (influencer? fa la coppia con “carriere alias”) oppure propone speculazioni in bitcoin. La prima ad avvisarla è stata un’amica: “ma perché mi chiedi il telefono se lo sai da anni”? Da qui la scoperta: mia moglie aveva incautamente risposto – per stanchezza – a un contatto farlocco. Il classico phishing, ne mandi 3.000 e uno abbocca. Ci ho messo un po’ per spiegarle che non le avevano rubato soldi o svuotato la carta di credito, per cui al massimo sarebbero partiti un po’ di messaggi fasulli. Mentre facevo la denuncia online alla polizia postale, lei si attaccava al telefono e a whattsap per avvertire tutti i contatti, quando non erano le amiche a chiamarla per dirle che di certo non credevano a quei messaggi improbabili. Le chiedo se aveva pubblicato foto intime, pur sapendo che certe cose non le farebbe mai. Le dico che di questi tentativi in mail ne ho visti ed evitati centinaia (belle ragazze russe, una ex che mi scrive, pacchi in giacenza, azioni Amazon, buoni Ikea, bitcoin, banche di cui mai sono stato correntista) e che l’unica volta che mi hanno clonato una carta di credito (con poco contante, per fortuna) avevo scomodato due banche e un commissariato e tagliato la carta, ma dopo due giorni avevano arrestato due loschi figuri vicino lo sportello bancomat manomesso. Nulla da fare: voleva per forza rientrare nel suo account, ma senza password (dimenticata) non era possibile. Tanti siti ti dicono come fare, ma alla fine non è vero. A quel punto proviamo col centro assistenza Instagram, ma è tempo perso: il modulo segue impostazioni troppo rigide. Ma a questo punto cerchiamo di recuperare la password: viene mandato un codice a una mail che tengo di riserva. Inserito il codice, la scena diventa surreale: ti chiedono di inquadrare col telefonino il suo volto. Per fortuna mia moglie ha un bell’ovale ed entra bene nell’inquadratura. Deve anche voltarsi lentamente… dopo un quarto d’ora non succede niente. Proviamo facendoci mandare il codice via sms. Lo mandano a un numero con prefisso 234. Controllo: è il prefisso della Nigeria! Nel frattempo mia moglie è in ansia e teme chissà cosa, ma in realtà con la denuncia cautelativa sta a posto. Passiamo al security control via mail. Chiedono di mandare prima un video che dimostri che non è un robot. Poi ci riprovano chiedendo una foto di lei che tiene in mano l’ID, la carta d’identità, mentre le amiche continuano a ricevere messaggi improbabili. Telefono a un mio amico informatico, il quale mi dice che sono lenti nelle risposte ed è tutto basato su algoritmi. Dopo due giorni l’account è sospeso. Fine della storia. Per ora.

Nell’Era del CoronaVirus non diminuiranno i maleducati

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Lorenzo Canova, su Fb, pone il quesito se “Nel mondo dell’arte, e della cultura in generale, andrà ancora di moda fare gli stronzi e i maleducati per sembrare più fighi?”, con quattro possibili risposte.

Stando allo sproloquio imbastito da Filippo Facci, su Twitter, contro Selvaggia Lucarelli, è facile, profetizzare pessimisticamente, che certa umanità continuerà a ribollire di astiosità, ma chiederselo è umano.

Quindi mi chiedo e ci si chiede: perché poi questa moda, usanza, abitudine o come vogliate chiamarla di usare in ambito critico ed esplicativo questo linguaggio da adolescenziale in ritardo? Per sembrare “più fighi” come si enuncia? … Non è questione di esser puri e depurati posando a ridicoli e anestetizzati accademici, si può far satira anche feroce e colpire a fondo, se si vuole, usando l’arma del fine umorismo, ci sono molti modi per ridicolizzare un dilettante presuntuoso o un avventuriero cialtrone… Certo, non possiamo essere tutti Oscar Wilde o Mark Twain, ma senza andar troppo lontano abbiamo avuto in casa nostra penne argute e dissacranti senza l’abuso di ciarpame maleodorante: Marcello Marchesi, Alberto Arbasino, Achille Campanile, Savinio ed altri.

Vi basta?

In definitiva il punto non è che sia necessario scrivere in punta di forchetta come Baldassar Castiglione nè buttarla giù grassa come un Aretino … si può trovare la formula giusta dosando ironia, gusto, equilibrio, sempre sostenuti ovviamente da una base culturale solida e sicura.

Credo che in definitiva sia questa la risposta … e invece si pensa che gridando più forte e sbandierando loquacità da “vaiasse” (serve di infimo ordine in napoletano più educatamente “collaboratrici domestiche”) gli altri ci possano prendere sul serio.

È sempre il dilemma antico che l’urlo da caporal maggiore, anche dicendo fesserie, sia più fruttuoso dell’intelligente risposta magari detta sottovoce.

In fondo è sempre di moda l’esempio del dittatore al balcone: non conta il senso di quel che si dice ma la forza in decibel di quello che urli alla folla.

Così la gente comune tende ad ascoltare e rispettare l’urlatore (“lui sì che si sa far valere!”) e a prendere sottogamba chi usa toni moderati pur criticando efficacemente.

Se si vuol dire, storicamente, l’uso della “parolaccia” per condire il proprio pensiero, fu introdotta per la prima volta dal grande Cesare Zavattini, ahimè pur fine intellettuale ed umorista, che durante una trasmissione in radio, travolto dalla sua passionalità romagnola (o emiliana?), eruppe in un travolgente “cazzo!” … Dopo anni di genuflessa ipocrisia democristiana si applaudì all’efficacia verbale e disinibita dello scrittore.

Da allora e fino ad oggi e chissà per quanto ancora si usa e si abusa a destra e a sinistra del pepe simile e anche peggio del trionfale sostantivo zavattiniano … Dobbiamo dunque rimpiangere la malsana bigotteria e le genuflessioni democristiane? Penso proprio di no.

Perdoniamo volentieri al grande scrittore di aver aperto questo maleodorante vaso di pandora e pensiamo, speriamo, confidiamo, in un futuro ritorno al buon gusto, la misura e “l’humour” a cui ci avevano abituato ben altri maestri.