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Roma e utopia di un trasporto sotterraneo

Guardando la mappa di Roma e del suo sistema di comunicazioni e leggendo la promessa del sindaco Gualtieri – la città in 15 minuti – rimango scettico. Un sindaco dovrebbe promettere meno: mondezza smaltita e traffico snellito sono promesse poco credibili e su certi argomenti noi romani siamo assai disincantati. Intanto Roma non è Milano, non è ha la struttura radiale ma sembra piuttosto una massa informe dove le parti non hanno una vera comunicazione tra di loro. In 15 minuti per andare dove? Anche all’interno dei singoli municipi i servizi sono spesso sparsi, senza una pianificazione; la viabilità non è sempre scorrevole e i trasporti pubblici non sono sempre efficienti. E allora? Come pensare di risolvere in poco tempo i problemi accumulati in tanti anni di sviluppo non programmato? E ancora: siamo sicuri che i progetti siano stati impostati razionalmente? In ogni caso – e il sindaco Rutelli l’aveva capito con “la cura del ferro”, creando il tram linea 8 e modernizzando la linea FM fimo a Cesano, con incrocio a Valle Aurelia – un collegamento rapido può essere soltanto su rotaia: tram, treno e metro, i primi due molto più economici delle linee sotterranee.

Guardiamo ora esempio la mappa della metropolitana, compreso il tracciato di quella ancora da terminare o addirittura costruire. Ebbene: la metro A invece che via Ottaviano poteva collegare i tribunali di piazzale Clodio, mentre dall’altro capo nessuno ha mai pensato di estendere per tempo la linea fino all’Università di Tor Vergata. Perché tanto scoordinamento? La metro C poi ha in pratica sfruttato il vecchio tracciato della Roma-Fiuggi, ma davvero è razionale il collegamento da san Giovanni a piazza Venezia e piazza della Chiesa Nuova, visto che anche i bambini sanno che Roma non ha cambiato posto e che a pochi metri dal suolo c’è una città intera e non un singolo reperto archeologico? Uno può anche scavare le gallerie a cinquanta metri di profondità, ma il problema sono i pozzi d’uscita e a quel punto i ritardi si accumulano e non solo per colpa della Sovraintendenza. Se poi guardiano la mappa della metro come era stata progettata nel 1986 ci si accorge di quanto poco è stato fatto (1) e soprattutto quanto era ottimistico realizzare tutto e non solo per mancanza di fondi, anche se in realtà alcune linee spacciate per nuove erano gli impianti di vecchie ferrovie, tronchi superati dall’Alta Velocità e declassati al traffico locale. Ma non sempre c’è coordinamento fra Comune e Trenitalia:  anni fa fu chiusa la stazione di Fiumicino paese e a Roma la stazione di Val d’Ala (Salario) è stata fabbricata, aperta e chiusa ormai da quattro anni e forse sarà riaperta. Diverso è il caso della vecchia Roma-Viterbo che parte da piazzale Flaminio e collega in pratica i comuni e le frazioni  sulla Flaminia: è vetusta sia nell’impianto che nel materiale rotabile e non incrocia i tronchi FS. E qui riecco la storia della chiusura dell’anello ferroviario, di cui si parla da quarant’anni e forse tra sette anni (parola di sindaco Gualtieri) sarà ultimato. Si tratta di collegare Vigna Clara con Tor di Quinto e Nomentano, pochi chilometri di cui due terzi in mezzo ai campi, mai tempi saranno lunghi lo stesso. Era un’opera strategica che avrebbe creato una sorta di GRA su rotaia e migliorato anche le comunicazioni radiali, ma finora si è visto poco. Tra l’altro si dovranno completare e/o riadattare alcune stazioni, e qui è un classico: in Italia le ferrovie sembra che siano un problema di edilizia e non di trasporti, visto che ovunque abbiamo stazioni monumentali con due soli binari. Infine, non aveva più senso estendere le linee verso le periferie, alcune delle quali (il quadrante Sud-Ovest, per esempio) hanno cattivi collegamenti non solo con il centro, ma persino col municipio vicino? Invece si è previlegiato l’asse San Giovanni-piazza Mazzini, cioè il Centro. Piazzale Clodio poteva essere raggiunta con una derivazione da Ottaviano, senza partire da tanto lontano. Insomma, lo schema generale è molto meno razionale di quanto sembra e mantiene l’ossessione per il centro. In più, Roma sta cambiando: molta gente abita oltre il Raccordo Anulare e i grandi centri commerciali stanno creando dei poli di attrazione eccentrici rispetto al centro dei municipi, sempre che tutti ne abbiano uno. Ma solo prendendo atto di questi cambiamenti urbanistici si possono progettare sistemi di comunicazione realistici.

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NOTE

https://www.rerumromanarum.com/2017/03/progetto-per-la-rete-metropolitana-di.html

Un premio anglofono autoreferenziale

GL Roma e Anglofonia del Best Practices AwardÈ imperante l’anglofona mania di infiocchettare l’antico e nobile linguaggio italico con contributi british eccessivi e inutili in nome di una cattiva abitudine provinciale molto nostrana, forse con l’idea malsana di rendere più accattivante e intrigante l’enunciato o il discorso da fare. È dimostrato anche con Best Practices Award, non unico in questa usanza, come anche il scegliere di ricevere delle autocandidature piuttosto che monitorare e indagare sulla realtà urbana per scovare quale attività interviene profondamente sul tessuto sociale di una città.

Molte sono state le persone che hanno percorso le strade di Roma lasciando una traccia in ognuno che hanno incontrato, ma non hanno avuto riconoscimenti.

Un premio nato per evidenziare le buone pratiche dovrebbe iniziare con l’utilizzare e promuovere la lingua italiana, come cerca di fare, con risultati altalenanti la Società Dante Alighieri o magari nel suo piccolo Luigi M. Bruno con le sue aspre riflessioni dalle pagine di questo magazine.

Non è necessario utilizzare indiscriminatamente termini come: location, briefing o make-up, quando in italiano abbiamo luogo, riunione o trucco. Può apparire estremistico il comportamento dei francesi che in difesa della propria lingua si esibiscono in traduzioni eccentriche, un esempio è il computer che si trasforma in ordinateur, ma si può curare di più il quotidiano linguaggio. Né è auspicabile ritornare a tradizioni tipiche del bieco ventennio che arrivava, nel suo furore indigeno, a chiamare arzente il cognac e Louis Armstrong in Luigi Fortebraccio!

Una delle buone pratiche per Roma è denunciare il degrado urbano, difficilmente scindibile da quello sociale, capace di dare delle soluzioni per migliorare la vita quotidiana dei cittadini.

Per fortuna Best Practices Award ha un sottotitolo: “Mamma Roma e i suoi figli migliori”, ma appare, come altri premi, accodato all’offrire lustro a chi li conferisce più a chi viene attribuito.

In certi casi basterebbe poco per dare un’immagine differente di Roma, magari l’Atac ne guadagnerebbe curando di più il trasporto pubblico se non in tutta la città almeno nei percorsi “culturali” come l’asse Piramide – Ostiense – Basilica di San Paolo che partendo dalla piramide di Cestio e porta san Paolo, con l’omonimo museo, porta al complesso conventuale e museale di san Paolo, passando per diverse testimonianze di archeologia industriale recuperate a nuove funzioni come l’ex centrale Montemartini a museo o fornaci e vetrerie locali di svago e sedi universitarie, senza dimenticare il lungo e laborioso lavoro di riconversione dei Mercati generali nella città del divertimento adolescenziale e per la promozione culturale.

Forse c’è troppa carne al fuoco con un premio anglofono autoreferenziale che non si scomoda a guardare nel sottobosco di una città fatta perlopiù di apparenza, facendosi sfuggire fragoline e lamponi, perché è meno faticoso aspettare chi si presenta invece di andare a cercare chi se lo merita.

 

Filologia Atac-chense

MP Atac IMG_20170206_120113Con tanti attori e doppiatori che abbiamo a Roma, sorprende il tono svogliato e depresso con cui vengono annunciate sulla metro le prossime fermate, come pure l’accento impastato (irlandese?) con cui sulla Metro B una voce femminile annuncia che “the train terminates here”. Ma davvero poi si dice così o non siamo piuttosto ai livelli del “menu to consult” e dell’ “homemade tiramisu” che si legge nei locali del centro?

Ebbene, aggiornatevi. Prendo oggi il 62, la vettura è nuova e una voce annuncia le varie fermate. Eccone una: “Csò Vittorio Emanuele – Argentina”. Proprio così: “csò”. Sul display si legge chiaramente “C.so Vittorio Emanuele – Argentina”. La fermata successiva è addirittura meglio: “Csò Vittorio Emanuele – Nàvona”, con l’accento sulla terzultima sillaba. Già l’altra settimana prendendo il 30 avevo sentito “Piazza Venezia – Aracòili”, pronunciato come avrebbe voluto il latinista Ettore Paratore. A questo punto è chiaro che la ditta che ha subappaltato la lettura dei testi a oscuri immigrati neanche ha ricontrollato il lavoro svolto. E immagino altri possibili annunci: “largo pioxi”, “via di sagnese”, “slorenzo in lùcina”