Gallerie

Di chi sono le vette?

Tra le polemiche estive dobbiamo registrare un inedito: la proposta nata all’interno del CAI – il glorioso Club Alpino Italiano – di eliminare le croci dalle vette alpine, o almeno di non piantarne altre. Tutto questo in nome di opinioni già sentite a proposito del crocifisso a scuola, con una variante: una sanatoria per le croci esistenti perché “rimuoverle sarebbe come cancellare una traccia del nostro cammino; un’impronta a cui guardare per abitare il presente con maggior consapevolezza”  mentre “è proprio il presente, un presente caratterizzato da un dialogo interculturale che va ampliandosi e da nuove esigenze paesaggistico-ambientali, a indurre il CAI a disapprovare la collocazione di nuove croci e simboli sulle nostre montagne. (1). Ora non voglio entrare nel merito, ma ritengo interessante ripercorrere la storia delle cime da un punto di vista culturale.

Quando Petrarca narra in una famosa epistola della sua ascensione nell’aprile del 1336 al monte Ventoso (o Ventoux, in Provenza vicino Avignone, alto mt.1912), la sua impresa è considerata eccezionale, anche se oggi sarebbe un’escursione. Lo accompagna il fratello Gherardo e forse una guida locale. Ascesa difficile: il percorso è infatti ripido, scosceso e pieno di sassi. Gherardo è giovane e si arrampica con facilità, mentre Francesco deve fermarsi spesso per la fatica. Gherardo si è fatto monaco giovanissimo, Francesco è troppo legato alle passioni e ai beni mondani. Alla fine egli riesce ad arrivare in cima, simbolo della meta verso Dio, e per ringraziarlo legge un passo delle Confessioni di sant’Agostino, una riflessione di alto e significativo valore simbolico: «e vanno gli uomini a contemplare le cime dei monti, i vasti flutti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso degli astri e trascurano sé stessi». In queste brevi righe c’è concentrata tutta l’ideologia alpina valida per i secoli a venire: la montagna avvicina a Dio e stimola pensieri morali. Sarà rilanciata dalla cultura elvetica protestante, sarà esaltata da Thomas Mann ne La montagna incantata (1924), ma il pioniere indiscusso resta Petrarca.

Alla fine del ‘700 e fino al 1870 avviene però un cambiamento culturale: nasce la frenetica competizione per la conquista delle cime, tutta figlia dell’Illuminismo e del Nazionalismo. Sarà una gara anche tragica per la conquista del Cervino, del monte Bianco, delle vette austriache e svizzere, dove cordate di alpinisti e guide locali faranno a gara per arrivare primi e piantare croci e bandiere. E sarà anche l’occasione per gli stati nazionali per fissare definitivamente i confini di Stato lungo le linee di cresta (facile per l’arco alpino) laddove per secoli bastava controllare un valico e lasciare il resto a bovari e contrabbandieri. Questa ossessione per le cime avrà nella prima Guerra Mondiale conseguenze tragiche: per noi italiani e per gli Austriaci quella guerra è stata anche una guerra di alpinisti. Guerra olimpica rispetto alla trincea sul Piave, ma pur sempre dura e sanguinosa.

E nelle altre parti del mondo? Nelle montagne dell’Asia nessuno pianta simboli sulla vetta, anche se fossero segni del legame fra l’uomo e Dio: la montagna è sacra e non va profanata. Come si vede, le differenze culturali si proiettano anche sulla cima delle montagne, e in questo momento il conflitto tra identità e inclusione da noi si è spostato oltre i 3000 metri.

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NOTE

  1. https://www.loscarpone.cai.it/dettaglio/croci-di-vetta-qual-%C3%A8-la-posizione-del-cai/

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L’antichità (ri)scoperta nei depositi

È una strana mostra quella allestita negli spazi del Palazzo delle Esposizioni in collaborazione con il Museo Nazionale Romano, dove non si limita a portare all’attenzione del visitatore le sculture relegate da anni nei depositi, ma propone anche dei spericolati connubi tra le forme dell’antica Roma e il burlesque degli interventi contemporanei di Francesco Vezzoli, il tutto in un’ambientazione hollywoodiana.

Nel dare il benvenuto al visitatore sono state collocate, nella rotonda, sei grandi sagole luminose, dal corpo di antiche divinità e dalle effigi di dive contemporanee,  a mostrare lo spirito della mostra con il suo essere loro stesse dei recuperi dell’iniziativa parigina “24hours Museum”, del 2012.

Schermi con scene di film di argomento “storico”, come Cabiria o Satyricon, Alberto Sordi in Mio figlio Nerone o Il gladiatore e altri ancora, fanno da fondale alle sculture che riemergono dall’oblio, magari non tutte, nelle quali poter incontrare i ritratti di imperatori, veneri e condottieri, in una mescolanza tra cultura classica (solenne, eterna) e cultura pop che potrebbe creare un po’ di confusione nel visitatore.

Un’esposizione che vaga tra l’archeologico con la testa di Medusa, di Alessandro Magno, del dio Marte ed il busto di Antinoo, o d’arte contemporanea, non solo per i 75 ex voto a forma di utero proposti come installazione, ma per le copie di busti con interventi pittorici pronti per una festa e le libere “ricostruzioni” di teste e sculture.

Un percorso espositivo tra arte contemporanea, archeologia e cinema differente dalla “semplice” proposta dei Depositi in mostra al Parco archeologico del Colosseo, che pone la domanda: quanto questa mostra ha l’impronta pop di Francesco Vezzoli o scientifica di Stéphane Verger (Direttore del Museo Nazionale Romano)?

Una mostra che potrebbe avere come sottotitolo  le ultime righe della nuova canzone di Blanco e Mina, Un briciolo di allegria, Se non mi domando / Chi eravamo / Io non mi ricordo / Chi siamo.


Vita Dulcis
Paura e desiderio nell’impero romano

Dal 22 aprile al 27 agosto 2023

Palazzo delle Esposizioni
Roma

A cura di Francesco Vezzoli e Stéphane Verger


Berkeley e Cancel Culture

La notizia della “damnatio memoriae” del filosofo George Berkeley (1685-1753), al quale era dal 1967 intitolata una prestigiosa biblioteca universitaria del Trinity College di Dublino, ha colto di sorpresa la stampa italiana. Il filosofo nato in Irlanda di quella istituzione era stato anche un bibliotecario, quindi perché cancellarlo? Per noi italiani diplomati di liceo, Berkeley è noto insieme a Hume per essere stato un esponente della filosofia dell’empirismo inglese, ma non andiamo oltre. A questo punto consultiamo una fonte affidabile: The Irish Times. Scopriamo così che il nostro filosofo era anche un teologo e vescovo anglicano (sui manuali scolastici non ricordo di averlo mai letto) e che nel 1729 comprò una tenuta agricola nel Rode Island, oggi uno degli Stati Uniti ma all’epoca colonia britannica, facendo uso di schiavi e anche giustificandone in alcuni dei suoi scritti l’utilità e la fondatezza ideologica. Quindi un razzista schiavista. All’inizio si è mossa la Trinity’s Students’ Union per sottoporre l’iniziativa al Trinity Legacies Review Working Group e la relazione ufficiale è reperibile in rete (1). In base a questa il gruppo di lavoro (93 fra prof, studenti ed esperti) ha cassato il nome del filosofo. Più precisamente: 16 a favore del nome, 23 per un nuovo nome, 47 per la cancellazione della memoria del filosofo schiavista.

E negli Stati Uniti, patria della Cancel Culture, come l’hanno presa? L’Università di Berkeley è dal 1868 la più importante della California e prende il nome dal vicino abitato di Berkeley oltre che dal filosofo. Ebbene, il New York Times ci rassicura: la prestigiosa università americana non cambierà nome. Questo in sintesi il comunicato ufficiale: sappiamo che i fondatori di questa università hanno chiamato il centro abitato e il campus col nome di un individuo discutibile, tuttavia oggi Berkeley incarna e rappresenta prospettive e valori molto diversi (“Berkeley’ has come to embody and represent very different values and perspectives.”).

Ma il paradosso è che entrambe le idee sono coerenti proprio con la filosofia di George Berkeley: era il teorico dell’esse est percipi. L’essere significa essere percepito, le idee non esistono se non vengono percepite e la realtà esiste solo per il concetto che ce ne facciamo. Negando il nome di Berkeley, il filosofo non esiste più.

NOTE

  1. Working Paper on Berkeley’s Legacies at Trinity. Dr Mobeen Hussain, Dr Ciaran O’Neill and Dr Patrick Walsh | March 2023. In formato PDF.
https://www.tcd.ie/seniordean/legacies/berkeleyTLRWGworkingpaper.pdf

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In un’ex fabbrica per evitare un futuro distopico

Una cinquantina di artisti impegnati non solo nella pittura e nella scultura, ma anche in installazioni, in video e in diverse sfaccettature della comunicazione mediatica,  avevano bisogno di un ampio luogo come quello l’ex fabbrica di porcellane Maison Demeuldre, con i suoi 3500 mq, per contenere i vari punti di vista su un tema così impegnativo capace di coinvolgere non solo i due terzi del globo terracqueo, ma anche la vita fuori dai mari e dagli oceani.

Un’iniziativa espositiva che è anche un laboratorio di idee, dove artisti e scienziati, come Noel Baker e Ermioni Dimitropoulou, provenienti da tutto il mondo hanno unito le forze per dare voce all’ambiente ed ai cambiamento climatici, contribuendo ad immaginare, con affreschi murali, esperienze visive e sonore, installazioni, eventi scenografici e conferenze, il futuro delle profondità marine.

Noel Baker, come scienziato e artista, ha contribuito con diversi dipinti, ispirati dalle conoscenze acquisite attraverso la sua ricerca, che la confronta quotidianamente con i fatti duri che tutti, in qualche modo, dobbiamo affrontare, mentre Ermioni Dimitropoulou ha collaborato con Rub.qbe (Gabriele Rossi) per proporre una riflessione sugli effetti nocivi delle navi da crociera con le loro emissioni di particelle fini ed altri composti organici volatili nell’ambiente.

L’arte urbana e da interni, per una mostra “immersiva”, capace di sensibilizzare il visitatore sulle questioni ecologiche e sui cambiamenti climatici, accolta in un incubatore culturale.

Dagli idilliaci volteggi delle meduse nel profondo blu al loro ingabbiamento, dalle serene realizzazioni pittoriche alle inquietanti decomposizioni, dove visioni fiabesche e distopiche si susseguono nei vari spazi di questo edificio di altri tempi.

Il video “Narcose – Narcosi” di Raphaël Bluzet invita a lasciasi trasportare da una meditazione guidata della durata di circa 12 minuti. Lo spettatore, sdraiato, è guidato dalle animazioni ipnotiche dell’oceano proiettate sul soffitto della stanza, offrendo un’esperienza meditativa con gli oceani e con le loro specie per sensibilizzare sulla fragilità di questo ecosistema. L’artista ha dipinto digitalmente la sua opera utilizzando tecniche di animazione immagine per immagine.

Olivier Coisne, con le sue meduse sospese (Jellyfish Sculpture), propone The Cube, un’opera realizzata con l’obiettivo di coinvolgere il pubblico sul consumo di massa e portare avanti una valutazione sulla coscienza ecologica, al fine di preservare i nostri ecosistemi. Minacciosi in apparenza questi animali mistici, con movimenti aggraziati, sono una fonte di ispirazione per Olivier Coisne.

Camilla Ancilotto permette al visitatore di comporre e decomporre le sue opere pittoriche, su tre facce rotanti, che partono da raffigurazioni mitologiche o contemporanee per dare vita a delle visioni di altre realtà. Opere modulari policrome ispirate al Tangram, l’antico rompicapo cinese, per dar modo al visitatore di sperimentare le mutazioni.

Un vero e proprio viaggio, scandito dalla creatività mainstream e dalla scienza, di come i mutamenti climatici influenzeranno il globo terrestre e quanto ne subirà l’idrosfera.

Una mostra, quella di Bruxelles, con lo sguardo rivolto ai problemi ambientali, che contraddice Dieter Roelstraete, curatore della mostra “Everybody Talks About the Weather” alla Fondazione Prada di Venezia, l’affermazione avvenuta durante la trasmissione di Rai Radio 3 – A3 il formato dell’arte del 20 maggio, con la quale l’arte contemporanea, la cosiddetta mainstream, non si interessi ai cambiamenti climatici, confutandogli l’esclusiva alla mostra veneziana.

Anche Roma offre, negli spazi dell’Ex Cartiera Latina, un’occasione di riflessione sul Climate Change e sul rapporto che lega il Sapiens e l’ambiente naturale, esprimendo tutta la cecità ancora presente nell’uomo nei confronti dell’attuale situazione, con la mostra “Anthropos e Kainos”, promossa da Maria Rita Bassano Ferretti e Carlo Marchetti, coinvolgendo oltre cento artisti stranieri e italiani dell’interessante panorama romana.

È impossibile avere il monopolio sulle riflessioni dei cambiamenti climatici, tematiche che coinvolgono il futuro di tutti.


Mers & Océans
Seas & Oceans
Dal 20 aprile al 25 giugno 2023

Talk C.E.C
Community
Cultural hub, Artist Residency, Art Gallery

143 chaussée de Wavre
Bruxelles (Belgio)


Leandro Erlich, chi era/chi è costui?

Al Palazzo Reale di Milano è in corso la mostra di un artista poco noto in Italia e nel resto d’Europa, sebbene presente diversi anni fa alla Biennale di Venezia, ma assai famoso in tutta l’America – da Sud a Nord – e famosissimo in Giappone, dove le sue mostre registrano presenze record di visitatori. Stiamo parlando di Leandro Erlich, un artista argentino di Buenos Aires, le cui opere giungono finalmente anche in Europa, con una mostra antologica realizzata con la collaborazione diretta dell’autore. Si tratta infatti della prima grande mostra di Erlich non solo in Italia, ma anche in Europa, e della più completa al mondo.
Progettata prima della pandemia, ma a causa di questa rimandata, è finalmente arrivata alla sua realizzazione.

L’arte di Erlich è un misto di arte concettuale, di realismo, di surrealismo. Le sue opere sono sorprendenti, spiazzanti e divertenti. Ma necessitano, a detta dello stesso artista, di un elemento fondamentale: il pubblico. Lo spettatore infatti è chiamato a partecipare attivamente alla costruzione dell’opera, le sue reazioni sono parte integrante di questa, o addirittura l’elemento che ne consente l’effettiva attivazione.

Così ci si trova spiazzati quando uno specchio non riflette la propria immagine (Changing rooms, 2008), o quando imbocchiamo una scala che non sale e che non scende (Infinite staircase, 2005), come se fossimo per un incantesimo catapultati in un’incisione di Escher, o quando crediamo di affacciarci su un porticciolo in una notte tranquilla rapiti dal dondolio delle barche sul mare e dai riflessi sulle onde (Port of Reflections, 2014), ma restiamo poi disorientati perché non c’è nessun mare davanti a noi: tutto è illusione.

Come è illusione ritrovarsi nella vecchia aula di scuola (Classroom, 2017), ma una illusione che dura poco, perché nella aula ormai cadente c’è solo il nostro evanescente  fantasma.

La visita ci evoca talvolta la sensazione di viaggiare nei mondi impossibili di Escher, o altrimenti  di attraversare le atmosfere surreali di Magritte, ma con una sorta di ludica leggerezza.

La dimensione giocosa della mostra si stempera però in una analisi più attenta sulla percezione: ciò che io percepisco come viene percepito da un altro? Cosa è reale e cosa è illusione? La meravigliosa nuvola sospesa prigioniera in una teca di vetro (The cloud, 2021), è una vera piccola nuvola o un astuto inganno? E se gli specchi riflettono immagini diverse dalla mia immagine, quante prospettive presenta la realtà?

Nulla è ciò che sembra.

Erlich inoltre evidenzia come le sue opere abbiano assunto connotazioni diverse nel corso nel tempo, e in particolar modo come siano cambiate le interpretazioni e le reazioni di fronte ad esse in seguito alla pandemia. Perché le opere, sostiene l’artista, hanno una vita propria e una evoluzione nel tempo.

La mostra, che comprende video, sculture e installazioni, ha comportato una seria sfida per Palazzo Reale, a causa delle grandi difficoltà tecniche riguardanti le monumentalità di alcune installazioni e la realizzazione delle illusioni ottiche.

Ѐ una mostra che potrà sicuramente divertire e al tempo stesso far  riflettere, sia sulle molteplici facce dell’arte, sia sulle molteplici  facce della realtà.


Leandro Erlich
OLTRE LA SOGLIA

Dal 22 aprile al 4 ottobre 2023

Palazzo Reale
Milano

A cura di curatela di Francesco Stocchi

Dal martedì alla domenica
ore 10:00 -19:30
Giovedì ore 10:00 – 22:30
Lunedì chiuso

Catalogo edito da Toluca Éditions
€ 65,00