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La memoria divisa

Nuovo documento 08-12-2020 07.20.24

E’ recente la notizia del rifiuto della sindaca Virginia Raggi di autorizzare un romano Museo del Fascismo, iniziativa partita proprio da alcuni consiglieri del Movimento 5 Stelle ma subito bloccata dall’ANPI, la ben radicata associazione dei partigiani: Roma è una città antifascista, medaglia d’oro della Resistenza e l’unico museo possibile può essere quello dei crimini nazifascisti. Cioè un museo partigiano. Solidale la sindaca: “Roma è una città antifascista, nessun fraintendimento in merito”. Nelle pie intenzioni dei promotori (Maria Gemma Guerrini, Massimo Simonelli e Andrea Coia, mozione 264/2020) si parla di “un grande museo” da realizzarsi in un sito di archeologia industriale che “funga da polo attrattore per scolaresche, curiosi, appassionati ma anche turisti da tutto il mondo”, prendendo a modello “operazioni culturali di analisi critica del periodo del nazismo” (quali? Ndr.). Finalità culturale del museo sarebbe “la necessità di contrastare il negazionismo e l’ignoranza”. Il testo della mozione citerebbe inoltre i rigurgiti neofascisti che “anche recentemente hanno offeso Roma e i suoi cittadini”. Peccato che nella mozione non ci fosse alcuna condanna dei crimini perpetrati dal regime, né si prendeva in considerazione il rischio che l’iniziativa potesse finire per glorificare il regime anziché condannarne la politica. Come evitare che diventasse un pellegrinaggio di nostalgici? Cassandolo. E qui riemerge ancora una volta una questione aperta: l’Italia non ha mai fatto realmente i conti col suo passato e la storia moderna, oltre che non essere insegnata a scuola per la discutibile rigidità dei programmi, è in Italia ancora motivo di divisione.

Avendo lavorato per anni in un museo, mi permetto alcune osservazioni. Intanto Roma è piena di musei (sia pubblici che privati) bellissimi ma sconosciuti perché poco pubblicizzati, poco finanziati e poco valorizzati. In questo la dott.ssa Alberta Campitelli, già funzionaria della Sovraintendenza capitolina e ora referente italiana dell’ICOM (l’organizzazione internazionale dei musei) è stata chiara: prima di aprire altri musei valorizziamo quelli esistenti dando loro risorse adeguate. E aggiungo: concentriamone alcuni, soprattutto quando trattano argomenti simili. Non abbiamo un Museo centrale delle forze armate perché ogni arma e ogni reggimento vuole il suo, senza naturalmente trovar mai le risorse adeguate per gestirlo e tenerlo aperto in modo razionale. In questo senso l’iniziativa abortita conferma l’abitudine italiana di ragionare per categorie sindacali e minoranze organizzate: partigiani, ebrei, pensionati, istriani, gay, alpini, parà, rom, insegnanti precari. Ognuna di queste identità sociali alla fine vuole il suo giorno della memoria, il suo museo e i suoi contributi statali. Quanto a Roma, una soluzione non la propongo io ma rinfresco piuttosto la memoria ai miei distratti concittadini: del Fascismo storico si può parlare benissimo all’interno del Museo di Roma che, a suo tempo progettato e presentato ufficialmente sulla carta, è poi finito nel Nulla senza che nessuno ci abbia scritto un rigo o versato una lacrima. Allocato nell’ex Pantanella (poi Palazzo dei musei di Roma) a via dei Cerchi, dopo averne espulso gli uffici amministrativi presenti al suo interno (si è visto!), doveva essere strutturato in tre enormi piani: la Roma antica (recuperando quanto è conservato nel Museo della Civiltà Romana all’EUR), la Roma del Rinascimento e del Barocco, la Roma moderna. Progetto razionale, perché saldava la zona archeologica del Grande Campidoglio al Circo Massimo e poteva costituire un polo di attrazione culturale e turistico di eccellenza. Il progetto era curato dall’assessore Claudio Minelli e dal sovraintendente Eugenio La Rocca nel 2005-06, e fu ripreso in seguito dal suo successore Umberto Broccoli, nominato dalla giunta Alemanno. Cito la rassegna stampa dell’epoca:

https://abitarearoma.it/il-palazzo-di-via-dei-cerchi-trasformato-in-polo-museale/
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/02/10/via-dei-cerchi-impiegati-addio.html

A leggerla c’è da piangere: “Sono ventitremila metri quadri in totale di cui seimila disponibili in una prima fase. Rivoluzione non da poco ma non si tratta di chiacchiere né di «progetti di fantasia» bensì di lavori in corso: così, allineando tappe e date di un processo «in via di attuazione», il Campidoglio, nella persona dell’ assessore Claudio Minelli che si occupa del Patrimonio, replica all’ articolo a firma di Adriano La Regina apparso ieri su Repubblica: «Sono più di vent’ anni che se ne parla e non è mai stato fatto un solo passo avanti ma se così fosse sarebbe una bella notizia». Certo oggi non si può ancora pagare il biglietto ed entrare nel Museo di via dei Cerchi, ma domani è dietro l’ angolo” < … > «Sul tavolo ci sono ormai tutti i tasselli. I tempi saranno rapidi perché le difficoltà maggiori si incontrano proprio quando si tratta di liberare i locali, inoltre abbiamo anche fondi disponibili per la realizzazione del museo e ci stiamo occupando dell’ acquisizione dei materiali».

La documentazione completa è tuttora accessibile nel sito ufficiale di Roma Capitale:

http://www.sovraintendenzaroma.it/content/museo-della-città-1

Ma è verosimile che nessuno se la sia letta negli ultimi dieci anni, tantomeno gli incauti consiglieri che hanno proposto un nuovo museo. Ma è impressionante prendere atto che a Roma troppi progetti, trionfalmente presentati e anche validi, alla fine si confondono col Nulla.

Ingoiare rospi gialli e verdi

L’accordo governativo, nonostante i continui scricchiolii, regge solo per il fatto che i pupari hanno un pupo da manovrare come il portavoce di due caratteristi d’avanspettacolo per uno spettacolo di ventriloquio.

Il pupo cerca di far andare d’accordo il giallo con il verde che è diventato blu, verde padano indipendentista con il blu sovranista più che nazionalista, ma i punti di attrito spaziano dalla gestione migratoria alla privatizzazione/nazionalizzazione e ora anche sulla revoca dei fondi alle scuole paritarie.

Sembra una gara per chi riesce ad ingoiare il maggior numero di rospi nella compagine giallo/verde per poi rimanere sulle poltrone e dimostrare quale visione del paese è migliore.

C’è chi grida e chi annuisce, ma anche chi fa il mimo in attesa di una pausa per parlare nel bailamme mentale in cui tale accordo ha fatto piombare l’Italia.

L’inizio ha visto un pareggio con i pentastellati che accettano un’alleanza con i leghisti fiancheggiatori di Berlusconi, mentre i leghisti hanno preso le distanze da Forza Italia.

Poi sono venute le controversie sulla flat tax e il reddito di cittadinanza, tanto che il ministro dell’economia più di una volta si è trovato a fare dei distinguo e frenare sull’attuazione di entrambe le proposte finanziarie e soprattutto lasciando operante il reddito di inclusione, criticato dal M5S e fortemente voluto dai governi Renzi e Gentiloni.

Anche il taglio delle pensioni d’oro è causa di attriti tra conviventi di governo, con la Lega che vuole alzare la soglia e Di Maio non intende fare marcia indietro per sostenere l’occupazione giovanile.

Sulla situazione migratoria i leghisti si presentano monolitici sull’imporre un blocco dei porti alle navi con naufraghi. Un blocco che coinvolge anche navi dello Stato italiano, come insegna il caso del pattugliatore della Guardia costiera Diciotti, arrivando a tenere segregate 177 persone per cinque giorni. I leghisti sono intransigenti, mentre i pentastellati sono su posizioni dialoganti, nonostante le minacce del loro responsabile politico e vice primo ministro verso l’Unione europea.

I leghisti hanno uno strano concetto di sovranismo se impediscono l’attracco in un porto italiano ad una nave della marina militare italiana perché ha salvato delle persone in balia del Mediterraneo.

Leghisti e pentastellati sembrano avere come unico bersaglio l’Unione europea e non i paesi che si oppongono alla ridistribuzione dei migranti e al superamento del Trattato di Dublino.

Una comunanza nel trovare la Ue il nemico dell’Italia che per i pentastellati non significa allearsi con l’Ungheria di Orban.

Dopo il crollo del ponte Morandi, a Genova, si riaccende lo scontro tra la visione leghista e quella pentastellata sulle nazionalizzazioni e le privatizzazioni. È a tale proposito che il prof. Carlo Maria Bellei, delll’Università degli Studi di Urbino, si “permette di chiarire al v. premier Di Maio, vista la “perplessità” pentastellata nel riscontrare l’apertura leghiste alla Società Autostrade, l’incompiuta storia delle concessioni, con una lettera aperta, e con la scelta centrodestra, Lega compresa, di eliminare nel 2008 tutti i vincoli dalla concessione ad Autostrade posti dal secondo governo Prodi.

Non ultima è la scelta di rivedere il finanziamento delle scuole paritarie, nella volontà del ministro pentastellato della pubblica istruzione di garantire il rispetto della legge sulla parità scolastica, oltre all’altalenante posizione sui vaccini.

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La fluidità di un Movimento
gennaio 2017

Il Grillo visto da Greblo
dicembre 2014

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La fluidità di un Movimento

la-fluidita-di-un-movimento-politico-grillo-tra-i-personaggi-del-2017-politico-675Tra la fine di un anno e l’inizio del nuovo si perde il conteggio dei giornali e dei periodici che stilano graduatorie di personaggi che frequentano o operano in vari ambiti, ma tra i tanti elenchi spicca quello redatto da Politico.eu su chi potrebbe “rovinarci” il 2017.

Una sporca dozzina, come viene decantato nell’occhiello, dove non vengono inseriti personaggi come Putin o Erdogan, Trump o Marine Le Pen che continueranno a rendere il nostro futuro incerto, ma tra il governatore catalano Carles Puigdemont che sogna l’indipendenza per la sua regione da Madrid, e il nuovo segretario al commercio statunitense Wilbur Ross, favorevole a accordi con i singoli paesi piuttosto che con l’Unione europea, fa capolino Beppe Grillo con “le sue invettive alla Robespierre”.

Una dozzina accomunata se non da un euroscetticismo sicuramente dal nazionalismo e isolazionismo, per esaltare l’individualismo e ostilità ad ogni forma di cooperazione che non sia quella per destabilizzare le certezze come gli hacker russi, anche se tra i “demolitori” dell’Europa troviamo anche il capo gabinetto di Juncker, l’ex presidente francese Sarkozy e la commissaria danese alla Concorrenza Margrethe Vestager.

Il nome del fondatore del movimento 5 Stelle tra i “guastatori” dell’Europa, e non solo della politica italiana, viene visto dai pentastellati come un moto d’orgoglio, trasformando la stigmatizzazione negativa, nel blog di Grillo, in “uno dei 12 personaggi più influenti d’Europa nel 2017”.

L’autore dell’articolo Tunku Varadarajan, ricercatore alla Hoover Institution dell’università di Stanford, su Politico non utilizza il vocabolo “influente”, ma Beppe Grillo riesce a rivoltare la frittata.

Il Movimento di Grillo è fluido come la società teorizzata da Zygmunt Bauman che gli permette di presentare un concetto in modo completamente opposto a quanto si era fatto e detto in precedenza.

È l’assenza di qualunque riferimento “solido” per ogni individuo di oggi che permette la fluidità dei concetti e ancor prima delle regole.

Un Movimento fluido in una società di nonluoghi e non solo dei supermercati o degli aeroporti analizzati da Marc Augé, ma anche di quei non luoghi di confronto politico come il web, dove ormai si svolgono in gran parte le scelte politiche e gli avalli della Rete all’indirizzo impresso da Grillo.

Scelte che di volta in volta vanno a sollecitare la curiosità della destra o della sinistra, ma prese nel loro insieme sono per il superamento degli schieramenti in una visione qualunquista, scegliendo di combattere le caste e la corruzione, i politicanti e i lobbisti, nella solitudine di coniugare sia chi vuole il profugo accolto e chi lo vuole fuori dalle scatole, per chi propende per garantire i diritti a tutti e chi vuole i distinguo di rito per non irritare una parte della Curia romana.

Tra i nonluoghi anche il parlamento può diventare un luogo di transito, nella fluidità dei concetti per sottolineare, se mai ci fosse stata la necessità, l’effimero della vita e soprattutto non permettere la realizzazione di infrastrutture di potere a fini personali, quello che viene definita semplicemente concussione.

Forse Beppe Grillo è più un cane che abbaia all’Europa, come se fosse la luna, ma morde anche gli affaristi che siedono nel Parlamento italiano e magari anche in quello europeo, perché l’Unione riformata è una grande ricchezza, non solo per la Germania, e se ne renderà conto, se non l’ha già fatto, quando rifletterà come hanno fatto alcuni pentastellati.

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Qualcosa di più:

Democrazia e conflitto per una Sinistra da rifondare

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Salviamo il cittadino dalla Democrazia

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Un nuovo profeta

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