Archivi categoria: OLTRE L’ITALIA

Partita a scacchi nel Mediterraneo: Il Poseidon

di Aldo Ferrara

Lo stato dell’arte nella situazione del Medio Oriente

Mentre il Presidente Trump sposta a Gerusalemme l’Ambasciata USA, con tutte le implicazioni politiche che ciò comporta, l’Alto rappresentante Ue Federica Mogherini si affretta a dichiarare di aver “… rassicurato sulla ferma posizione dell’Ue, che lo status finale di Gerusalemme come capitale futura di entrambe gli stati, sia decisa con negoziati che soddisfa(i)no le aspirazioni delle parti”. Lo zoom politico ci riporta dunque, dal triangolo del Nord-Irak curdo verso quel versante da decenni condizionato da eventi bellici. La nostra interpretazione geopolitica vede anche nel petrolio una delle cause, neanche nascosta,di quanto si apprende nei media.

Il petrolio genesi di nuovi equilibri nel MO

Lo scacchiere del mediterraneo orientale si arricchisce di un nuovo evento. Cipro, Grecia, Italia e Israele hanno concertato il progetto di un gasdotto idoneo a ridurre la dipendenza dell’UE dalla Russia.

dal sito IGI-Poseidon
Il novo gasdotto EastMed. Dal sito IGI-Poseidon

La progettazione e costruzione sono di competenza della IGI Poseidon, joint venture della società italiana Edison e della società greca Depa. Il gasdotto, denominato EastMed, al termine della costruzione avrà una portata di ben 16/20 miliardi di metri cubi di gas/anno dal bacino levantino. Avrà la sorgente nel tratto di Mediterraneo tra Libano, Israele e Cipro in direzione Grecia e Italia. L’anno di esercizio definitivo è fissato nel 2025. La sua portata a regime consentirà l’afflusso di gas & greggio pari al 5% del consumo annuale dell’UE, ma ciò significa anche compensare i 100 miliardi di metri cubi all’anno che l’UE acquista dalla Russia (Andrew Rettman, EuObserver.com, 6 dicembre 2017). Il gasdotto presenta costi elevati, pari a oltre 4 miliardi di euro, sia pure con un contributo della UE di 2 miliardi di euro in conto della sicurezza energetica. Beninteso, non è dato sapere i prezzi con cui gas e petrolio saranno immessi nel mercato. Con i suoi 1.900 km è, al momento, la più lunga pipeline sottomarina al mondo e quindi presenta pari problematicità di tipo ambientale, basti immaginare un lunghissimo tunnel in fondo al Mediterraneo a rischio quotidiano di sversamenti.

Le implicazioni politiche

È il tragitto del nuovo gasdotto che induce a riflessioni di ordine geopolitico. Il tragitto sembra evitare le coste turche, quasi a conferma che il fascio degli oleodotti che attraversa quella nazione sia considerato a “rischio politico”. Inoltre questo gasdotto sembra la risposta politica al suo omologo del Nord, il North Stream II, il cui tragitto evita accuratamente le coste del Nord Europa, specie quelle polacche e danesi nella sua traiettoria verso lo sbocco tedesco, nel distretto di Greifswald.

La seconda considerazione riguarda i Paesi promoters. Appare evidente che nella situazione attuale del MO, nessuno dei Paesi promotori avrebbe sviluppato questo progetto, senza l’approvazione tacita o esplicita dell’amministrazione statunitense. Inoltre si evidenzia come sia interessata anche l’Italia in questo progetto. Il gasdotto, infatti, dopo aver percorso l’intero Mediterraneo orientale in senso trasversale, dovrebbe sfociare nelle coste pugliesi.

È prevedibile dunque una nuova sollevazione della popolazione già in lotta per la foce del gasdotto TAP nella spiaggia salentina di S. Foca.

La terza considerazione è che appare improbabile che il Governo italiano non ne fosse a conoscenza. Tuttavia l’Ente nazionale di riferimento, l’ENI, non è interessata nel progetto, affidato a una struttura, la IGI Poseidon, società in joint al 50% tra Edison e la greca Depa. Il beneplacito arriva indirettamente da una dichiarazione governativa italiana. Il ministro dell’industria italiano, Carlo Calenda ha dichiarato a Roma: “Siamo la seconda economia manifatturiera in Europa, la diversificazione e la qualità delle nostre fonti energetiche sono fondamentali per il Paese e la sua competitività”. Il ministro, che nella compagine governativa attuale è forse colui il quale gode di maggior credito, sembra quasi voglia dire: Diversifichiamo le fonti e con esse le industrie italiane coinvolte… Ciò significa che il ruolo dell’ENI resta universale, ma per questo progetto forse era più adatta una Compagnia privata, quasi che questa possa essere sganciata dagli obblighi internazionali italiani.

Che sia un’operazione ormai decisa lo dimostra la firma apposta a un memorandum d’intesa sul progetto EastMed, a Nicosia, martedì 5 dicembre 2017, dai ministri dell’Energia cipriota, greca e israeliana con l’ambasciatore italiano a Cipro, in previsione di un accordo intergovernativo per il prossimo anno:

Il Progetto

…”La capacità di progettazione del progetto è stata aggiornata fino a 20 miliardi di metri cubi all’anno, al fine di consentire il trasporto di più fonti di gas, dalla Turchia / confine greco e dalla regione del Mediterraneo orientale.

La strada Il punto di partenza dell’oleodotto è la stazione di compressione, situata nell’area di Florovouni a Thesprotia (regione dell’Epiro) dove si prevede che sia collegata ad altre infrastrutture di approvvigionamento di gas come EastMed e / o IGI Onshore.

Dalla stazione di compressione, il gasdotto continuerà verso l’approdo greco da dove attraverserà la piattaforma greca, discenderà il pendio nel bacino settentrionale dello Jonio, ascenderà il versante italiano e infine raggiungerà la terraferma italiana, a est di Otranto.

Il gasdotto proseguirà poi fino alla stazione di misurazione entro i confini del comune di Otranto, dove sarà collegato al sistema nazionale di trasporto del gas nazionale.

Stato europeo Lo sviluppo del progetto Poseidon è coperto da un accordo intergovernativo tra la Grecia e l’Italia, ratificato dai parlamenti competenti.

Nel 2015, a seguito del contributo del progetto agli obiettivi europei, il gasdotto Poseidon è stato confermato come Progetto di interesse comune (PCI), incluso dalla Commissione UE nella seconda lista PCI tra i progetti del Corridoio meridionale del gas.

Il gasdotto Poseidon è stato incluso anche nell’ultimo piano di sviluppo decennale (TYNDP), in linea con l’obiettivo degli ENTSOG (European Network Transportation System Operators) di creare un mercato unico europeo per il gas e una rete di trasmissione affidabile e sicura in grado di soddisfare le esigenze attuali e future dell’Europa.

Il gasdotto Poseidon ha beneficiato di sovvenzioni europee di ca. 9 milioni di euro attraverso i programmi del piano europeo di ripresa economica (EERP) e dell’energia transeuropea delle reti (TEN-E).”

Conclusioni

Sotto il profilo politico, è un progetto che non riduce certo le frizioni tra UE e la Russia. Ciò porterà a un’ulteriore divaricazione tra Paesi dell’Europa tradizionale e Paesi europei dell’Intermarium di Visěgrad, che sostengono l’indipendenza energetica da Gazprom e Rosneft, le principali aziende della distribuzione dell’oil di matrice russa.

Se queste sono le caratteristiche tecniche dell’oleodotto, ben altre sono le perplessità che suscita.

In primis, il ruolo cardine di Israele in questo progetto può riaprire nuove frizioni politiche, nell’ambito della UE, specie nei rapporti con la governance palestinese. Si pone anche una questione politico-giuridica: affidare a paesi non Membri UE la gestione della distribuzione dell’energia non rientra nel piano Energia 2009 e ripropone, come nel caso North Stream II, la questione degli oleodotti off-shore.

Anche sul piano ambientale pioveranno le critiche: un oleodotto che attraversi l’intero Mediterraneo per ben 1900 km pone problematiche di salvaguardia che metteranno a dura prova i rapporti tra Cipro e Grecia. Peraltro non sarà risparmiato il versante italiano dove i Comuni salentini, riorganizzati in Comuni per la Costituzione, cercano di impedire, a suon di ricorsi, lo sfocio della Trans –Adriatic Pipeline (TAP), a S. Foca, e medesimo comportamento potrebbero avere verso il futuro possibile sfocio del Poseidon nei pressi di Otranto.

Fonti:

Rettmann A. EU states and Israel sign gas pipeline deal,  EuObserver, 6 dic. 2017

IGI Poseidon sito http://www.igi-poseidon.com/en/poseidon

su Frontiere
Articolo originale

 

La ferita di Gerusalemme

La ferita di Gerusalemme

Ha sedici anni Fawzi al-Junaidi, è stato catturato dai militari israeliani durante gli scontri dei giorni scorsi avvenuti a Gerusalemme est. Una foto lo ritrae circondato da una quindicina di soldati, sballottato e condotto di forza, a occhi bendati, su un blindato per essere trasferito in caserma. Per ora è arrestato, seguirà un processo dov’è accusato di lancio di pietre. Il ragazzo nega di aver partecipato alle proteste, era in strada per raggiungere una rivendita alimentare al posto di sua madre malata, ma testimoni ebrei l’accusano di lancio di pietre. La sentenza, prevista per il 18 dicembre, potrebbe condurlo in una delle prigioni dove negli ultimi due anni sono finiti mille ragazzi palestinesi fra i 10 e 18 anni. Parecchi fra loro, dichiara la struttura Internazionale di difesa dei giovani palestinesi (DCIP), reclusi in “detenzione amministrativa” che Israele applica pur in assenza di accuse e di processo, basata su “evidenze secretate” per ragioni di sicurezza.

Avvocati dei diritti che seguono questi prigionieri denunciano un meticoloso ritorno di pestaggi e torture nel periodo detentivo. “Nel corso degli arresti è tornata l’infame rottura delle ossa, quella teorizzata e praticata dalle forze della repressione durante il governo Rabin, in occasione della prima Intifada” ha dichiarato in un’intervista Amad al-Najjar portavoce dei prigionieri palestinesi di Hebron. E ha aggiunto: “Oggi si colpiscono prevalentemente ginocchia e gomiti, così da lasciare i giovani in uno stato di disabilità permanente”. Accade anche questo nella diatriba su chi deve vivere a Gerusalemme, la città santa di tre religioni monoteiste, che da cinquant’anni Israele strappa alle altre due perché musulmani e cristiani sono palestinesi e i palestinesi agli occhi dello stato ebraico sono “terroristi” cui si riservano trattamenti extra legali e illegali.  Anche se hanno sedici anni e se protestano gettando pietre. E pure se non l’hanno fatto.

Enrico Campofreda

Pubblicato 15 dicembre 2017
Articolo originale
dal blog Incertomondo
nel settimanale Libreriamo

Turchia: in barca alla Biblioteca di Celso

Turchia: in barca alla Biblioteca di Celso

Fare della spianata di Efeso un’oasi archeologica collegata al Mar Egeo è uno dei sogni da Terzo Millennio della cangiante Turchia di Erdoğan. Il governo del premier Yıldırım, tramite l’apposito ministero che cura acque e foreste, ha lanciato un concorso per la realizzazione di un canale che porti direttamente dalla costa il turismo in visita allo storico sito. E’ previsto lo scavo di poco più di sei chilometri di canale e un’apposita commissione dovrà scegliere fra 35 progetti. Afferma un comunicato ufficiale: “Un ingresso della lunghezza di seicento metri, in struttura di pietra locale, permetterà l’accesso di yacht e imbarcazioni con una zona di ancoraggio. Accanto sorgerà un ponte per veicoli e pedoni, e mentre le perforazioni geologiche sono terminate ci si appresta a decidere chi eseguirà i lavori”.  L’idea non è nuova, circolava sin dagli anni Novanta, lanciata dal partito repubblicano della municipalità di Selçuk, cui appartiene il distretto. E’ stata rispolverata e inserita nei mega progetti di modernizzazione che hanno caratterizzato i governi dell’Akp da quando Erdoğan, da sindaco di Istanbul è diventato primo ministro, quindi presidente di una nazione che, sulla sua spinta, ha trasformato la Costituzione in un presidenzialismo fortemente accentratore. Secondo i sostenitori un innovatore, restauratore invece – e non in senso architettonico – per i detrattori Erdoğan si è speso moltissimo per trasformare il volto del Paese anche attraverso grandi opere. Tutto è partito da Istanbul, metropoli-simbolo della rinnovata Turchia, cui il presidente tiene in particolar modo, considerandola naturale proscenio della sua ascesa al potere.

Dal 2007 sono sorti: il secondo aeroporto (Sabiha-Gökçen nella Istanbul asiatica), ulteriori ponti sul Bosforo e il tunnel sotterraneo, il secondo canale che smaltisce il traffico navale da e verso il Mar Nero. La smania di cambiamenti che lasciano il segno ha rappresentato la delizia e la croce per il suo propugnatore. Le accuse di tangenti che hanno seguìto certi lavori rappresentano uno dei problemi politici con cui Erdoğan s’è scontrato negli ultimi anni. Ne è coinvolto il clan familiare, col figlio, fratello e cognato dello statista nel sospettato ruolo di collettori dei guadagni straordinari, e depositi bancari ben celati nel paradiso fiscale dell’isola Man. Solo i gravosi problemi che il coriaceo politico turco ha dovuto affrontare nelle crisi internazionali (guerra in Siria) e interne (ripresa dello scontro coi kurdi, tentato golpe contro di lui, attacchi terroristici) hanno messo in secondo piano la vicenda della presunta corruzione, che egli taccia di  congiura politica. Attualmente il progetto del canale verso Efeso non è implicato in nessuno scandalo, però trova perplessità in alcuni  studiosi che temono lo squilibrio di un sottosuolo che si è conservato per millenni. Geologi fanno notare come l’intera regione su cui insiste il sito archeologico sia un terreno di riporto. E c’è chi lancia quest’allarme: con la creazione del naviglio i tratti più invasivi del traffico turistico, che ora si svolgono a Kuşadası (dal controllo passaporti alla presenza di botteghe di souvenir) si riverserebbe sulle banchine dell’area archeologica, facendo perdere al luogo la magìa di un’estatica apparizione. Eppure non contenti, sfrenati sostenitori dell’innovazione sotto braccio a focosi impresari prevedono un ulteriore “servizio”: l’aeroporto di Efeso. Rombante, presso le colonne della mitica Biblioteca.

Enrico Campofreda

Pubblicato 1 dicembre 2017
Articolo originale
dal blog Incertomondo
nel settimanale Libreriamo

© Riproduzione Riservata

Gaza, l’età del bronzo sacrificata alle case

Gaza, l’età del bronzo sacrificata alle case

Il bisogno di case opposto al desiderio di cultura. Su questo discutono gli uffici del Ministero per le abitazioni e un gruppo di archeologi che ha lavorato in un sito risalente all’età del bronzo scoperto venti anni addietro. Accade nella Striscia di Gaza, 360 chilometri quadrati divisi in cinque aree: Rafah, Khan Yunis, Deir al-Balah, Gaza city, Nord di Gaza, dove si addensano 1.700.000 abitanti, cioè 4.570 abitanti per ogni quadrato di chilometro. Con un’autodeterminazione periodicamente soffocata da aggressioni armate di Israele che mietono vittime soprattutto fra i civili, tre devastanti nell’ultimo decennio: Piombo fuso, Pilastro di Difesa, Margine di protezione con circa 4000 morti. E il noto stato di perenne aiuto internazionale dovuto al controllo delle frontiere, operato sul confine egiziano e su quello israeliano dalle Forze Armate di Tel Aviv che spesso impediscono alle merci di entrare e uscire, contraendo o azzerando le poche attività produttive interne. Bloccare il lavoro e creare disoccupazione è una delle strategie usate da Israele per piegare i gazawi, aggravandone le condizioni esistenziali, mentali e fisiologiche. Dati dell’Onu segnalano come l’80% di quella popolazione vive in condizione di estrema necessità o di palese povertà.

Questo panorama conduce gli stessi amministratori a trattare quasi esclusivamente temi primari: sicurezza, nutrizione, abitazioni. Così Ibrahim Radwan, il ministro che s’occupa del problema della casa, questione in continua emergenza, viste le reiterate distruzioni del territorio operata dall’aviazione d’Israele, afferma: “Il nostro bisogno abitativo è enorme, per la sovra popolazione e le distruzioni attuate dai sionisti. Ovviamente teniamo in considerazione la storia, che è anche vita e cultura dei palestinesi, ma dobbiamo cercare un compromesso fra le due necessità”. Più che al compromesso il governo di Hamas pensa a offrire un tetto agli sfollati. E poiché talvolta le demolizioni di edifici ampiamente devastati non è resa possibile dalla mancanza di grandi pale meccaniche o di esplosivo per abbattere le armature di cemento, gli scheletri restano e si cercano nuovi spazi per le costruzioni, cui non sfuggono aree d’interesse archeologico. Chi ha lavorato agli scavi ha recuperato anfore e altri reperti, conservati in appositi magazzini per l’archiviazione prima di essere esposti. Comunque sottolinea che un luogo simile può offrire chissà quante altre sorprese, sacrificarlo per delle costruzioni è un sacrilegio. Un comitato di cittadini ha anche manifestato per preservare la zona da ruspe e sbancamenti, però la burocrazia e il realismo socio-politico incombono e per ora non si fermano.

Enrico Campofreda

Pubblicato 3 novembre 2017
Articolo originale
dal blog Incertomondo
nel settimanale Libreriamo

© Riproduzione Riservata

Migrazione: L’ipocrisia sovranazionali

L’Onu rimprovera l’Unione europea, giudicando “disumana” la cooperazione con la Libia per la gestione dei flussi dei migranti. Precedentemente era il Consiglio d’Europa a chiedere chiarimenti a Roma sugli accordi con la Libia nella gestione dei flussi migratori, il ministro dell’Interno Marco Minniti cerca di rassicurare il Commissario europeo per i diritti umani Nils Muiznieks, affermando di vigilare sul reale rischio di tortura o trattamenti inumani, mentre l’inesistente responsabile della Farnesina Alfano che cerca di tranquillizzare l’Onu volando a New York e il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani risponde indirettamente all’Onu programmando l’invio di una delegazione per verificare cosa sta accadendo.

Critiche all’Italia dopo aver lodato il suo impegno nel Mediterraneo e nell’accoglienza, nonostante la latitanza dell’Ue, oltre ad segnare il progetto dei corridoi umanitari, gestiti da comunità cristiane, come soluzione per la regolamentazione dei flussi migratori, ma ancora nessuno ha sviluppato un’iniziativa finanziata totalmente dalle associazioni, soprattutto con i fondi dell’8%, che li hanno promossi.

Le “scandenti” condizioni nei campi di “raccolta” dei profughi in Libia erano già note tanto da spingere l’Onu ad aprire un centro di transito per i profughi mentre da più parti si era chiesto l’intervento delle Ong, precedentemente accusate di essere in combutta con i trafficanti di esseri umani, nella gestione dei centri.

La confusione è tanta e pensare che solo poco tempo fa l’Onu aveva offerto ai sauditi un posto nella difesa dei Diritti umani! Precedentemente anche la Libia di Gheddafi aveva avuto l’onore di fregiarsi del titolo di difensore dell’umanità, ma d’altronde nel club di Diritti umani sono presenti anche gli Stati Uniti che della pena di morte sono grandi fautori.

Istituzioni sovranazionali che si mostrano, nel migliore delle ipotesi, confuse, appannate nel giudizio, senza una deontologia aperta al Mondo e non ostaggio degli equilibri variabili di un edificio di vetro che simula la trasparenza delle scelte.

Affidare, in piena solitudine, ad una nazione di rapportarsi con un paese senza un unico governo riconosciuto con il quale trattare è da folli o forse da saltimbanchi della diplomazia, con un ministro degli Affari Esteri latitante, specialmente quando appaiono e scompaiono altri “giocatori” per minare gli sforzi italiani e fare i propri interessi, senza guardare in faccia che siano alleati, amici o cugini.

L’accordo italo-libico si è sviluppato in mille rivoli, quante sono le realtà governative “nazionali” e locali della Libia, non sempre cristalline: un po’ come la strategia diplomatica francese che non si allinea alle posizioni dell’Unione europea e agli sforzi italiani.

Gli interessi francesi vanno ben oltre ai Diritti quando c’è fare business, come la Ue, giustificando le chiusure delle frontiere ai profughi con lo sbandierare l’intento di perseguire una politica europea sui flussi migratori.

Una Francia più propensa a concorrere solitaria che a concordare con la Ue un dialogo con l’Africa, come dimostra il viaggio di Macron e Gentiloni si adegua per non trovarsi impreparato al summit Africa Europa.

Un vertice, quello Africa-EU Summit 2017, che ha affrontato, tra il 28-29 novembre ad Abidjan (Costa d’Avorio), vari i temi: commerci, cooperazione allo sviluppo, alla sicurezza, ambiente, relazioni diplomatiche, ma soprattutto la gestione delle migrazioni, oltre che il terrorismo, definendo i ruoli per salvare, così afferma Federica Mogherini, Alto Rappresentante Ue per la politica estera, dall’infero libico tutte quelle persone bloccate nei centri di detenzione: i paesi africani si dovranno impegnare ad accogliere i concittadini e l’Europa a finanziare i rimpatri.

L’Alto Rappresentante Ue per la politica estera ha anche affermato che la tragica situazione dei profughi in Libia era precedente agli accordi che la Ue e l’Italia hanno stipulato con le diverse situazioni politiche libiche.

Flussi migratori che sono anche nei pensieri del governo della Costa d’Avorio che ha “arruolato” rockstar e calciatori per dissuadere i giovani ivoriani, i Millennials che vanno di fretta, la cosiddetta «Génération pressée pressée», a non migrare e soprattutto a non utilizzare i barconi della morte. Non è solo un suicidio, ma si rischia di «fare gli schiavi a Tripoli».

L’Unione europea, oltre alla migrazione, dovrà, prima o poi, affrontare anche l’espansione cinese nel continente africano e il proselitismo turco.

Immediatamente dopo il summit euro-africano ecco il Rome MED – Mediterranean Dialogues (30 novembre al 2 dicembre 2017), con la partecipazione di esponenti di governo e rappresentanti di organismi internazionali, oltre che di società, ad essere un’altra occasione per confrontarsi sui temi della sicurezza e della migrazione.

Il Dialogo mediterraneo è servito al vicepremier libico Ahmed Maitig a minimizzare le polemiche sull’accordo firmato con l’Italia sulla migrazione e rilanciandolo come modello per altri paesi europei, perché la Libia cerca altri partner, scherza sula competitività italo-francese nel tessere duraturi rapporti economici, ma guardando il filmato della Cnn sulla compravendita delle persone non si può dimenticare che la Libia non ha firmato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del ’51.

D’altronde quanti altri paesi dell’area MENA (Middle East and North Africa – Medio Oriente e Nord Africa)? Certamente non i paesi della penisola arabica o gli iracheni, iraniani e siriani.

****************************

Qualcosa di più:

Africa: una scaltra “Democrazia”
Africa: attaccati al Potere
Africa: le Donne del quotidiano
Le loro Afriche: un progetto contro la mortalità materno-infantile
Africa: i sensi di colpa del nostro consumismo
Solidarietà: il lato nascosto delle banche
I sensi di colpa del nostro consumismo
Le scelte africane

**************************

Migrazione | Conflitti e insicurezza alimentare
Migrazione in Ue: il balzello pagato dall’Occidente
Migrazione: Un monopolio libico
Migrazione: non bastano le pacche sulle spalle
Migrazione: umanità sofferente tra due fuochi
Migrazione: Orban ha una ricetta per l’accoglienza
Aleppo peggio di Sarajevo
Migrazione: La sentinella turca
Migrazione: Punto e a capo
Migrazione: Il rincaro turco e la vergognosa resa della Eu
Europa: la confusione e l’inganno della Ue
Europa e Migrazione: un mini-Schengen tedesco
Migrazione: Quando l’Europa è latitante
Un Mondo iniquo
Rifugiati: Pochi Euro per una Tenda come Casa
Siria: Vittime Minori
Europa: Fortezza d’argilla senza diplomazia
La barca è piena
Il bastone e la carota, la questione migratoria

****************************