Gallerie

Alla ricerca dei pittori perduti 4

Laszlo Neogrady (1896-1962)

Pittore sconosciuto ai più (e mi ci metto anch’io!),ma conosciutissimo e frequente con le sue opere nelle case d’asta con la sua pittura piacevole di paesaggi nordici,innevati o primaverili, di scuola naturalistica che sfiora,possiamo dirlo, la gratificante illustrazione…Nato ai margini estremi dell”800 e vissuto fino al 1962, dalla tarda scuola impressionista ha fatto suoi pochissimi principi se non per l’amore per il paesaggio in “plein air”, e del resto è rimasto totalmente estraneo a tutte le avanguardie novecentiste. Il suo mondo,appoggiato ad una tecnica sperimentata, è quello dell’incanto naturale, boschi,fiumi,montagne e rustici villaggi, immersi in una specie di favola lontana da drammi o dinamiche che in quelli anni travagliavano l’Europa.Un pittore che scelse di coltivare il suo orticello intimista, rifugiandosi in un racconto piacevolmente narrato. Tutto ciò ovviamente ha incontrato e sodisfatto per decenni le esigenze di uno stuolo di ammiratori in cerca di dipinti per il garbato arredo di salotti piccolo-borghesi, di gozzaniani estimatori di garbate nostalgie dove rifugiarsi comodamente in attesa che passi la tempesta.

Jean Metzinger (1883/1956)

Dalla provincia, come tutti i potenziali artisti in cerca di notorietà, si trasferisce a vent’anni a Parigi dove subito (bei tempi) fa una serie di incontri e di amicizie fondamentali: Delaunay, Max Jacob, Guillaume Apollinaire, stabilendosi con sicurezza nell’area  “cubista” allora agli esordi. per non parlare ovviamente  di Braque e Picasso, i due apostoli massimi del Cubismo e della teoria della multiplicità dei piani e dinamiche strutturali del Movimento.

Oltre ad esporre con continuità nei vari Salon parigini,scrive e pubblica articoli sull’arte moderna e la sua ricerca di nuove motivazioni estetiche.

Nel 1911 partecipa naturalmente alla prima collettiva cubista al Salon des Indépendants, evento che resterà memorabile per critiche e diatribe. Teorico dell’argomento,partecipa nel 1912 alla stesura del testo ” Du Cubisme” dove si delineano le basi e le ragioni del Movimento.

Metzinger negli anni a seguire continuerà ad esporre in Francia e all’estero fino alla sua morte a Parigi nel 1956.

Il Cubismo di Metzinger non ha, a mio giudizio, la profondità concettuale di Braque né il vigore innovativo di Picasso, ma piuttosto si realizza in uno scandire di piani risolti con maggiore piacevolezza cromatica e una rassicurante plasticità rispetto alle drastiche asprezze dei suoi maestri, indicando la strada dei futuri seguaci, fino ad  oggi, dell’idea cubista.

Ralph Oggiano, il pugliese che stregò l’America

Nulla sapevo di questo grande fotografo, ma per un caso ho conosciuto quest’estate alcuni suoi familiari – le nipoti per l’esattezza – le quali mi hanno parlato a lungo di questo artista nato in Puglia ma presto emigrato in America, dove a New York si fece un nome e si affermò come uno dei più grandi fotografi della prima metà del secolo XX. Figlio di scultori, era nato ad Oria, in provincia di Brindisi (ma all’epoca di Lecce), a 17 anni emigrò nel 1920 per cercare l’America e la trovò a New York. Non avendo soldi si mise in società con un altro fotografo, Herbert Mitchell, finché nel 1934 diventò abbastanza ricco e famoso per mettersi in proprio: era ormai uno dei ritrattisti più noti di Brodway, per poi approdare al successo internazionale, riaffermato in due grandi mostre nel 1940 a New York (344 ritratti fotografici di dive e nomi famosi). Ricevette committenze e tenne mostre in Inghilterra, Austria, Germania, Italia, Yugoslavia. Il suo lavoro si caratterizza per l’espressività, a tratti monumentale, del volto umano, raggiunta attraverso un innovativo e magistrale utilizzo della luce. Simbolo di coraggio e determinazione, esempio di riscatto sociale, la sua vita rappresenta in maniera emblematica la storia dell’emigrazione pugliese nel mondo, ricalcando i passi di migliaia di italiani partiti dal loro paese natale con una valigia piena di sogni e speranze, alla ricerca di una vita migliore, ma allo stesso tempo privati del conforto della famiglia e del legame con la propria terra. Terra di cui Oggiano mai si dimenticò: sposò una calabrese di New York, ebbe figli e comprò ai genitori una villa al paese natìo. In Italia tornò solo due volte: la prima alla fine degli anni ’30, una seconda nel 1949 (morì nel 1962). Del periodo “italiano” ci restano i fotoritratti del Duce e dei suoi gerarchi e – successivamente – un ritratto di Pio XII, per ora disperso. Il ritratto di Mussolini è impressionante: a parte l’uso del flou (tipico della fotografia dell’epoca), è come se Oggiano abbia saputo leggere l’anima del suo uomo, che più che Duce appare più come un padre di famiglia italiano o se vogliamo il capo del villaggio. Nulla della retorica fascista voluta dallo stesso Mussolini, che qui ha riposto assoluta fiducia nel fotografo – è infatti un ritratto ufficiale. Ma cosa caratterizza lo stile di Oggiano, vero mago della luce? I suoi ritratti sono tutti a inquadratura alta (“waist-up”) o facciali, in bianconero con luci di schiarimento e ritocco. I toni – pur contrastati – restano così molto morbidi e sfumati.

In seguito Oggiano è stato dimenticato: la sua fotografia è troppo legata a uno stile culturalmente superato. E’ stato però rivalutato negli ultimi dieci anni negli Stati Uniti e in Italia attraverso una serie di mostre e studi specializzati (1). In Italia segnalo la collettiva del 2013 a Oria (2, 3) e quella monografica, sempre a Oria, nel 2022, curata dall’architetto Alessio Carbone, dove la famiglia ha contribuito anche con cimeli personali (4). La nipote mi ha parlato della “vecchia” villa dove erano conservati oggetti personali, foto, quadri e documenti, pazientemente riordinati da Alessio Carbone, peraltro concittadino di Oggiano. Della mostra non è stato stampato un catalogo, ma in compenso Oria ha intitolato al suo figlio una piazza. Ma a questo punto propongo un progetto visionario: Ralph Oggiano merita un film o uno sceneggiato televisivo. La sua storia così emblematica ha tutti i numeri per avere successo: il giovane emigrato italiano, la gavetta a New York, il successo, la famiglia e le stesse immagini fotografiche sulla cui elaborazione Oggiano manteneva il segreto per non rivelar nulla ai concorrenti. Anche l’incontro con Mussolini deve essere stato particolare, vista l’innata diffidenza del Duce verso il prossimo. Cosa manca per un film? Almeno tre elementi: un regista (pugliese o italoamericano), un produttore che si muova bene tra l’Italia e New York, più i contributi della regione Puglia, finora ben generosa con chi vuole produrre cinema ambientato nella Regione. E’ un sogno? Anche quello di Ralph Oggiano lo era.

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NOTE:

  1. David S. Shields, Ralph Oggiano, in Broadway Photographs – Art Photography & The American Stage 1900-1930,  (www.broadway.cas.sc.edu)
  2. https://www.exibart.com/artista-curatore-critico-arte/ralph-oggiano/  
  3. https://news.oria.info/oria-shoots-prestigiosa-mostra-fotografica-presso-palazzo-martini/201325254.html
  4. https://www.brindisireport.it/eventi/mostre/ralph-oggiano-figlio-oria-strego-usa-foto-mostra.html

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Conflitti Il Mondo in balia degli estremismi

Il 2023 si è concluso con numerosi conflitti attivi, un elenco preciso è difficile e varia da fonte a fonte e non ci sono solo l’aggressione russa all’Ucraina e Hamas – Israele, ma anche la guerra civile in Sudan e quella dello Yemen, solo apparentemente in standby sospesa per intrufolarsi tra quella di Hamas e Israele.

Altri conflitti, alcuni dei quali sono guerreggiati, dimenticati e a “bassa intensità”, dove si vedono non solo missili e dromi o cannoni e mitragliatori , ma anche fucili e pistole, lance e frecce, sino a machete e coltelli, circoscritti in piccole aree per il predominio sulle ricchezze naturali o per far prevalere gli interessi degli allevatori su quelli degli agricoltori, ma in ogni caso le vittime sono sempre le stesse: bambini e donne, ma anche operatori umanitari e dell’informazione.

Conflitti che possono variare da una sessantina a qualche migliaio, se si conteggiano anche eventi violenti che sporadicamente tuonano ad insanguinare le strade per motivi politici, religiosi e tribali, secondo le fonti come: ACLED (Armed Conflict Location and Event Data Project), Sipri  (Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma) e l’Atlante delle guerre e dei conflitti del Mondo.

L’Etiopia, la regione africana del Sahel, il Mali, la Somalia, la Repubblica Democratica del Congo, la Nigeria, il nord del Mozambico, l’Afghanistan, il Libano, Haiti, il Messico, la Colombia, lo Myanmar, tra India e Pakistan per il Kashmir, gli armeni e gli azeri, i russi e i georgiani, per non dimenticare la Siria e il governo turco contro i curdi.

Un Mondo in balia degli estremismi che si nascondono tra credi ed ideologie, ma in realtà sono solo avidi di potere e bramosi di possedere ciò che non gli appartiene, creando flussi migratori.

Ci sono migranti e migranti, come ci sono profughi e profughi, con una speranza che non trova spazio in un Mondo costruito sugli egoismi, dove quello che è mio rimane mio e quello che è tuo dovrebbe diventare mio.

Nel mondo esiste l’odio e se non c’è l’amore certamente non c’è l’empatia che può avvicinarci all’altruismo.

Usare le parole in modo inconsapevole o addirittura in mala fede possono essere un linguaggio d’odio, per questo la “Carrara di Roma”, come più recentemente Rete nazionale per il contrasto ai discorsi e ai fenomeni d’odio, indica l’uso corretto dei vocaboli e il loro contesto quando si parla di migranti.

Persone che vivevano assediate ed ora assediano, cacciati che ora praticano pulizie etniche, perché dei fanatici ritengono incompatibile la convivenza tra “differenti” culture.

Conflitti che nascono per combattere i “cattivi”, ma in realtà per nascondere che “l’erba del vicino è sempre più verde” e solo perché qualcuno vuole qualcosa che qualcun altro ha.

Sono lontani i tempi nei quali si rideva dell’esorcizzazione del possesso con il film di Stanley Donen, L’erba del vicino è sempre più verde, dove Cary Grant “ha” ciò che Robert Mitchum vuole e con il ruolo politicamente scorretto di Deborah Kerr nel ruolo dell’erba più verde.

Non possiamo soccombere alla prepotenza se non per noi almeno per chi non può difendersi creando le condizioni per scardinare l’invidia.

A molti manca quel coraggio in più dalle donazioni alle organizzazioni umanitarie che oltre a mitigare i sensi di colpa fa dispetto a quella destra incapace di empatia offrendo un impegno diretto verso gli ultimi.

L’Arte non avrà la capacità di difendere  l’umanità dalla crudeltà ma può far riflettere sulle diseguaglianze e fare da megafono ai giornalisti che fanno giungere oltre le aree di conflitto l’invocazione di un ragazzo dai fieri occhi azzurri, del suo “non ho paura, ma voglio vivere. Portatemi via di qua”.

L’Arte ha il compito di seminare dubbi e far riflettere sulle contraddizioni e le diseguaglianze che affliggono il Mondo e far dialogare le persone impegnate per la Pace.

Un’Umanità vittima della fuga dai conflitti e dalle carestie e obbligata a migrare dove la speranza di trovare un luogo per vivere per migliaia di persone naufraga in mare o nei deserti, nelle foreste o davanti al filo spinato di un confine.

Secondo il Mid-Year Trends Report dell’UNHCR (l’Alto Commissariato ONU per i diritti dei rifugiati), sono oltre 100milioni le persone che fuggono dai conflitti.

Come scriveva Italo Calvino “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.” (Le città invisibili).

È un inferno dove fanatici estremisti vengono manipolati da chi ha come unico interesse il profitto, sfruttando la Natura e le Persone. Individui in cerca di profitto ad ogni costo, spesso nascosti dietro a rassicuranti elogi della Pace.

Dovrebbe essere possibile emarginare e sconfiggere i fanatici dediti a far soffrire gli estremisti che vogliono comandare. Due entità che fanno gli interessi di chi opera scommettendo sulle disgrazie altrui.

Conflitti che si protrarranno per anni se non si troveranno soluzioni diplomatiche o “non perderà” chi resisterà di più.

L’Onu come Unione Europa, i vari stati e organizzazioni sbandierano la Carta dei Diritti Umani, ma sono diritti che non valgono per tutti. Governi che accusano altri governi di violare i Diritti e la storia si ripete con il bue che da del cornuto all’asino.

Anche la nostra Costituzione, all’Articolo 2, sancisce che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”, come ha tenuto a ricordare il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella, oltre al consigliare di praticare la gentilezza, dando il buon esempio, affermando anche che “La guerra genera odio, serve cultura di pace” e ai giovani in particolare: “L’amore non è possesso” e “La democrazia è voto e non sondaggio”, è partecipazione come cantava Giorgio Gaber.

Ralph Oggiano, il pugliese che stregò l’America

Nulla sapevo di questo grande fotografo, ma per un caso ho conosciuto quest’estate alcuni suoi familiari – le nipoti per l’esattezza – le quali mi hanno parlato a lungo di questo artista nato in Puglia ma presto emigrato in America, dove a New York si fece un nome e si affermò come uno dei più grandi fotografi della prima metà del secolo XX. Figlio di scultori, era nato ad Oria, in provincia di Brindisi (ma all’epoca di Lecce), a 17 anni emigrò nel 1920 per cercare l’America e la trovò a New York. Non avendo soldi si mise in società con un altro fotografo, Herbert Mitchell, finché nel 1934 diventò abbastanza ricco e famoso per mettersi in proprio: era ormai uno dei ritrattisti più noti di Brodway, per poi approdare al successo internazionale, riaffermato in due grandi mostre nel 1940 a New York (344 ritratti fotografici di dive e nomi famosi). Ricevette committenze e tenne mostre in Inghilterra, Austria, Germania, Italia, Yugoslavia. Il suo lavoro si caratterizza per l’espressività, a tratti monumentale, del volto umano, raggiunta attraverso un innovativo e magistrale utilizzo della luce. Simbolo di coraggio e determinazione, esempio di riscatto sociale, la sua vita rappresenta in maniera emblematica la storia dell’emigrazione pugliese nel mondo, ricalcando i passi di migliaia di italiani partiti dal loro paese natale con una valigia piena di sogni e speranze, alla ricerca di una vita migliore, ma allo stesso tempo privati del conforto della famiglia e del legame con la propria terra. Terra di cui Oggiano mai si dimenticò: sposò una calabrese di New York, ebbe figli e comprò ai genitori una villa al paese natìo. In Italia tornò solo due volte: la prima alla fine degli anni ’30, una seconda nel 1949 (morì nel 1962). Del periodo “italiano” ci restano i fotoritratti del Duce e dei suoi gerarchi e – successivamente – un ritratto di Pio XII, per ora disperso. Il ritratto di Mussolini è impressionante: a parte l’uso del flou (tipico della fotografia dell’epoca), è come se Oggiano abbia saputo leggere l’anima del suo uomo, che più che Duce appare più come un padre di famiglia italiano o se vogliamo il capo del villaggio. Nulla della retorica fascista voluta dallo stesso Mussolini, che qui ha riposto assoluta fiducia nel fotografo – è infatti un ritratto ufficiale. Ma cosa caratterizza lo stile di Oggiano, vero mago della luce? I suoi ritratti sono tutti a inquadratura alta (“waist-up”) o facciali, in bianconero con luci di schiarimento e ritocco. I toni – pur contrastati – restano così molto morbidi e sfumati.

In seguito Oggiano è stato dimenticato: la sua fotografia è troppo legata a uno stile culturalmente superato. E’ stato però rivalutato negli ultimi dieci anni negli Stati Uniti e in Italia attraverso una serie di mostre e studi specializzati (1). In Italia segnalo la collettiva del 2013 a Oria (2, 3) e quella monografica, sempre a Oria, nel 2022, curata dall’architetto Alessio Carbone, dove la famiglia ha contribuito anche con cimeli personali (4). La nipote mi ha parlato della “vecchia” villa dove erano conservati oggetti personali, foto, quadri e documenti, pazientemente riordinati da Alessio Carbone, peraltro concittadino di Oggiano. Della mostra non è stato stampato un catalogo, ma in compenso Oria ha intitolato al suo figlio una piazza. Ma a questo punto propongo un progetto visionario: Ralph Oggiano merita un film o uno sceneggiato televisivo. La sua storia così emblematica ha tutti i numeri per avere successo: il giovane emigrato italiano, la gavetta a New York, il successo, la famiglia e le stesse immagini fotografiche sulla cui elaborazione Oggiano manteneva il segreto per non rivelar nulla ai concorrenti. Anche l’incontro con Mussolini deve essere stato particolare, vista l’innata diffidenza del Duce verso il prossimo. Cosa manca per un film? Almeno tre elementi: un regista (pugliese o italoamericano), un produttore che si muova bene tra l’Italia e New York, più i contributi della regione Puglia, finora ben generosa con chi vuole produrre cinema ambientato nella Regione. E’ un sogno? Anche quello di Ralph Oggiano lo era.

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NOTE:

  1. David S. Shields, Ralph Oggiano, in Broadway Photographs – Art Photography & The American Stage 1900-1930,  (www.broadway.cas.sc.edu)
  2. https://www.exibart.com/artista-curatore-critico-arte/ralph-oggiano/  
  3. https://news.oria.info/oria-shoots-prestigiosa-mostra-fotografica-presso-palazzo-martini/201325254.html
  4. https://www.brindisireport.it/eventi/mostre/ralph-oggiano-figlio-oria-strego-usa-foto-mostra.html

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Marco Corsi “E venne l’alba”

Marco Corsi non è nuovo alla poesia, infatti la silloge “E venne l’alba”, Edizioni Ensemble 2023, segue “Voci senza voci” edito dalla stessa casa editrice nel 2018. Presentata nella splendida cornice del Salone della Biblioteca Angelica (2 dicembre 2023), la silloge è stata introdotta da Amedeo di Sora, che ha curato anche la prefazione al testo con il breve ma intenso saggio “Il mistero della poesia” in cui, tra l’altro, sottolinea la preziosa fonia delle parole usate da Corsi. Del resto Amedeo di Sora è un poeta, ma è anche un attore ed un vocalista, pertanto riesce a cogliere in particolare questa componente basilare del linguaggio poetico.
Le poesie raccolte si susseguono talvolta in modo un po’ criptico; alcune hanno il titolo ma molte sono senza e pertanto per citarle riporto il primo verso seguito da puntini di sospensione; in mancanza di indice, il testo in una pagina ora è chiaramente relativo ad un solo testo poetico, anche se scandito da una spaziatura che varia, altre volte invece sono presenti più testi. Ma infondo la poesia non deve essere necessariamente razionale, anzi la razionalità non le appartiene, per cui credo che l’invito dell’autore al lettore sia proprio quello di lasciarsi trascinare da un verso all’altro.
Vari sono i temi affrontati, da quello tragico della guerra (Ai Caduti) alle problematiche proprie della poesia (Elegia amorosa, Poeta caro viandante…), dal rapporto col mistero divino (Io e Dio) alle reminiscenze di una cultura classica (Euridice 2.0). Ma ciò che pervade tutte le liriche è la natura e i suoi mutevoli aspetti in relazione alle ore, al tempo atmosferico ed alle stagioni, una natura palpitante e ricca di mille voci: «Il corteo della pioggia / sui rami / tinnava / una prosa di fiori».
Con la sintesi che è propria della poesia ecco emergere quadretti quasi leopardiani come all’arrivo della sera, quando i bimbi ormai stanchi raccolgono il richiamo delle madri, la luna appare nel cielo e si ode il frinire della cicala ritardataria (Bisbigliano ultime ore del…).
Tra gli elementi più amati dal poeta c’è sicuramente il mare, tanto da spingerlo a dichiarare: «In quell’attimo volevo essere / mare» e da dedicargli una poesia (Mare). E il mare serpeggia lungo tutta la silloge: il poeta ne ascolta l’eco fino a che si allontana; lo vede incaponirsi sul molo; lo sente partecipe del suo stato d’animo e schiumare frenetico; i suoi occhi patiscono ingannati dal tremolio delle onde.
E gli umani? Appaiono raramente, qua e là, e sono figure femminili: la madre (Angelo caduto) e l’amata, cui dedica la lirica più breve della silloge: «Dissolvenze di labbra / in quest’alba indicibile».
“E venne l’alba” è una raccolta da leggere ed interiorizzare fino a che le tante atmosfere naturali, altamente suggestive, entrino in noi per lascarci con l’animo piacevolmente appagato: «L’iride embrione / e il cielo setacciava le nubi / già irritate dal vento, ora, / abbandonate alla dissolvenza…».


E venne l’alba
Autore: Marco Corsi
Editore: Ensemble, 2023, pp. 66
Prezzo: 13,00 €

EAN: 9791255710783