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Le origini della cristianità

Per la prima volta, in seguito all’approfondimento degli studi e a delicate operazioni di restauro, è stata possibile una pregevole esposizione che favorisce una migliore conoscenza dell’arte cristiana delle origini.

Verso la fine del IV secolo, l’accresciuta consapevolezza della comunità ecclesiale romana viene implicitamente comunicata anche attraverso opere d’arte che celebrano il trionfo glorioso di Cristo.

In particolare, durante i pontificati di Damaso e Siricio (fra 366 e 399), la figura del Salvatore è protagonista di una serie di sarcofagi che prende il nome dalla raffigurazione centrale della guarigione del paralitico alla piscina di Betzatà o Bethesda in Gerusalemme (Gv 5, 1-18), presentata su un prezioso sfondo architettonico.

Attorno, si riconoscono altre scene evangeliche: la guarigione di due ciechi a Cafarnao (narrata unicamente in Mt 9, 27-31), la guarigione dell’emorroissa (cfr. Mt 9, 20-22 e paralleli), la chiamata di Zaccheo (cfr. Lc 19, 1-10) e, infine, l’ingresso di Gesù in Gerusalemme (cfr. Lc 19, 29-38 e paralleli).

L’insieme di queste scene compone un chiaro programma iconografico, nel quale la narrazione evangelica del Signore taumaturgo che percorre le strade della Galilea e della Giudea «beneficando e risanando tutti» (At 10, 38) si attualizza, per il fedele, nella “guarigione” dalla morte. L’evento salvifico è illustrato dalla figura del paralitico dormiente sul lettuccio, per cui giunge il “tempo favorevole” della risurrezione, evocato sul sarcofago dalla presenza della meridiana che affianca la persona di Gesù.

Questa tipologia di decorazione dei sarcofagi, ideata a Roma, conobbe una significativa diffusione sulle sponde del Mare nostrum, con l’esportazione soprattutto verso i centri della Gallia, della Penisola Iberica, sulla costa africana e in Italia, ad Ischia, dove un prezioso esemplare fin dal 1866 è stato murato in una parete del Palazzo Vescovile.

La recente fortunata opportunità del distacco del sarcofago ischitano (in vista di una sua futura musealizzazione) e del suo restauro, ha fatto nascere l’idea – condivisa generosamente dal Vescovo d’Ischia Mons. Pietro Lagnese con la Direzione dei Musei Vaticani, guidata da Barbara Jatta – di presentare il sarcofago in una esposizione che s’inaugura dapprima in Vaticano, per poi esser proposta anche al Museo Diocesano di Ischia a partire dalla primavera del 2020.

In mostra esso è eccezionalmente esposto a fianco di un altro dei rari sarcofagi di Bethesda giunti fino a noi ancora sostanzialmente integri, quello rinvenuto in Vaticano nei lavori per la costruzione della cinquecentesca Basilica di San Pietro, anch’esso intriso di storia e di percorsi antiquari, nonché oggetto di settecenteschi restauri e oggi vanto della raccolta di sarcofagi paleocristiani dei Musei Vaticani.

La loro esposizione congiunta consente finalmente di raffrontare dal vivo due esemplari del medesimo “tipo” e, contestualmente, di riflettere sul commercio di tali manufatti lungo le coste dell’Impero. Attraverso le rotte marittime, i “sarcofagi di Bethesda” non sono più solo tombe lussuose da esportare: le loro immagini suggellano il diffondersi di una nuova concezione cristiana della morte (il dies natalis) ed echeggiano l’annuncio dell’avvento del Salvatore, nel suo propagarsi «fino agli estremi confini» (At 1, 8) e nel richiamare «le isole più lontane» (Ger 31, 10) a far parte del nuovo Mondo cristiano.

In occasione della mostra, la generosa collaborazione della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, cui spetta la tutela delle catacombe cristiane d’Italia, consente eccezionalmente l’apertura al pubblico del Museo della Catacomba di Pretestato sulla Via Appia Pignatelli a Roma, dove i visitatori potranno ammirare un singolare esempio dei sarcofagi “di Bethesda con la fronte parzialmente occupata da una lunga iscrizione poetica (per informazioni: www.catacombeditalia.va). Quest’ultimo, non facilmente trasportabile, è rievocato in mostra attraverso una riproduzione fotografica al vero, così come un altro celebre esemplare della stessa tipologia, affisso fin dal Medioevo sulla facciata della Cattedrale di Tarragona, in Spagna.


TEMPO DIVINO
I Sarcofagi di Bethesda e l’avvento del Salvatore nel Mediterraneo antico
Dal 7 dicembre 2019 al 29 marzo 2020

Museo Pio Cristiano
Musei Vaticani

A cura di Umberto Utro e Alessandro Vella (Musei Vaticani) con la collaborazione di Don Emanuel Monte (Museo Diocesano di Ischia)

Con il patrocinio dell’Istituto Patristico Augustinianum
nell’ambito dei cui “Incontri di studiosi delle Antichità Cristiane” il tema è stato per la prima volta presentato.


Milano anni ‘60

Continua a Palazzo Morando a Milano la serie delle mostre che riguardano la storia recente della città, iniziata nel 2013 con la mostra “Milano tra le due guerre” e le fotografie di Arnaldo Chierichetti.
E’ in corso attualmente la bella mostra “Milano anni ’60, storia di un decennio irripetibile”: l’esposizione ripercorre un periodo straordinario in cui Milano diventa il motore non solo economico ma anche culturale dell’intera nazione.
Tutto ciò che era in Italia innovazione nei vari campi, dall’architettura, all’arte, alla musica alla produzione industriale trovava il punto di riferimento in Milano.
La mostra ripercorre con una serie di fotografie e con la ricostruzione di ambienti il fermento che per un decennio “irripetibile”, come evidenzia il sottotitolo della mostra, ha pervaso una città che a pochi anni dalla fine della guerra è riuscita a diventare tra le prime quaranta città più influenti al mondo.
Il percorso si apre con le immagini della nuova Milano che sta sorgendo, i grattacieli in costruzione: la torre Galfa, il Pirelli, poi le tangenziali, i nuovi quartieri periferici, con un grande plastico del Gratosoglio, e la metropolitana, il cui allestimento degli spazi e delle banchine farà da modello per le metropolitane di mezzo mondo.
La mostra prosegue con la ricostruzione di piccoli ambienti che rievocano la nascita della grande stagione del design, rappresentata in particolar modo dai fratelli Castiglioni, Vico Magistretti, Giò Ponti, e del Salone del Mobile che nell’arco di pochi anni sarebbe diventato il più importante a livello mondiale. E gli oggetti esposti erano prodotti da piccole realtà artigianali come Artemide o Fontana che sarebbero diventate in seguito industrie tra le più importanti a livello mondiale.
Non mancano le immagini dei treni in arrivo dal sud alla stazione Centrale dove giungono 800 nuovi milanesi al giorno, in una città in cui, come scriveva Guido Gerosa, non c’è disoccupazione e il reddito pro capite è il più alto d’Italia. Ed ecco quindi oltre ai treni in arrivo pieni di immigrati, anche i treni in partenza per le vacanze, altrettanto affollati.
Ma Milano non è solo boom economico. Milano è anche musica, è arte, è cultura. Le foto ci mostrano i concerti dei mostri del jazz, Miles Davis, Dizzy Gillespie, Ella Fitzgerald, Duke Ellington, Billie Holiday che si esibiscono al teatro dell’Arte, al Lirico, al Gerolamo, allo Smerando, in una Milano dove Chet Baker aveva preso casa.
E poi le foto dei Beatles al Vigorelli e dei Rolling Stones, in un memorabile concerto al Palalido.
A Milano nasce il Cabaret e nascono nuove tendenze musicali per la presenza di cantautori ed interpreti che diverranno presto famosi, Jannacci, Paoli, Tenco, Gaber, Vanoni e che segneranno un svolta nel panorama musicale anche grazie alla lungimiranza di impresari ed editori come Nanni Ricordi.
Non mancano giornali e libri a ricordarci la grande vivacità nel campo editoriale (riviste come Linus e Panorama, e case editrici come Adelphi, nascono in questi anni) e anche nel campo artistico, con le gallerie sui navigli in cui spesso gli artisti internazionali espongono prima ancora che alla Biennale di Venezia.
Insomma Milano negli anni ’60 è diventata una città attrattiva, ma non solo verso coloro che aspirano a sfruttare le opportunità offerte da mondo dell’industria ma anche nei confronti di intellettuali, architetti, artisti.
Tutto sta ad indicare che sviluppo economico e sviluppo culturale sono strettamente connessi.
Alla fine del decennio però qualcosa si incrina, le contraddizioni finora sopite sotto l’onda dell’entusiasmo cominciano a svelarsi: le foto esposte mostrano gli scioperi dell’autunno caldo del ’69, le prime contestazioni degli studenti e la prima vittima degli anni di piombo, anche questo un primato milanese, con la morte dell’agente Antonio Annarumma.
Ma soprattutto la bomba di Piazza Fontana, il 12 dicembre 1969, segna la fine di un decennio memorabile e l’inizio della strategia della tensione. Dopo questa data niente sarà più come prima. Si tratta di una vera e propria cesura nella storia di Milano e della nazione intera. Una data, di cui proprio quest’anno ricorre il cinquantenario, che sarà definita come quella della perdita dell’innocenza. Milano cambia pelle. L’insicurezza è una sensazione palpabile. Chi ha vissuto in quei tempi non può scordarlo. I luoghi che fino a poco tempo prima erano pieni di fermento e vivacità cominciano ad esserlo un po’ di meno. Le foto dei funerali delle 17 vittime mostrano una piazza del Duomo gremitissima, in un giorno di dicembre freddissimo, grigio e nebbioso, l’atmosfera è tetra e fosca, è il segno della fine di un’era.
Sembra che tutto si fermi. Ed in effetti Milano, dopo questa data, rallenta.
Non a caso a Milano per diversi non si costruirà più un grattacielo. Lo skyline rimarrà sempre lo stesso per decenni.
Fino ai giorni nostri.
Ora lo skyline è cambiato e cambia quasi di giorno in giorno. Milano è diventata di nuovo il motore che traina l’intero paese.
Un nuovo decennio irripetibile?


MILANO ANNI ‘60
Dal 6 novembre 2019 al 9 febbraio 2010

Palazzo Morando
via S. Andrea, 6
Milano

Orari
martedì – domenica
10:00 – 20:00
(la biglietteria chiude un’ora prima)
Giovedì: 10:00 – 22:30
(la biglietteria chiude un’ora prima)

Informazione:
tel. +393278953761

Catalogo:
edizioni MilanoinMostra

A cura di Stefano Galli


Nome francese animo romano

Alla Galleria Borghese si è aperta una fastosa mostra sull’opera del grande argentiere ed orafo della seconda metà del XVIII secolo Luigi Valadier. L’artista nacque a Roma nel 1726, figlio di Andrea abile artigiano francese, che si trasferì in città nei primi decenni del ‘700 e vi aprì una bottega affermata in cui lavorò anche il figlio che lo sostituì nel 1759. Luigi raggiunse ben presto grande fama ricevendo prestigiose commissioni dal Papa e da sovrani, da principi e cardinali, da chiese e conventi. Particolarmente intenso fu il rapporto con la famiglia Borghese per la quale operò nella cappella di famiglia in Santa Maria Maggiore e in quella del SS.Sacramento in San Giovanni in Laterano; lavorò anche nel Palazzo di città e soprattutto nella Villa Pinciana dove collaborò alla  decorazione dell’interno secondo il nuovo stile neoclassico che si stava affermando in sostituzione del tardo barocco.

Di questo stile il Valadier fu un deciso interprete rivisitando con talento personale il mondo classico imitando sculture greco-romane od integrandole. Presso la sua bottega si formò il figlio Giuseppe che fu un famoso architetto tra gli ultimi decenni del ‘700 e i primi dell’800 e di cui opera somma resta Piazza del Popolo. Ignote sono le ragioni, forse economiche,  che spinsero l’artista a morire suicida nel Tevere nel 1785.

La mostra espone una novantina di opere di vario tipo provenienti da collezioni pubbliche e private, italiane ed estere. Si apre con due grandiose lampade in argento, in parte dorato, prodotte nel 1764 ed inviate al Santuario di Santiago de Compostela; per la prima volta sono stare rimosse, restaurate ed inviate alla mostra. Nel grande salone d’ingresso fanno bella mostra opere di una certa dimensione: sei statue di santi, in argento e metallo dorato, provenienti dalla Cattedrale di Monreale, una statua in bronzo di Antinoo, ora al Louvre, parecchi grandi candelabri della Chiesa di Sant’Apollinare, ed un’erma di Bacco in marmi colorati facente parte dell’arredamento della Villa unitamente a tavolini anch’essi composti di marmi intarsiati.

Il piano terra ed il primo piano ospitano una serie di opere che spingono il visitatore in una intrigante caccia al tesoro per identificare quanto è di mano del Valadier disseminato tra i tanti capolavori ospitati nella Galleria. Si scopre il servizio da messa del Cardinale Orsini, proveniente dalla Cattedrale di Muro Lucano, elementi in argento, con stemma Chigi, di un servizio da tavola, la ricca composizione con al centro un cammeo di Augusto di epoca romana, uno splendido “deser”, centrotavola in metallo e marmi di vari tipi con numerosi elementi riproducenti statue e monumenti classici. Quello esposto fu di proprietà dell’imperatrice russa Caterina II ora a San Pietroburgo. Si susseguono bronzetti, candelabri in marmo e bronzo dorato, splendidi vasi in porfido e metalli ed una ricostruzione in marmi colorati del Tempio di Iside a Pompei commissionato da Maria Carolina d ‘Austria.

Nel piano sotterraneo sono esposti numerosi disegni del Valadier tra cui spiccano quelli tratti da un album conservato nella Pinacoteca Comunale di Faenza e rappresentanti elementi di un capolavoro che purtroppo non esiste più; il magnifico servizio da tavola in argento predisposto dall’artista per i Borghese e purtroppo fuso, a fine ‘700, per pagare il tributo di guerra imposto da Napoleone a Papa Pio VI.

L’esposizione è una interessante cavalcata nel mondo del tardo XVIII secolo e nella vita delle classi agiate.

E’ stata sponsorizzata da Fondazione Fendi, Banca Intesa San Paolo, e Fondazione Sacchetti. In precedenza, nel 1997, fu organizzata, a cura di Alvar Gonzalez-Palacios, una grande e ricca mostra dal titolo “Ori di Valadier” presso l’Accademia di Francia a Villa Medici.


Valadier
Splendore nella Roma del Settecento

Dal 10 ottobre 2019 al 2 febbraio 2020

Galleria Borghese
piazzale Scipione Borghese 5
Roma

Orario:
da martedì a domenica
dalle 9,00 alle 19,00

Prenotazione obbligatoria:
06/32810

Catalogo edito da Officina Libraria


Michelangelo e i suoi seguaci

Michelangelo si considerava in primo luogo architetto e scultore e solo secondariamente pittore e spesso si divertiva a prodursi in piccoli disegni, per lo più di soggetto sacro, che non erano bozzetti per dipinti in scala più grande ma omaggi per i suoi amici ed estimatori. Questi disegni, definiti dagli storici dell’arte “cartonetti”, incontrarono fama e successo e spesso vi furono committenti che richiesero a pittori della metà del ‘500 di trasformare i disegni in quadri di maggiori dimensioni.

Presso la Galleria Nazionale di Arte Antica i curatori Francesca Parrilla e Massimo Pirondini hanno presentato una mostra, frutto dei loro studi e ricerche, dal titolo “ Michelangelo a colori. Marcello Venusti, Lelio Orsi, Marco Pino, Jacopino del Conte”, tutti artisti di buona fama appartenenti alla corrente nota come “ manierista”.

I curatori espongono le copie di cinque cartonetti, gli originali sono molto usurati e non è opportuno spostarli, e nove dipinti che si ispirano ai disegni michelangioleschi. Due piccoli quadri fiancheggiano un disegno con “L’Annunciazione”, uno è opera di Marcello Venusti ed è una copia in formato ridotto di analoga pala d’altare della Chiesa di Santa Maria della Pace, ora perduta, l’altro di Lelio Orsi, leggermente variato rispetto al disegno, ha avuto una storia interessantissima. Dipinto per un nobile di Novellara è stato a Roma, in Inghilterra, in Argentina per tornare finalmente in Italia attribuito prima al Correggio come risulta da una perizia firmata, nella seconda metà del ‘600, da molti pittori presenti all’epoca a Roma quali Ferri, Ghezzi, Maratti e poi al Venusti.

Solo nel 1950 Federico Zeri lo riconobbe come opera di Orsi; attualmente si trova nel Museo Gonzaga di Novellara. Anche il disegno rappresentante “L’Orazione nell’Orto” è affiancato da due quadri, di misura leggermente superiore, ambedue opera del Venusti, dipinti in epoca diversa e con differente uso del colore. La “Deposizione dalla Croce”, ispirata alle varie omonime opere di Michelangelo, si presenta con un quadro di Jacopino del Conte e con un altro del Venusti ritrovato nei depositi dell’Accademia di San Luca e restaurato per l’occasione. Il “Cristo Vivo sulla Croce”, che si rifà al Cristo Triunphans medioevale, è interpretato in maniera differente dal Venusti che popolò il dipinto con altre figure e da Marco Pino che lasciò l’immagine di Cristo isolata su uno sfondo molto scuro. Il disegno noto come “Madonna del Silenzio”, conservato in una collezione privata inglese, ha ispirato un piccolo quadro, attribuito dubitativamente al Venusti, divenuto una sorta di icona della Sacra Famiglia.

La mostra è di modeste dimensioni ma interessante per la qualità dei dipinti esposti e per le vicende storiche ad essi collegate ben chiarite nel catalogo.


Michelangelo a colori
Marcello Venusti, Lelio Orsi, Marco Pino, Jacopino dal Conte

Dal 10 ottobre al 6 gennaio 2020

Palazzo Barberini
via Quattro Fontane 13
Roma

Orario:
mertedì/domenica
8,30- 19,00


L’enigma del reale

Un titolo “enigmatico” per una mostra che si tiene a Palazzo Corsini ma che si svela subito leggendo il sottotitolo “Ritratti e nature morte dalla Collezione Poletti e dalle Gallerie Nazionali Barberini e Corsini”. Si tratta dell’esposizione di alcuni dipinti della collezione di Geo Paoletti messi a confronto con qualche quadro delle Gallerie. Ruggero Poletti, detto Geo, nato nel 1926 è stato pittore di un qualche spessore ma soprattutto un grande collezionista volto per lo più verso alcuni esempi di pittura barocca in particolare caravaggesca, italiana e spagnola. Collabora con Longhi, Testori, Zeri e Mina Gregori che lo consigliano negli acquisti e contribuiscono ad affinarne la sensibilità artistica. Acquista, studia, dona alcuni capolavori come la “Carità romana” di Bartolomeo Manfredi regalato alla Galleria degli Uffizi dopo gli attentati del 1993 ed altre opere al Museo di Breda e a quello del Castello Sforzesco. È morto nel 2012.

La mostra costituita da 28 dipinti espone all’inizio un confronto tra due quadri, attribuiti alla bottega di Bartolomeo Manfredi e rappresentanti dei Fauni, uno della collezione Poletti e l’altro delle Gallerie Nazionali. A fianco una “Maddalena penitente” di anonimo rappresentante una singolare Maddalena, gli elementi ci sono: Crocefisso, teschio, libro per le meditazioni. Ma la penitente, abbondantemente svestita, non sembra meditare, ha la guancia destra pesantemente appoggiata al pugno chiuso del braccio destro, l’impressione è che sonnecchi e il libro non è tenuto saldamente ma scivolato verso il basso.

Una sala ospita una ventina di nature morte tutte, tranne una, della collezione Poletti; sono opere gradevolissime, alcune di anonimi altre attribuite a Bernardo Strozzi, Giacomo Ceruti, Evaristo Baschenis. I quadri sono senza cornice secondo l’opinione del Poletti il quale riteneva che cornici dorate e lussuose distraessero dalla visione del dipinto. In fondo alla galleria del Cardinale campeggia un grande quadro, il “Democrito” di Ribera con forti chiaroscuri e grande naturalismo, è datato a metà del primo decennio del ‘600 durante un soggiorno romano dell’artista. In una saletta sono esposte tre versioni, di tre diverse mani, dello stesso soggetto “Pescivendolo che sventra una rana pescatrice” appartenenti rispettivamente alle Gallerie, alla Collezione Poletti e al Museo nazionale di Varsavia.

Il dipinto delle Gallerie, a detta degli esperti, sarebbe il prototipo e nel tempo è stato attribuito a Guido Cagnacci o a Orazio Fidani mentre ora si tende ad assegnarlo ad un anonimo pittore napoletano di metà ‘600.

È previsto un ciclo di visite per bambini il primo e il terzo sabato del mese alle 15,00; per gli adulti visite guidate ogni giovedì alle 16,00.


L’enigma del reale
Ritratti e nature morte dalla Collezione Poletti e dalle Gallerie Nzionali Barberini e Corsini

Dal 24 ottobre 2019 al 2 febbraio 2020

Galleria Corsini
via della Lungara 10
Roma

Orario:
mercoledì/lunedì
8,30/19,00