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Africa: il futuro delle donne

Prosegue la Campagna Stand up for African mothers promossa da AMREF iniziata con i racconti di Concita De Gregorio, Claudia de Lillo (alias Elasti), Clara Sereni , Paola Soriga e Chiara Valerio, per essere letti nel corso dello speciale La nostra Africa su RAI Radio3 dal 24 al 28 dicembre 2012, con Io ti racconto… l’Africa attraverso gli occhi maschili di Paolo Nori, Giobbe Covatta e Claudio Rossi Marcelli.

I racconti dedicati all’Africa del 2012 erano incentrati sulla tragicità del quotidiano vissuto dalle donne nelle comunità del Kenya, Tanzania, Uganda ed Etiopia e descritti dalle stesse donne. Quelli proposti nel dicembre del 2013 sono narrati con sarcasmo da uomini che affrontano le condizioni di vita in luoghi come il Senegal, Mozambico e Kenya che accomunano donne e uomini, bambini e anziani quarantenni.

Si ritorna in Kenya, il paese più grande e moderno dell’Africa Orientale, negli slum dell’emarginazione e nello scintillio dei quartieri più eleganti.

Racconti nati per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla Campagna per la salute di madri e bambini in Africa promossa da AMREF per formare 15.000 ostetriche entro il 2015 che salveranno la vita delle madri e dei figli al momento della nascita.

Nonostante i continui progressi, a livello globale, verso l’obiettivo di ridurre la mortalità materna del 75% entro il 2015, in Africa sub-sahariana ancora 162.000 mamme muoiono ogni anno per mancanza di cure adeguate durante la gravidanza e il parto, una cifra che rappresenta il 56% del totale globale. In altre parole, in Africa 5 madri su 1000 continuano a perdere la vita nel dare la vita, mentre altre 150 sviluppano seri problemi di salute. Più dell’80% dei decessi è dovuto a complicazioni che potrebbero essere facilmente prevenute o curate in centri sanitari dotati di servizi ostetrici di emergenza.

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Da quell’esperienza sono nati i 5 racconti letti su Radio 3 da Paola Cortellesi, Sonia Bergamasco, Sandra Ceccarelli, Fiorella Mannoia e Serena Dandini.

Le 5 puntate sono scaricabili qui:

Il racconto di Claudia de Lillo letto da Paola Cortellesi

Il racconto di Paola Soriga letto da Sonia Bergamasco

Il racconto di Clara Sereni letto da Sandra Ceccarelli

Il racconto di Concita De Gregorio letto da Fiorella Mannoia

Il racconto di Chiara Valerio letto da Serena Dandini

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L’utilità dell’arte

L’artista afgano Massoud Hassani ha da oltre un anno realizzato una “sfera” ecosostenibile che, oltre ad essere stata riconosciuta come un’opera artisticamente interessante, si può impiegare nel disinnesco delle mine anti-uomo disseminate in Afghanistan come in altri luoghi del Pianeta che hanno sofferto e subito ogni genere di conflitto e dove vigliaccamente l’ingegno umano ha dato la possibilità di seminare un numero sconsiderato di mine mimetizzate nel terreno.

Una sfera realizzata in bambù e plastica biodegradabile alimentata a vento e con all’interno un chip GPS per registrare i suoi spostamenti che, nonostante il riconoscimenti del MOMA di New York, è alla ricerca di partner e donazioni per produrre la sua “opera”.

L’opera di Massoud Hassani nasce dalla sua esperienza di un’infanzia trascorsa in una Kabul in guerra e nel pericolo continuo di mettere un piede, lui e i coetanei, sullemine ogni volta che giocavano nei campi nella periferia della città.

La palla, per la sua concezione, sfrutta l’azione del vento per il suo rotolare è far esplodere una delle 30 milioni di mine ancora sepolte, cioè più di una mina per abitante, che incontra sul suo cammino.

Ogni palla costa meno di 100$ e ogni volta che riesce a far brillare una bomba perde solo una “gamba”, facilmente sostituibile con una nuova del valore di pochi dollari. Un bel risparmio confrontato al costo di bonifica di un campo minato utilizzando metodi classici che si aggira intorno ai 1200$ a bomba!

Per sostenere il progetto e scoprire di più sul Mine Kafon si può a visitare il sito ufficiale e il video del pallone anti bombe in azione.

Ogni mina distrutta, equivale ad una vita salvata!

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Profughi: scenari da gossip

Nel periodo natalizio tutti dovrebbero essere più buoni e non cinici come chi ha ideato il reality The Mission da mandare in onda il 4 e l’11 dicembre 2013 su Rai Uno.

Un reality con personaggi dello spettacolo, e non, che vagano nei campi rifugiati in Sud Sudan, nella Repubblica Democratica del Congo e in Mali, mentre i profughi fanno da comparse.

Gli ideatori dello spettacolo, in collaborazione con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) e l’organizzazione non governativa italiana Intersos, affermano di voler trattare la tematica che coinvolge un’umanità in fuga da guerre e carestie con serietà e sobrietà.

Forse non è opportuno usare come scenario per una serata televisiva d’evasione le tragedie di milioni di persone stipate in tende con servizi sanitari insufficienti e nella precarietà igenica.

Un dubbio che è certezza per Andrea Casale che ha promosso una raccolta firme su Change.org e ha trovato nelle parole di Christopher Hein, direttore del Cir (Consiglio italiano per i rifugiati), e in quelle di Guido Barbera, presidente del Cipsi (coordinamento che unisce oltre 40 associazioni di solidarietà internazionale) un sicuro consenso.

A difesa di tale scelta si evidenzia l’opportunità di utilizzare un programma di prima serata per ampliare la schiera di telespettatori sensibilizzati a questo perenne dramma umanitario, rendendo proficuo il periodo della raccolta fondi delle organizzazioni umanitarie.

Una scelta che potrebbe però anche avere un effetto dannoso alle donazioni con uno spettacolo umiliante e con personaggi che avrebbero delle difficoltà a rinunciare all’aria condizionata e a bevande dissetanti in un habitat e con un clima ostile.

È forse a seguito delle numerose critiche che la Vigilanza Rai ha posto, chiedendo la visione preventiva, una sorta di censura sul reality.

I campi profughi scelti come set televisivo non sono certo tra i più tranquilli, ma non sono neanche quelli coinvolti nel progetto dell’IKEA Foundation per Refugee Shelter. L’Ikea ha realizzato delle unità alloggiative temporanee in sostituzione delle tende per i campi in Etiopia, Libano ed Iraq.

La componibilità dei Refugee Housing Unit permette la sostituzione dei pannelli danneggiati, offrendo una maggior durata del manufatto, contrariamente a quanto accade con una tenda danneggiata che deve essere interamente sostituita.

Ben differenti i riflettori che i media hanno puntato sull’esperienza del sudafricano Julian Hewitt e della sua famiglia nell’aver trascorso il mese di agosto nella baraccopoli di Pretoria. Un esperimento “sociale” che ha portato i coniugi Hewitt e le due loro figlie a vivere un mese nello slum dove ha la residenza la loro domestica africana.

Una famiglia che ha scelto, a differenza delle migliaia di persone che non hanno potuto decidere, di vivere in un’unica stanza e dividere la latrina con altre famiglie.

I Hewitt hanno permutato per un mese la loro comoda residenza in un compound vigilato per una baracca in agosto, un periodo invernale per l’emisfero meridionale, alla ricerca dell’empatia con la stragrande maggioranza dei sudafricani che vivono al di sotto della soglia di povertà, con uno stipendio giornaliero che in gran parte si dissolve per i biglietti del trasporto pubblico.

Un’esperienza importante per una famiglia bianca della classe media quella di vivere in una baracca nello slum di Mamelodi e poi raccontarne nel Blog che hanno aperto e, chissà, forse diventerà una moda dei benestanti sudafricani che non si limitano alla beneficenza.

A Vienna Ute Bock non va a vivere sotto i ponti o nei cantieri con i migrati, ma li accoglie nei settanta appartamenti che riesce a gestire con una piccola squadra di volontari, ma questo non fa notizia, mentre in Kenya ci si appresta a rimpatriare più di mezzo milione di rifugiati somali entro i prossimi tre anni nel loro paese d’origine, a tutt’oggi insicuro e con un governo precario.

Una proposta del governo keniota a quello somalo e all’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati per alleggerire i due campi d Dadaab e Kakuma, ingovernabili e altrettanto insicuri, come scelta volontaria.

05 Bei Gesti Profughi in Tv e Ikea nei campi

Quando gli aerei non servono

Dal 2012 che l’opposizione all’acquisto dei misteriosi F35 continua a crescere nei vari ambiti sociali sino a materializzarsi nella raccolta di firme.

 

La prima raccolta firme venne promossa su Avaaz per evitare l’inaccettabile acquisto di mezzi militari in un momento di crisi sociale e di occupazione che l’Italia affronta da alcuni anni.

 

Miliardi di euro che potrebbero essere utilizzati per creare posti di lavoro è anche la proposta avanzata dal periodico Riforma

 

 

 

 

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Concerto per l’Infanzia del Mondo

Roma, Sabato 26 Ottobre 2013 – Ore 19.00

Chiesa di S.Giuseppe all’Aurelio – Via di Boccea, 362

Concerto sinfonico-corale di solidarietà dedicato ai bambini del Burundi, realizzato in collaborazione con Roberto Liso, direttore del coro polifonico della chiesa di S. Giuseppe all’Aurelio e presidente dell’associazione musicale ACIMIB.

L’ingresso al concerto è libero e gratuito.

L’idea di realizzare questo concerto nasce dalla necessità di massimizzare il sostegno e l’aiuto da parte di tutti coloro che generosamente desiderano contribuire concretamente all’ampliamento ed al sostentamento della “Maternité Kamar” di Buta e all’ampliamento ed alla ristrutturazione dello stabile dell’Orfanotrofio Uwimana di Makamba (progetto sviluppato in collaborazione con l’Associazione «Oltre la vita»).

In occasione del concerto gratuito si potrà assistere all’apparizione del dipinto Dall’impronta di Gesù di Veronica Piraccini. Dall’invisibile al visibile, infatti dal bianco si rivelerà nei suoi molteplici colori l’opera dell’artista romana!!!!!!!

Cliccando qui potete inoltre vedere il video su YouTube che è stato realizzato appositamente per dare massima diffusione a questa iniziativa su internet.