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Verità e Giustizia per Giulio Regeni, una battaglia europea!

  • di EuropaNow!

Sono passati quattro anni da quando il giovane ricercatore Giulio Regeni è stato rapito al Cairo, atrocemente torturato e ammazzato, il corpo lasciato in un fossato lungo un’autostrada. Da allora, malgrado il loro impegno costante, i magistrati italiani che indagano sull’accaduto si sono scontrati con un muro di gomma politico, eretto dal regime egiziano di al-Sissi, che ha cercato in mille modi di depistare le inchieste (compresa l’uccisione di cinque innocenti, falsamente accusati di essere gli autori dell’omicidio) per impedire l’accertamento della verità e l’affermarsi della giustizia.

Con intensità alterna, le autorità italiane hanno chiesto conto al Cairo della vicenda, ma fino a oggi senza esito. Ogni mese che passa allontana la speranza di identificare e condannare i responsabili. La magistratura italiana alla fine dello scorso anno ha presentato al parlamento le conclusioni dell’inchiesta, in cui afferma in sostanza che quello di Regeni fu un omicidio di Stato. In questa vicenda, l’Italia è stata gravemente e ciecamente lasciata sola. Nel maggio 2016, Il governo britannico aveva chiesto “un’inchiesta trasparente per rispondere alle preoccupazioni della comunità internazionale sulla sicurezza degli stranieri in Egitto”. Ma niente di più. Poche settimane prima il presidente francese François Hollande, durante un viaggio ufficiale al Cairo, aveva evocato la questione dei diritti umani in Egitto, il caso Regeni e quello di Eric Lang, un insegnante francese picchiato a morte in un commissariato di polizia. Ma il numero uno francese dell’epoca aveva anche subito rassicurato che la “relazione speciale”, economica e militare, con il presidente Abdel Fattah al-Sisi non era in discussione. Da allora, la questione è scomparsa delle agende politiche e diplomatiche dei dirigenti europei, sacrificata sull’altare dei rapporti commerciali e della “stabilità” dell’Egitto, proclamata dal regime.

In realtà è dal 2016 che i Partners europei avrebbero dovuto accompagnare gli sforzi italiani, come anche i genitori di Giulio Regeni avevano chiesto davanti al parlamento europeo. Avrebbero dovuto richiamare anche loro gli ambasciatori in Egitto, per lanciare il messaggio che il caso Regeni riguarda tutta l’Unione europea, e non solo l’Italia, perché Giulio Regeni era prima di tutto un cittadino europeo. Non è difficile immaginare che in un simile scenario le autorità egiziane avrebbero avuto un atteggiamento diverso e, incalzate dalla richiesta di verità congiunta e determinata dei 28 paesi europei, senz’altro più collaborativo. Invece sappiamo che è andata diversamente. Non avendo ricevuto il sostegno delle altre capitali dell’Unione, il governo Gentiloni nell’agosto 2017 ha rimandato il proprio ambasciatore, insieme all’implicito e inevitabile messaggio al Cairo che il rapporto bilaterale non poteva più essere condizionato dal caso Regeni.

L’Europa ha cosi perso un’occasione di mostrare solidarietà verso l’Italia, ma ha anche intaccato la sua stessa ragione d’essere. Perché chiedere giustizia per il giovane ricercatore friulano avrebbe significato affermare che l’Unione europea non si fonda solo sulla convenienza di stare insieme per affrontare le sfide del XXIesimo secolo e le nuove grandi potenze mondiali, ma che si basa prima di tutto su principi comuni di libertà e di rispetto dei diritti umani. L’Ue non è un patto di azionisti. È un unione politica che fonda le sue radici nel ricordo delle tragedie del Novecento (le due guerre mondiali e la lotta contro tutti i totalitarismi) e la volontà di superarle. Per questo, oggi, tocca a tutti i cittadini e tutte le cittadine europei mobilitarsi per esigere che i loro rappresentanti nazionali e europei facciano sentire un voce coesa, costante e determinata in direzione dal Cairo. Ogni capo di Stato o di governo, ministro o delegato dell’Ue, andando in Egitto o ricevendo un esponente egiziano, dovrebbe essere spronato dall’opinione pubblica e dai media europei a chiedere instancabilmente e con fermezza, verità per Giulio Regeni. La mobilitazione sarà lunga e difficile ma è l’impegno che i cittadini europei sono chiamati a prendersi per Giulio Regeni e per loro stessi.

Accanto a Amnesty, è un compito che anche l’associazione EuropaNow! cerca di assumersi. Nella consapevolezza che voler fare luce sulla scomparsa di Giulio Regeni significa anche riaffermare il nostro sostegno di cittadini europei a tutti cittadini egiziani che lavorano con coraggio per la verità e che sono regolarmente minacciati dalle autorità. E più in generale, lanciare un messaggio di attenzione, solidarietà e fratellanza con i democratici egiziani che credono fermamente che il rispetto dei diritti umani sia un diritto universale, che non ci sono regioni del mondo dove le libertà fondamentali possano essere messe in secondo piano e dove il rapimento, la tortura e l’uccisione di un ricercatore, perché avvenuti in Egitto, possano rimanere impuniti.

Il 25 gennaio, giorno del rapimento di Giulio Regeni, invitiamo quindi le cittadine e i cittadini europei ad appendere alla finestra striscioni, cartelli, qualsiasi supporto in qualsiasi lingua per chiedere “Verità e Giustizia per Giulio Regeni”.

Pubblicato 2020
Articolo originale
dal blog EuropaNow!

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2020: Le Ombre dei massimi sistemi per dei Buoni propositi

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È l’inizio di un nuovo anno che offre l’occasione alle varie testate giornalistiche di esercitarsi in pronostici e asserzioni su grandi e piccoli temi, tra personali propositi e auspici collettivi.

Dal settimanale francese Le Monde Diplomatique, con l’editoriale di Serge Halimi De Santiago à Paris, les peuples dans la rue https://www.monde-diplomatique.fr/2020/01/HALIMI/61216, ci si sofferma sulle prospettive delle varie forme di dissenso contro i differenti governi che, dal Medioriente al Sudamerica, avvolgono il Pianeta. Manifestazioni che il 2019 lascia in eredità, senza alcuna soluzione, al 2020, di manifestanti per strada per opporsi coraggiosamente alle egoistiche visioni dell’ esercizio del potere, come il nascente movimento delle Sardine che sta varcando i confini italici per promuovere una quotidianità senza partigianerie ideologiche ed esclusioni.

Mentre Daniel Franklin (The Economist) si addentra in un ampio sguardo su The World in 2020 https://worldin.economist.com/edition/2020/article/17308/world-2020, passando dalla politica alla società, dall’economia gli anniversari come quelli di Raffaello (500 anni dalla morte), 400 da quando Mayflower salpò per l’America, 300 dal fallimento speculativo della Compagnia dei Mari del Sud, ma sarà anche l’Anno per la sostenibilità, con il progetto del Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, dell’incontro sulla biodiversità di Kunming (Cina) nell’ambito della Conference of the Parties to the Convention on Biological Diversity (COP15) sul tema “Civiltà ecologica – Costruire un futuro comune per tutta la vita sulla Terra”, la Cop26 di Glasgow (9 -19 novembre 2020) e il coinvolgimento dei giovani con la “Youth Cop” e soprattutto sarà Greta Thunberg, con Global Strike Future https://www.fridaysforfuture.org, ad essere ancora uno stimolo ai governi sul Climate Change.

I propositi del 2020 di Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale, sono più personali, ma che potrebbero avere delle ripercussioni sulle buone azioni altrui, come l’astenersi dall’acquistare l’acqua minerale in bottiglie di plastica o “Essere gentile, essere professionale, ma avere sempre un piano per uccidere chiunque incontro. Fare pace con Roma. Imparare a fare i selfie.”

Poi ci sono le personali speranze per un 2020 capace di disperdere ogni ombra accumulata dal 2019, ostacolando le strumentalizzazioni di ogni protesta e perché i popoli trovino appagate le loro rivendicazioni.

In un 2020 capace ad insinuare un barlume di umanità in tutti gli estremisti che non accettano altre culture, incapaci di dialogare con gli altri, imbarbariti dalle loro chiusure, che trovano “infedeli” in ogni angolo di strada e innalzano muri ovunque.

Un’unica barriera può essere ammessa su questa Terra ed è quella per fronteggiare razzismi di colore e culturali.

Un Anno che doni la raucedine ammutolendo gli strilloni di ogni tipologia, un poco di lentezza agli invasati della frenesia e della velocità, alzare finalmente lo sguardo sul Mondo al popolo che vive con gli occhi incollati sugli schermi di smartphone e tablet, espropriare ogni avere a ogni persona convinta di possedere anima e corpo degli altri esseri viventi, un inciampo a chi corre per aggredire un’altra persona, un atterraggio sulla schiena a chi è abituato a guardare il proprio ombelico e non ha mai osservato il cielo, la rugiada agli aridi di cuore, la poesia agli avidi, l’amore agli egoisti.

Ma soprattutto nel 2020 spargere coraggio sul capo dei timorosi nel difendere i più deboli, nell’accogliere gli altri, nel riconoscere e rispondere a chi chiede un aiuto.

Clima: Da una delusione alla Green Deal europea

CO2

La 25ma Conferenza sul Clima (Climate Change Conference) si è conclusa senza alcuna buona intenzione che aveva stigmatizzato le precedenti Cop, ma solo delle parole, come parole sono anche gli ammonimenti degli scienziati e delle persone che scendono per le strade e chiedono ai governanti un cambiamento di politica verso la conservazione dell’Ambiente.

L’incontro madrileno sul clima, se non è stato un fallimento, è stato sicuramente deludente, dopo i grandi propositi della Cop21 di Parigi, fa retrocedere le politiche sul Clima a prima del Protocollo di Kyoto (Cop3 1997). Ora resta il 2020 come l’ultima occasione perché le nazioni industrializzate possano trovare un accordo sul taglio delle emissioni di CO2 che non penalizzi con carestie e alluvioni le piccole comunità, anzi le possa aiutare verso uno sviluppo sostenibile.

Gli appuntamenti di avvicinamento alla Cop26 di Glasgow (9 -19 novembre 2020), prevedono una “pre Cop” milanese di ottobre, per definire tutti i contenuti del negoziato e il coinvolgimento dei giovani provenienti da tutti i 198 paesi, con la “Youth Cop”.

La Youth Cop potrà essere l’occasione per le nuove generazioni di passare dalla protesta alla proposta ed a Glasgow verrà messo in scena un altro gioco delle parti, per difendere la paura di alcuni paesi (Polonia, Australia, Cina, Stati uniti, etc.) a dover rinunciare all’estrazione ed all’utilizzo del carbone.

È difficile mettere d’accordo centinaia di nazioni, come dimostrano 25 anni di incontri, con pratiche coscienziose per la salvaguardia del Pianeta, mentre il massimo che si è riusciti ad ottenere sono i consensi su vaghe parole, consegnando l’attuazione delle buone intenzioni all’individuale impegno.

Non sarà il raggiungimento di un accordo globale tra nazioni a dare il futuro al nostro Pianeta, ma l’impegno delle amministrazioni locali e delle singole comunità.

Il governo statunitense non crede ai cambiamenti climatici, ma la California, New York, Maryland e Connecticut hanno intrapreso delle politiche per rendersi indipendenti dai combustibili fossili, seguendo autonomamente le indicazioni di Parigi, sfidano l’ottusità di Trump.

Singoli stati non sono una nazione, ma possono dare il buon esempio per rendere la vita migliore per tutti, affrontando la desertificazione, evitando l’innalzamento delle acque, scongiurando la scomparsa di isole e spiagge, con l’aria respirabile.

Grazie alla rete internazionale di amministrativi locali che nel 1990 diede vita all’Alleanza per il clima (Climate Alliance) si è potuto superare gli scetticismi e varare delle iniziative per proteggere il clima mondiale.

In Olanda è la Corte suprema dell’Aja a sollecitare il governo di rispettare gli articoli 2 e 8 della Convenzione Europea dei Diritti Umani sul diritto alla vita ed al benessere delle persone, riducendo del 25% le emissioni di gas serra entro la fine del 2020, rispetto al 1990.

Quello che non riescono a decidere i politici lo fa  la Magistratura indicando la strada per delle scelte sostenibili, ma non è, per fortuna, sempre così ed ecco degli amministratori locali che sperimentano termovalorizzatori per un teleriscaldamento a freddo e magari vincendo un premio come migliore Architettura Italiana per la committenza privata all’impianto del quartiere di Figino, nella periferia occidentale di Milano, o nel comune bresciano di Ospitaletto.

Non saranno i termovalorizzatori di Copenaghen, Vienna o Parigi, ma è un passo per superare le infondate paure della dispersione di polveri e CO2 da impianti che non solo smaltiscono la nostra incapacità di contenere l’appartenenza ad una società consumistica, ma fornendo  energia senza l’utilizzo di combustibili fossili.

Termovalorizzatori interrati o capaci di esprimere tutta la loro bellezza architettonica alla luce del sole, per smaltire i rifiuti producendo energia, è una soluzione da prendere in considerazione come alternativa alla continua individuazione di discariche a cielo aperto che non sono apprezzate dalle comunità.

Il progetto di una Green Deal europea, annunciata dalla Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, comincerà a dare i primi frutti per un continente climaticamente neutro per il 2050, con una roadmap in 50 azioni, dove saranno i singoli comuni e regioni a doversi muovere, soprattutto nel meridione, per fermare l’offesa all’ambiente, rendendo l’impronta umana meno invasiva.

Il Green Deal della von der Leyen è più mirato dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile promossa dall’ONU https://www.unric.org/it/agenda-2030, oltre ad avere un maggior potere persuasivo di un qualsiasi organismo che in definitiva lascia sempre alla buona volontà dei singoli.

Siamo nell’era geologica dell’Antropocene, dove l’umanità industrializzata dimostra tutta la sua voracità, con un dispendio di energie e di materie, ferendo il Pianeta con il continuo distruggere e costruire, nascondendo i rifiuti delle malefatte in luoghi strappati alla Natura ed agli altri esseri viventi, ma viviamo di paesaggi da cartolina photoshoppata o stiamo in fila per salire su vette innevate o ci immergiamo in acque cristalline tra pesci variopinti, senza rendersi conto di quante microplastiche stiamo disperdendo con abiti e cosmetici.

Greenpeace ritiene che gli sforzi proposti da Ursula von der Leyen siano sufficienti, perché “la natura non negozia”, ma è già molto per decenni d’inerzia e  comunque saranno sempre i singoli a salvaguardare il futuro del Pianeta ed in molti stanno lavorando ad utilizzare l’opera dei batteri per fornire energia.

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Qualcosa di più:

Clima: Una buona pratica verde
Greta Thunberg | Un Clima che cambia le generazioni
Europa: Il clima delle nuove generazioni
Migrazione | Conflitti e insicurezza alimentare
Trump: i buchi del Distruttore
Trump: un confuso retrogrado
Trump: un uomo per un lavoro sporco
Clima: Parole che vogliono salvare la Terra
Conferenze su internet e sul clima nei paesi del Golfo: sono il posto giusto?
Il 2012 è l’anno dell’energia sostenibile. Tutte le iniziative a sostegno dell’ambiente
Festeggiamo le foreste: abbattiamo gli alberi
Immondizia e sud del mondo: un’umanità celata dalle discariche
Un’economia pulita
Il Verde d’Africa: sul rimboschimento nel continente
Cibo: senza disuguaglianze e sprechi
Spreco Alimentare: iniquità tra opulenza e carestia
Gli orti dell’Occidente
Ambiente: Carta di origine controllata

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“Vento fa bene ai sogni” (Peter Handke)

Il premio Nobel per la letteratura è sempre stato qualcosa di anomalo rispetto agli altri: se è oggettivamente possibile stabilire un metro di giudizio per valutare i contributi scientifici, siano essi elaborazioni teoriche o risultati di ricerche di laboratorio, è impossibile giudicare la letteratura col metodo sperimentale. Con quale autorità si può valutare un’opera scritta in una lingua diversa dalla tua, riuscendo a entrare nella cultura e nella mentalità della società all’interno della quale è stata concepita? E quali sono i fondamentali su cui basare il giudizio, a parte la capacità di interpretare il proprio tempo o di affrontare temi umani universali? E quanti membri della Reale Accademia Svedese delle Scienze hanno mai scritto un romanzo o una poesia o almeno qualche saggio di critica letteraria? Alla fine l’Accademia finisce per valorizzare scrittori mai sentiti o – al contrario – santifica in ritardo i santoni della letteratura internazionale ancora in vita. Positivamente, si sono anche valorizzate letterature minori, si direbbe con alternanze precise fra culture e continenti e contro il conformismo della critica letteraria mainstream, soprattutto anglo-americana. A trarne vantaggio spesso sono stati i piccoli editori, miracolati da un’impennata delle vendite del libro di un oscuro poeta africano (Wole Soyinka) o di un mitteleuropeo sopravvissuto a due guerre e salvato dal museo delle culture estinte (penso a Jaroslav Seifert, a Elias Canetti, a Isaac Bashevis Singer). Tutti i premiati sono campioni della parola scritta, con alcune eccezioni, visto lo sberleffo del Nobel a Dario Fo o la bizzarra scelta di santificare Bob Dylan, i cui testi sono inscindibili dalla performance musicale. Ma almeno Bob Dylan tutto ha fatto meno che premere e tramare per il premio, diversamente da Heirich Boll e Gunther Grass, che in questo somigliavano a certi loro personaggi. Ufficiale invece il pressing operato per tre volte dalla nostra Accademia dei Lincei a favore di Mario Luzi, finché il Nobel a Dario Fo ha convinto l’Accademia a non proporre mai più nessuno. Ma sarà un caso che il numero delle traduzioni in svedese di opere letterarie straniere sia sempre molto alto?  E che dire delle occasioni mancate, da Jorge Louis Borges a Philip Roth, tanto per dirne almeno due? E che fine hanno fatto alcuni illustri sconosciuti di cui nulla sapevamo? Date per curiosità un’occhiata all’elenco ufficiale (1) e chiedetevi chi sono alcuni dei premiati e che fine hanno fatto i loro libri. Tra l’altro, gli scandinavi sono proprio bravi: in 112 anni, 15 vincitori provengono da Svezia, Norvegia, Danimarca e Islanda. I nomi?  Non solo i noti Selma Lagerlof e Knut Hamsun e il meno noto Johannes Vilhelm Jensen (autore de La Gradiva, analizzata da Freud e Jung) , ma anche Bjornstjierne Bjornson, Carl Gustav Verner von Heidenstam, Karl Adolph Gjellerup, Henrik Pontoppidan, Sigrid Undset, Erik Axel Karlfeldt, Par Fabian Lagerkvist, Halldor Laxness, Nelly Sachs, Eyvind Johnson, Harry Martinson, Tomas Transtromer. Quanti di noi hanno letto le loro opere?

Detto questo, parliamo di Peter Handke, sulla cui premiazione sono piovute pesanti critiche per le sue simpatie dichiarate per la Serbia. Diciamo intanto che proprio per questo l’Accademia si è dimostrata più coraggiosa del solito, oppure non ha capito bene che la letteratura super partes non esiste. Generica come al solito la motivazione: “per un lavoro influente che con ingegnosità linguistica ha esplorato la periferia e la specificità dell’esperienza umana” (si vedano tutte le altre: sembrano scritte in serie da uno svogliato professore di liceo). Ma chi è Peter Handke? Austriaco, classe 1942 e attivo dal 1966, ha dato il meglio di sé nella seconda metà del secolo scorso e le oltre cento traduzioni in italiano delle sue opere, oltre che ben curate, dimostrano un notevole interesse da parte dei nostri editori, anche se da noi Handke resta un autore d’élite. Il grosso pubblico lo conosce soprattutto per la sceneggiatura del film di Wim Wenders Il cielo sopra Berlino (1987), ma la sua attività letteraria comprende anche romanzi, articoli, saggi, pezzi teatrali, poesie e resoconti di viaggio. Diciamolo: è uno scrittore completo. Ricordiamo il romanzo Prima del calcio di rigore (1970), da cui Wim Wenders trasse un film, ma anche la pièce teatrale Insulti al pubblico (1966), il romanzo Breve lettera di un lungo addio (1972), la sceneggiatura di Falso movimento (1975), La donna mancina (1976), Storia con bambina (1981), Pomeriggio di uno scrittore e Intervista sulla scrittura (1987). Cito solo alcune opere tradotte e note al pubblico italiano, ma la sua produzione è ben più vasta e continua; l’ultima opera è del 2016, anche se culturalmente Handke resta uno scrittore del secolo scorso. Mi preme però focalizzare la nostra attenzione su due diari viaggio, da noi entrambi stampati da Einaudi: Un viaggio d’inverno ai fiumi Danubio, Sava, Morava e Drina, ovvero giustizia per la Serbia (1996) ; Un disinvolto mondo di criminali. Annotazioni a posteriori su due attraversamenti della Jugoslavia in guerra – marzo e aprile 1999 (2000). Sono diari rivelatori del suo atteggiamento verso la guerra civile jugoslava e le operazioni della NATO contro la Serbia di Milosevic’( 1999), culminate nei 72 giorni di bombardamento di Belgrado. E’ una guerra di cui mi sono già occupato (vedi: Perché la NATO ha bombardato la Serbia, di Biagio Di Grazia) e che vede crimini e responsabilità ben distribuite fra le diverse etnie che componevano la federazione. Rifiutandosi di attribuire le colpe a una parte sola, quella di Peter Handke è stata una voce fuori dal coro, che gli ha provocato la censura di tutta la cultura europea e americana, nonché le rimostranze delle vittime del massacro di Srebrenica (1995) e dei politici e accademici albanesi e kosovari. Dal canto suo Handke ha dichiarato di aver manifestato un pensiero a titolo di scrittore e non di giornalista e che le sue non sono idee politiche, il che è egualmente discutibile. Lessi all’epoca con interesse Un viaggio d’inverno.. (vedi supra) e devo ammettere che, pur essendo osservazioni e appunti di viaggio di uno scrittore e non di un giornalista, la politica non è non può rimanere estranea alla narrazione. Lui descrive quello che vede e non deve dimostrare nulla, ma il messaggio profondo mina le certezze del lettore abituato a vedere tutto in televisione. Alla base dell’atteggiamento di Handke c’è però un elemento forte: sua madre apparteneva alla minoranza slovena che vive in Austria – in Carinzia, zona di confine – minoranza che abbiamo anche noi italiani in Friuli e a Trieste. La Slovenia è stata per mille anni una colonia austriaca, separata dall’Impero asburgico solo da Napoleone e poi diventata autonoma dopo il 1918, con la fine dell’Impero. Ma anche oggi chi va in Slovenia ha l’impressione di trovarsi in un paese di lingua slava ma di cultura germanica. In sostanza, la Jugoslavia ha dato dignità e identità agli sloveni e le operazioni contro la Serbia avevano lo scopo di distruggere il non allineamento della regione all’imperialismo americano. Tesi non solo di Handke, ma da lui portata avanti come questione innanzitutto di identità, che è il problema con cui si deve misurare qualsiasi scrittore. In effetti, Austria, Germania e Vaticano riconobbero immediatamente la secessione slovena (1991), favorendo di fatto la guerra civile e la disintegrazione della Jugoslavia fondata da Tito, il quale però non aveva mai considerato la Federazione una pura espansione della Serbia, come invece Milosevic’ e prima di lui il Regno di Jugoslavia (1929). Peter Handke andò addirittura a trovare Milosevic’ all’Aja e affermò pubblicamente che non era un dittatore e il macellaio dei Balcani come la propaganda lo dipingeva, ma neanche ha mai socializzato con i politici serbi, per quanto riconoscenti. Questo perché per uno scrittore la Serbia diventa una metafora, esempio di de-realizzazione dell’informazione. “Tutti si aspettavano che iniziassero i bombardamenti – scrisse nel 1999 in un’intervista – ma quando accadde davvero, fu come una finzione, come se non fosse reale… Ma è divenuto reale!”

Note

  1.  (https://it.wikipedia.org/wiki/Vincitori_del_premio_Nobel_per_la_letteratura )

Libertà e Tradimenti: Ieri come Oggi

….63 anni fa si consumava il terribile ed eroico sacrificio dei patrioti ungheresi in lotta contro l’oppressione sovietica.. Imre Nagy,il presidente ungherese dissidente lanciando il suo ultimo drammatico appello ai paesi occidentali fu abbandonato insieme alla sua gente ai carri armati russi.

Al solito l’intellighenzia comunista italiana appoggiò l’intervento sovietico (tranne il dissenso di Di Vittorio) tacciando di borghese revisionismo il desiderio di libertà e democrazia del popolo ungherese.

Molti intellettuali in Italia come in Europa si dissociarono dalle direttive del partito.

Ma Budapest e l’Ungheria fu abbandonata alla sanguinosa purga del Cremlino: operai,ragazzi,studenti,semplici cittadini resistettero fino all’ultimo,fucili contro carri armati! Il KGB arrestò e mandò a morte tutti i dissidenti,il presidente Nagy fu imprigionato e impiccato come un comune criminale…

Ricordiamo i ragazzi ungheresi del ’56 e tutti quelli che hanno combattuto ieri come domani, ovunque nel mondo, in nome della libertà e della dignità dell’uomo.