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Migrazione: Conflitti e insicurezza alimentare

Nell’estratto del recente rapporto The State of Food Security and Nutrition in the World 2017 (Lo Stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo) redatto dall’Onu con la FAO, WFP (Programma alimentare mondiale) IFAD e al quale per la prima volta hanno collaborato anche Unicef e Oms, viene messa in risalto la correlazione tra insicurezza alimentare e migrazione. Un’insicurezza alimentare dovuta più ai conflitti che direttamente da situazioni di carestia.

Una correlazione che è stata al centro della Giornata mondiale dell’alimentazione dello scorso 16 ottobre, promossa dalla Fao, per investire nella sicurezza alimentare e nello sviluppo rurale dove Ifad (Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo), la terza e più giovane delle agenzie Onu che si interessano di alimentazione, è impegnata nel trasformare l’agricoltura e le comunità rurali per porre entro il 2030 fine alla fame e garantire un accesso sicuro al cibo nutriente e sufficiente per tutto l’anno.

Una meta che sembra irraggiungibile se i conflitti e i cambiamenti climatici hanno aumentato, dopo una costante diminuzione, il numero delle persone che soffrono la fame, raggiungendo circa 815 milioni, pari all’11% della popolazione mondiale.

Sono 38 milioni di persone in più rispetto all’anno scorso vittime, come dimostrano i recenti appelli di aiuto dalle città siriane poste d’assedio, della proliferazione di conflitti o per quei migranti “trattenuti” sulle isole greche dell’Egeo, ma anche tutta quell’umanità bloccata in Turchia o nei campi libici che non ha accesso regolare ai generi alimentari e medicine.

Mentre nell’Occidente sono circa 41 milioni di bambini ad essere in sovrappeso nel Mondo sono circa 155 milioni di bambini di età inferiore ai cinque anni non hanno una crescita regolare (troppo bassi per la loro età) e 52 milioni soffrono di deperimento cronico, che significa che il loro peso non è adeguato rispetto alla loro altezza.

Da una parte i conflitti, con i cambiamenti climatici, ad opporsi alla vita serena di milioni di famiglie e dall’altra sono i mutamenti nelle abitudini alimentari a tracciare per gli “occidentali” un futuro di obesità e malattie cardiache condite con il diabete.

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Qualcosa di più:

Cibo: senza disuguaglianze e sprechi
Spreco Alimentare: iniquità tra opulenza e carestia
Cibo per molti ma non per tutti

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Qualcosa di più:

Migrazione: Un monopolio libico
Migrazione: non bastano le pacche sulle spalle
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Migrazione: Orban ha una ricetta per l’accoglienza
Aleppo peggio di Sarajevo
Migrazione: La sentinella turca
Migrazione: Punto e a capo
Migrazione: Il rincaro turco e la vergognosa resa della Eu
Europa: la confusione e l’inganno della Ue
Europa e Migrazione: un mini-Schengen tedesco
Migrazione: Quando l’Europa è latitante
Un Mondo iniquo
Rifugiati: Pochi Euro per una Tenda come Casa
Siria: Vittime Minori
Europa: Fortezza d’argilla senza diplomazia
La barca è piena
Il bastone e la carota, la questione migratoria

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Un Mondo iniquo

siria-aleppo-14670831_10154591393324808_3675277897794890283_nIn Yemen 370mila bambini soffrono, mentre in Colombia sono stati 220mila le vittime della guerra civile, in 10 anni in Messico sono scomparse 30mila persone, in 5 anni di guerra in Siria i morti sono 270mila, in Iraq e Afghanistan, nonostante i tentativi di “normalizzazione” dell’Occidente, si continua a morire per attentati terroristici, come anche in Pakistan, mentre il Africa si soffre per carestia e conflitti.

Nel Mediterraneo, secondo l’International Organization for Migration (Iom) e confermato dal portavoce dell’agenzia per i rifugiati Unhcr William Spindler, sono circa 3mila le persone che hanno perso la vita, nel tentativo di fuggire da guerre e povertà nel sud del mondo.

Tante, troppe sono le persone torturate e assassinate, per poter dare giustizia a tutti, ma una cosa si potrebbe fare: non cadere nella banalità di additare l’assassinio e la tortura come “brutale”. È lapalissiano che tali azioni sono brutali. Come può esistere una tortura amorevole? E’ come affermare che un indigente soffre della mancanza del minimo indispensabile. È brutale rifiutare protezione a donne e bambini.

Usare un vocabolo come “brutale” solo per catturare l’attenzione dell’ascoltatore, o lettore, sminuisce le molte altre azioni violente che gli umani sono capaci di pensare e realizzare.

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#Aleppo #Syria 2016: è una foto di prima mano postate su una chat whazup #nofilter

I crimini che si sono perpetrati contro l’umanità non sono solo “circoscritti” ai genocidi del ‘900 degli Armeni o degli Ebrei, dei Curdi o dei Ruandesi, ma anche il crimine quotidiano degli attentati e della prevaricazione delle potenti multinazionali nei confronti delle piccole comunità, per sorvolare sulle stragi in varie forme dei nativi delle Americhe, dell’Africa e dell’Asia per colonizzare e civilizzare.

Un’umanità in gran parte vittima di un’omologazione forzata che nega la possibilità di vivere in tranquillità nelle differenze, pregando come e dove si vuole, se lo si desidera, e nella lingua che si conosce.

Un’omologazione indotta da una globalizzazione a senso unico che evita gli scambi e le contaminazioni, per una crescita delle varie società, dando precedenza alla prevaricazione.

L’arroganza dell’Occidente nell’imporre i propri docmi, sino a voler esportare la sua pretesa Democrazia.

La strumentalizzazione delle religioni per interesse e predominio di alcune persone su altre, sbandierando la Guerra di Religioni solo per esacerbare gli animi.

Mai come in questi ultimi anni nei conflitti non si fa alcuna distinzione, colpendo scuole, ospedali e edifici di culto. Prima erano danni collaterali, ora sono degli obbiettivi per snidare i terroristi.

In questi ultimi anni si è superato ogni limite, non esistono più aree esenti dall’odio, rendendo qualunque luogo un obbiettivo, un target dei conflitti.

Durante l’assedio di Sarajevo i suoi abitanti riuscivano a condurre una vita quasi “normale”, cosa impossibile per Aleppo dove all’assedio si aggiunge a un martellante bombardamento. Una guerriglia urbana trasformata in un distaccato rilascio, notte dopo notte, di bombe dal cielo che non solo nega un’infanzia ai bambini, ma li terrorizza se non riesce ad ucciderli.

Le vittime prescelte sono sempre le donne e i bambini, non solo nei conflitti, ma soprattutto negando loro un futuro, riducendoli in schiavitù. Un destino riservato anche agli uomini di quell’umanità oppressa, spinta alla competizione che esclude i timidi.

Non solo in Sudafrica, in India, e nel Sudamerica si fa scempio della donna e di minori che riescono ad arrivare in Occidente. Secondo l’ultimo rapporto di Oxfam Italia  i minori che giungono in Italia dopo viaggi perigliosi, spariscono dalle strutture di accoglienza, probabilmente fuggono per raggiungere i parenti nelle diverse città europee, ma c’è anche chi finirà negli ambiti delinquenziali, perché gli adulti invece di proteggerli li utilizzano nello sfruttamento minorile.

Nel Mondo regna la diseguaglianza tra generi e popoli, tra nazioni e continenti, tra i pochi che hanno il 99% della ricchezza mondiale e la moltitudine  spesso sopraffatta  per avere una fetta di quell’uno percento disponibile.

Il grido «#NiUnaMenos» («Non una di meno») che echeggia per le strade di Buenos Aires per chiedere giustizia per l’ennesima donna, ragazza, violentata e uccisa, comprende e abbraccia i bambini e tutte le vittime di una vita prepotente.

migrazione-580f17294Tra le strategie dell’Unione europea contro la povertà e l’emarginazione, per non lasciare indietro nessuna persona, ha attivato una piattaforma, nell’ambito delle sette iniziative prioritarie dell’Europa 2020, per una crescita intelligente, sostenibile e solidale.

Una piattaforma che potrebbe rimanere al palo di un semplice studio statistico o di un’indagine demografica, mentre 4milioni di italiani conoscono la fame, soffrendo l’inutilità di un “aiuto” virtuale, per appoggiare concretamente le strutture economico-finanziarie.

I propositi dell’Unione sono nobili nell’intervenire nel mercato del lavoro, per un reddito minimo, garantendo l’assistenza sanitaria, l’istruzione, gli alloggi e l’accesso a conti bancari di base.

Rifugiati: Pochi Euro per una Tenda come Casa

“Casa dolce casa”. Più che un modo di dire, per molti di noi, questa frase è una certezza. Fatta di calore, affetto, condivisione. Ma per oltre 50 milioni di rifugiati e sfollati la casa è solo un ricordo spezzato dalla guerra e dalla violenza.

Ai rifugiati e agli sfollati che non hanno più un posto sicuro dove stare è dedicata la campagna di comunicazione e raccolta fondi “Casa Dolce Casa” che l’UNHCR lancia dall’8 al 28 giugno, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato.

Con la campagna l’UNHCR vuole sensibilizzare e raccogliere fondi per quattro fra le più gravi crisi umanitarie degli ultimi decenni: Siria, Iraq, Repubblica Centroafricana e Sud Sudan.

Donando al 45507 è possibile fornire a migliaia di rifugiati e di sfollati in Siria, Iraq, Repubblica Centroafricana e Sud Sudan una tenda per 5 persone, un kit di pentole e una tanica per l’acqua, oggetti essenziali per sentirsi al sicuro in una situazione di emergenza.

Una mobilitazione che raggiungerà il picco massimo il 20 giugno, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato con il maxi evento concerto “World Refugee Day Live”, che si terrà a Firenze presso Il Parco delle Cascine (Ippodromo Del Visarno).

Dalle 15 in poi, l’attore Francesco Pannofino e la giornalista di Piazza Pulita Valentina Petrini chiameranno a esibirsi sul palco diversi big della musica italiana, tra i quali Elisa, Bandabardò, Enrico Ruggeri, Virginiana Miller, Jaka Djset, Cecco e Cipo, Didiodato, Dimartino, Piero Pelù, Brunori Sas, Sandro Joyeux, Gatti Mezzi, Appino, Street Clercks e Francesco Guasti.

Con l’acquisto di ogni biglietto si garantirà acqua per un mese ad un rifugiato che vive in condizioni di emergenza.

Protagonista e simbolo del concerto, una chitarra speciale realizzata da un liutaio di Cortona, che in questi giorni sta spopolando sul web e sui media.

Si tratta di “Mare di mezzo”, una chitarra realizzata con il legno di un barcone naufragato a Lampedusa, che suonerà al “World Refugee Day Live” per ricordare le vittime delle tragedie nel Canale di Sicilia.

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Casa dolce casa
Dona 2 o 5 euro al 45507

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UNHCR

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I Conflitti dopo l’11 settembre

Nei conflitti che si sono susseguiti si è avuta una deriva che non comporta l’uso di fare prigionieri e le vittime collaterali non sono un’eccezione, ma una consuetudine dovuta alla fretta o come sadico monito.

Una vittima collaterale di un drone statunitense è stato Giovanni Lo Porto ucciso, agli inizi del 2015, in un raid in una zona tra Pakistan e Afghanistan.

Conflitti più che guerre, senza un campo di battaglia circoscritto, dove il nemico può essere di fronte come alle spalle o ai fianchi.

Una sfida fatta più come un’esibizione muscolare, dove da una parte c’è chi arriva uccide e si dilegua e l’altra evita il contatto fisico con le vittime grazie alle nuove tecnologie da videogame.

Sembra di assistere da una parte alla guerra dei cent’anni con spadoni e saccheggi fronteggiare dall’altra gli effetti speciali alla George Lucas di Guerre Stellari.

Duellanti anonimi che operano nell’anonimato, tra la popolazione civile, senza farsi riconoscere, per una guerra innominabbile che ha fatto, dall’11 settembre 2001, un milione e 300mila le vittime, dati raccolti dall’International Physician for the Prevention of Nuclear War, Nobel per la pace nel 1985, che vengono ritenute per difetto, non conteggiando i conflitti più recenti di Libia, Siria e l’ultima a Gaza.

Guerre al terrore o umanitarie, all’Occidente e ai crociati, ma in sostanza il tutto si riduce per l’Occidente a un continuo rincorrere le visionarie follie di emiri e calliffati islamici: una vendetta continua con vittime collaterali di piloti virtuali che operano dall’altra parte del Mondo, mentre per i fanatici senza divisa, impegnati ad insinuare il terrore tra la popolazione, è una prassi mietere vittime senza distinzione.

Se da una parte il loro colpire è casuale, finalizzato a fare più morti possibili, senza alcuna “attenzione”, dall’altra si scegono bersagli da colpire con droni o bombe “intelligenti”.

Due epoche allo scontro, per due differenti visioni della società, per scoprire che la Religione non è più l’oppio dei popoli, ma l’adrenalina per un conflitto permanente.

In tutto questo chissà se Kant, criticando la ragione per far posto al trascendentale, avrebbe sospeso il sapere per far posto alla fede?

OlO Conflitti dopo 11 settembre Droni 20131214-081824I OlO Conflitti dopo 11 settembre Droni drone_pilot_1719505OlO Conflitti dopo 11 settembre Islamia Isis Daesh slide_363490_4264824_compressed OlO Conflitti dopo 11 settembre Libro di Grégoire Chamayou copia

Islamia: Conflitti e Sconfitti

Il Dio dai molti nomi è capace di difendersi da solo da possibili offese e saper parlare al cuore di chi è disposto ad ascoltarlo.

Lasciamo al Dio giudicare gli insolenti che non rispettano la sacralità delle religioni, senza porlo allo stesso piano delle manchevolezze di politici e delle nostre umane debolezze.

I sacrifici umani non sono più di moda per quietare le ire della natura e l’inquisizione dovrebbe essere relegata alla narrativa.

È fuori da ogni possibile dialogo o contraddittorio la barbarie che si manifesta nel togliere la vita ad ogni qualsivoglia essere vivente, ma oltretutto la scelta di dare la morte diventa anche sfoggio di disumana crudeltà.

Atrocità espressa con un rogo, invenzione di truculenti film sui serial killer, è topica della decadenza dei costumi nell’Occidente che un certo Islam rifugge. Il problema potrebbe essere facilmente risolvibile con una sana separazione delle culture.
È una soluzione che può andare bene anche a quegli intolleranti di Pegida e a tutti gli oppositori del multiculturalismo.

Avversari di ogni confronto con gli Altri, probabilmente per una forma tumorale di sindrome d’inadeguatezza, si fanno fanatici dello scontro.

Un certo Occidente teme l’islamizzazione, come una parte dell’Islam rifiuta ogni contaminazione occidentale.

Ma non vi è alcuna necessità di confronto, ignoratevi, alzate dei muri per vivere in recinti e magiare i vostri cibi, che ognuno festeggi le proprie credenze e eventi.

Essere permalosi e precludersi ogni occasione di confronto non rende le persone felici, anzi ci si incancrenisce in un isolamento fondamentalista.

Anche la migliore delle persone ha sofferto almeno in un’occasione della sua vita una accentuata carenza di pazienza verso il vicino, rivolgendosi a lui con modi bruschi, esprimendo tutta l’intolleranza che un fastidioso mal di testa può far esplodere.

È in quelle occasioni che l’individuo dovrebbe riflettere quanto lui potrebbe migliorare nell’apprendere dal suo vicino.

Non può essere una colpa prediligere un cibo piuttosto che un altro o se la sua storia personale è differente dall’altra.

Conflitti che coinvolgono i fedeli di tre religioni monoteiste che paradossalmente hanno radici comuni in Abramo, ma con ritualità diverse. Una vera guerra del potere che nel mondo mussulmano non si esprime solo tra sunniti e sciti, tra arabi e persiani, ma soprattutto all’interno degli stessi sunniti. È sconfortante il livello di litigiosità dell’umanità nell’impegnarsi così tanto nel trovare le differenze e rimanere invece indifferenti su ciò che ci accomuna.

Il Mondo arabo, in fermento da anni, è in cerca di una democrazia che superi i governi autoritari teocratici, con la loro ispirazione oscurantista, e quelli laici protesi verso una modernizzazione sociale, ma lontani dall’idea di libertà d’opinione e d’espressione.

Un Islam dalle mille sfumature, con una maggioranza che non si riconosce nel fanatismo e lancia la campagna #NotInMyName (Non in nome mio) o i come nelle testimonianze dei 15 attivisti musulmani, tra blogger-giornalisti e artisti, che sfidano il settarismo.

Il vero nemico della convivenza è rappresentata dall’inadeguadezza di quelle bellicose minoranze che vogliono convertire le maggioranze con ogni mezzo e questo Samuel P. Huntington, nel suo saggio pubblicato su Foreign Affairs nel 1993, ben lontano dall’11 settembre 2001, The Clash of Civilizations?, approfondito successivamente nel libro Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, non lo aveva previsto, anche perché erano ancora lontane le manifestazioni per la democrazia nel mondo mussulmano.

Un Mondo mussulmano facilmente messo sotto accusa, dopo l’11 settembre, per ogni strage, come quella dei 77 norvegesi uccisi da un xenofobo autoctono. Un’islamofobia analizzata da Martha C. Nussbaum nel libro La Nuova intolleranza, del 2012, e superare la paura dell’Islam e vivere in una società più libera.

Prima erano le ideologie sociali a mobilitare i popoli, ma dopo la Guerra Fredda sono l’identità culturale, soprattutto la religione, ad alimentare i conflitti. Ma la distinzione non è così semplice. Anche all’interno di aree identitarie esistono dei distinguo tra gli uni – gli individui – propensi a capire, dagli altri – la massa – reclusi in dogmi o ancorati ad una visione arcaica della società per dare la caccia ai blasfemi che siano protesi verso un “modernismo”.

Distinzioni rituali che dilania tanto l’Occidente quanto l’Islam, senza escludere le altre realtà culturali di questo Pianeta, estremizzando il conflitto non tra civiltà, ma anche tra chi impone la separazione tra Potere e Sudditi. Il vero conflitto è tra chi si elegge a casta atta a manipolare un’identità religiosa o culturale per avere una schiera di seguaci e chi non vuole dare nulla per scontato, in cerca della conoscenza e della tolleranza, per capire ciò che ci circonda, scambiandosi le esperienze per progredire.

Un futuro auspicabile non dovrebbe contemplare sacrifici ad una Fede impersonata in un Dio o nello spietato profitto personale, ma un’equità nella condivisione ed avere una posizione relativista sulla quotidiana convivenza.

Ma per ora ci si continua a scannare per l’interpretazione di uno scritto o per un lembo di terra da strappare a quelle comunità che vi abitano da decenni se non da secoli, per alimentare conflitti che infliggono sconfitte anche a chi pensa di essere il vincitore.

 

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