Archivi tag: Iran

Europa e la geopolitica

La politica estera europea è manchevole nello scacchiere internazionale, escludendo l’accordo sul nucleare iraniano, nonostante un capace Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Unione europea non hanno gli strumenti per offrire una posizione unitaria dei paesi membri verso le varie crisi.

08 GL OlO Ue Europa e la politica estera_Congresso_di_ViennaI paesi membri della Ue, nel dossier libico, sono schierati con la posizione dell’Onu, stando alle varie dichiarazioni, nel sostenere il cosiddetto governo di unità nazionale guidato da Al Serraj, senza un vero esercito e con gruppi armati eterogenei assoldati, incapace di avere autorità neanche sulla sola Tripoli, mentre con il generale Haftar, militarmente compatto e vincente sulle fazioni jadeiste più estreme, rimane attendista nell’aprire un serio canale di dialogo con il padrone della Cirenaica.

A parole sono schiarati con Al Serraj, ma di fatto nel miglior dei casi si disinteressano se non parteggiano per il generale, lasciando che la Francia e l’Italia si muovano in ordine sparso. Parigi ha fatto incontrare i due contendenti per stipulare un cessate il fuoco e indire un referendum, Roma li incontra separatamente per poter organizzare la conferenza sulla Libia a Palermo il 12 e 13 novembre.

Una gara, quella italofrancese, che ha come trofeo gli interessi petroliferi dell’Eni e della Total che provano a trovare una pax sulle sabbie libiche che potrebbe facilitare anche la strada a una risoluzione politica.

Non sarebbe la prima volta che le soluzioni dei conflitti si trovano nei “corridoi” delle conferenze e quello che si prospetta tra l’Eni e la Total potrebbe essere l’inizio di una collaborazione su progetti in Algeria, Libano ed Egitto, ponendo fine all’ostracismo francese verso l’impegno italiano.

Lo sforzo italiano per la conferenza internazionale sulla Libia si è incentrato sul riunire allo stesso tavolo non solo Al Serraj e Haftar, ma anche l’Unione europea con l’Alto rappresentante per gli affari esteri Federica Mogherini, il governo turco, quello egiziano, quello russo ed altri paesi coinvolti nella crisi libica (Tunisia, Ciad, Niger etc.), mentre dagli Stati uniti è arrivata una “approvazione” all’iniziativa. Alcuni degli invitati hanno anche degli interessi nella situazione siriana e normalizzare l’una può acquietare l’altra.

La situazione siriana è un altro dossier dove l’Unione europea non la si vede protagonista, ma neanche invitata, mentre al summit del 27 ottobre ad Istanbul erano presenti la Francia, la Germania, la Turchia e la Russia, che ha spedito gli inviti e dato le carte.

Una riunione preparatoria ad una conferenza sulla Siria dove esporre ai siriani, governativi o ribelli, ma anche alle milizie iraniane un piano di normalizzazione.

Per arrivare a trovarsi ad Istanbul sono stati necessari gli incontri di Sochi e Astana, senza statunitensi ed europei, ma con siriani e iraniani, con il risultato di generiche dichiarazioni sulla necessità di trovare una risoluzione politica al conflitto, con un Assad riluttante ad accettare un compromesso con un’opposizione che in otto anni non è riuscita a scalfire il suo potere.

Anche il 28 e il 29 novembre i russi, i turchi e gli iraniani hanno continuato a disquisire per l’11 volta, nella capitale del Kazakhstan, sul futuro siriano e la spartizione delle regioni occidentali.

L’Onu, con il suo inviato per la Siria Staffan de Mistura, ha portato avanti sconfortanti incontri a Ginevra per accordarsi sul riformare la Costituzione e convocare elezioni politiche, sotto la supervisione delle Nazioni Unite, ma l’unico risultato di tutti questi incontri è stato, almeno per ora, di evitare un ennesimo massacro nella provincia nord-occidentale di Idlib, in cui vivono oggi tre milioni di persone, in gran parte profughi provenienti da altre zone di conflitto siriano.

La Siria potrebbe essere sottoposta ad una spartizione per aree d’influenza, replicando, a distanza di poco più di un secolo, la spartizione di quelle terre, ma questa volta non sarà il diplomatico francese François Georges-Picot e il britannico Mark Sykes a tirare le linee, ma il russo Putin e il turco Erdogan, con l’avallo dell’Iran, mentre, in assenza degli Stati uniti, la Francia e la Germania saranno i testimoni.

Ma gli Stati uniti sono presenti, con il loro continuo minacciare, nello scenario internazionale con il fare e disfare, come insegna il dossier iraniano, unica crisi dove l’Unione europea ha avuto un ruolo nel sintetizzare le varie posizioni per una soluzione che ora Trump utilizza nel punire o premiare le nazioni, non solo cancellando gli accordi raggiunti con l’Iran, ma applicando sanzioni a tutti quei paesi che intratterranno rapporti economici con Teheran senza l’autorizzazione statunitense.

Questo imbarazzo europeo nella politica estera è ben manifestata nella necessità dell’Alto rappresentante Ue anche nell’appoggiarsi ad una dichiarazione congiunta con i ministri degli Esteri e delle Finanze di Francia, Germania e Gran Bretagna, nell’esprimere il “profondo rammarico” dell’Europa per il ripristino delle sanzioni statunitensi nei confronti dell’Iran.

Anche nell’escalation provocatorio e conflittuale tra la Russia e l’Ucraina ecco l’asse franco-tedesco che si rende disponibile a fare da mediatori.

Un’Europa che prima di parla di esercito unico dovrebbe avere una politica estera condivisa, poi sapere cosa dovrebbe fare di una forza militare comune: se porsi in concorrenza con la Nato o farne parte come Ue e non più come singoli paesi.

****************************
Qualcosa di più:
Siria: sette anni di cinismo
Siria: Aleppo peggio di Sarajevo
Siria: due coalizioni tra decisioni e desideri
Siria: la fuga diventa un videogioco alla Super Mario
Siria: continuano a volare minacce
Islam: dove la politica è sotto confisca
Ue divisa sulla Siria: interessi di conflitto
L’infelicità araba
La guerra in Siria vista con gli occhi di Sahl
Primavere Arabe: il fantasma della libertà

****************************

Ira saudita sull’Iran

E’ stato il principe saudita al-Jubeir, l’uomo imposto da Washington al cerchio magico di Mbs nel delicatissimo ruolo di ministro degli Esteri, a esternare pesantemente al Palazzo di vetro una litanìa risultata musica alle orecchie di Trump e della sua ambasciatrice all’Onu Haley. Tanto per ribadire la già nota fedeltà Jubeir ha parlato fra due angeli custodi che si chiamano Bolton e Pompeo e curano la sicurezza statunitense e la segreteria di Stato. Il ministra Saud senza voli pindarici ha esplicitato la necessità di far cadere la presidenza iraniana di Rohani, applaudendo al rinnovato embargo americano che ristabilisce muri in luogo delle aperture decretate dall’accordo sul nucleare firmato da Obama prima della chiusura del mandato. A sostenere il braccio di ferro trumpiano ci sono anche Emirati Arabi e Israele, tutti concordi nel propugnare uno scossone agli attuali vertici iraniani prima che lo Yemen si trasformi in quel Libano conosciuto dagli anni Ottanta in poi con la crescita politica e militare di Hezbollah. Dunque via i vertici di Teheran, con ogni mezzo.

Fra i mezzucci messi in atto non è certo, ma è plausibile, annoverare anche gli attentati che hanno di recente insanguinato la località di Ahvaz. Ovviamente nessun diplomatico presente all’Assemblea Onu fa riferimento a essi, ma il media ufficiale saudita (Al Arabiya) per mano d’un suo opinionista, fa diretto riferimento ad altre spine nel fianco del sistema, manifestazioni e scioperi che dalla fine dello scorso anno si susseguono in molte aree del Paese. Il malcontento sociale iraniano è diffuso, alimentato dalla caduta esponenziale del ryal, dalla sua perdita di valore e conseguente potere d’acquisto monetario che riduce sul lastrico i ceti medi sostenitori di Rohani. A politicizzare le proteste sarebbe la mai estirpata componente dei Mujaheddin del Popolo, la cui rappresentante Maryam Rajavi vive a Parigi in un esilio autoimposto. Il gruppo, che nella guerra civile del triennio 1980-82 assunse pratiche terroriste e stragiste, è da tempo chiacchierato per i molteplici sostegni offerti dalla Cia. E può benissimo prestarsi a organizzare turbolenze.

I sauditi, che tifano per loro senza nasconderlo, spererebbero che questa fosse l’opposizione iraniana in grado di stanare il regime degli ayatollah. Al di là della reale consistenza in Iran di tale gruppo, la lotta intestina fra i poteri forti di Teheran: da una parte gli orientamenti tradizionalisti di certo clero conservatore che ha trovato in Raisi l’esponente di punta e continua ad avere in Khamenei il garante della linea khomeinista, dall’altra il laicismo dei Pasdaran, negli ultimi anni in un totale compromesso coi chierici che s’è trasformato in diarchia. Non perfetta, poiché i riformisti fanno da terzo incomodo, vivo e attivo, e soprattutto non rinuncia a una presenza attiva la popolazione. Fra la gente, i fedeli al regime non mancano, come non mancano gli oppositori, sicuramente crescono i dubbiosi, quei ceti sociali sempre presenti sullo scenario nazionale e in molte fasi determinanti: studenti, commercianti, giovani donne sempre meno rurali. Bisognerà vedere quanti di costoro son disposti a seguire i proclami ideologici dei mujaheddin e quanti le promesse del clero, che militante e non, attualmente ha scarsa presa su una gioventù di certo meno combattente, non è detto meno combattiva.

Pubblicato 27 settembre 2018
Articolo originale
dal blog di Enrico Campofreda

I PPP (Paesi Parole Personaggi) del 2017

Secondo l’Economist è la Francia di Emmanuel Macron ad essere scelta come il paese del 2017. Con lo scegliere la Francia di Macron, con il suo movimento La République En Marche, il settimanale britannico mescola paese, parola e personaggio. Una Francia che ha superato il Bangladesh capace di accogliere 600.000 rohingya in fuga dall’esercito birmano, per non essere violentati e massacrati, o l’Argentina del presidente conservatore Mauricio Macri, forse per evitare polemiche sul drastico taglio alle spese “superflue” come sulle pensioni. Una “riforma” quella del sistema previdenziale, fiore all’occhiello dei governi Kirchner, che sta suscitando tante proteste nel paese, ma ritenuta necessaria dal presidente per sistemare la situazione finanziaria ed economica e sicuramente in linea con il credo liberale dell’Economist.

Un’altra istituzione britannica che si è adoperata nell’eleggere un simbolo del 2017 è l’Oxford Dictionaries, indicando come parola dell’anno “youthquake”, per sintetizzare il “cambiamento significativo culturale, politico o sociale, creato dall’azione dei giovani”. Uno “scuotimento”, un terremoto che resta difficile da percepire guardando una gran massa di individui con il naso incollato al display dei smartphone e tablet, il più delle volte per messaggiare o giocare e certamente non per cambiare il Mondo. In Europa sono la minoranza i giovani, in un continente che sta decisamente invecchiando, giovani che si dedicano ai cambiamenti e lo fanno lontano dai riflettori. Ma il più grande cambiamento che i britannici si possono aspettare potrà venire dal settantenne Jeremy Corbyn, come negli Stati uniti le speranze di rinnovamento erano state affidate a Bernie Sanders. Forse l’Oxford Dictionaries ha visto Macron in Francia o l’ascesa della destra austriaca del trentenne Sebastian Kurz come un positivo cambiamento.

Meglio la scelta del settimanale Time che ha designato “Persona dell’anno” le donne, le cosiddette “Silence Breakers”, che hanno rotto il silenzio sulle molestie sessuali nell’ambito lavorativo.

Interessante è la scelta fatta dal Courrier International sugli eventi del 2017 attraverso i cartoon mensili, partendo da gennaio con la strage di capodanno ad Istanbul con 39 persone uccise e 79 ferite per mano di un fanatico Daesh, per arrivare all’impossibilità per gli atleti russi di partecipare sotto la propria bandiera alle Olimpiadi, ma per partecipare individualmente dopo le accuse alle autorità sportive russe, da parte del Comitato Olimpico Internazionale (CIO), per aver coperto un sistema di doping istituzionalizzato, senza dimenticare l’ascesa all’Eliseo di Emanuel Macron.

In questo calendario degli eventi troviamo la svolta autoritaria del presidente turco Erdogan con lo stato d’emergenza instaurato dopo il colpo di stato fallito nel luglio 2016, che dopo purghe, arresti e restrizioni sull’informazione, è stata varata la riforma costituzionale, firmata a febbraio e convalidata dal referendum del 16 aprile, consentendo di concentrare tutti i poteri nelle mani del presidente, ma abbiamo la Brexit, la repressione in Venezuela e la proclamazione dell’indipendenza della Catalogna.

Mentre il settimanale cinese Beijing Review non si limita a celebrare le prodezze del presidente Xi Jinping con la nuova Via della Seta o il rapporto instaurato con il presidente statunitense Donald Trump e le sue varie scelte dalla migrazione al clima, ma sottolinea la sconfitta dell’Isis dichiarata dal governo iracheno, la crisi nella penisola coreana per i test balistici condotti dalla Repubblica democratica popolare di Corea, la Brexit, la verifica dell’esistenza delle onde gravitazionali, il boicottaggio diplomatico ed economico promosso dall’Arabia saudita alle spese del Qatar per i suoi migliorati rapporti con l’Iran. A concludere l’elenco dei 10 eventi rilevanti per il settimanale cinese sono le dimissioni del Presidente dello Zimbabwe Mugabe.

 

 

Trump: Un confuso retrogrado

Con la fine del primo Millennio si erano intravisti i primi sintomi di una geopolitica fatta di alleanze variabili, ma oggi, nel secondo Millennio, stanno scomparendo gli schieramenti, anche se spesso mettevano insieme improbabili “amici”, per far posto alla variabilità dei fronti e la velocizzazione di questo processo lo si deve in gran parte all’attuale presidente statunitense.

Le iniziali scelte isolazionistiche in politica estera e quelle poste a mettere in prima fila l’interesse per la sua “America” ha reso gli Stati uniti non più sinonimo potenza autorevole e in quanto tale ascoltata, ma di una nazione inaffidabile che offre ai suoi alleati, prima che amici, le occasioni per guardarsi intorno e allacciare nuovi e inverosimili legami non solo commerciali.

Trump, in poco tempo, si è inimicato i paesi mussulmani con le sue restrizioni migratorie, a gran parte degli europei non è simpatico e col pianeta Terra ha intrapreso una guerra senza quartiere con l’ archiviazione del “Clean Power Plan”, revocando il programma di tagli alle emissioni degli impianti a carbone, spalleggiato da Scott Pruitt, responsabile dell’agenzia federale Usa dell’ambiente (Epa), nell’abbandonare gli Accordi di Parigi, mettendo in discussione le prove del cambiamento climatico.

Più che un conservatore, il presidente di quelli che erano gli Stati uniti, è un retrogrado che potrà mettere al bando i libri sull’evoluzione e mettere in discussione tutta la scienza.

Il regnante saudita si reca a Mosca, dopo aver visto Erdogan a braccetto con Putin, non solo per interessi economici derivanti dai prezzo del petrolio, ma anche per definire lo scenario siriano e decidere l’esito del conflitto in Siria, lasciando per la seconda volta Trump fuori dai giochi mediorientali.

Quello che i sauditi e i turchi non riescono a sopportare dagli Stati uniti potrebbero tollerare dai russi, acquistando sistemi d’armamento che permetteranno ad Erdogan e a re Salman di avere degli arsenali misti russo-statunitensi, per poterli studiare e mettere a confronto.

Non è ben chiaro se Trump è più contrariato dal fatto che i turchi e i sauditi acquistino i sistemi di difesa aerea S-400 russi o dal fatto che i tre paesi lavorino per far sedere al tavolo dei negoziati per rappacificarsi con la Siria, preservando l’integrità territoriale, i rappresentati governativi e un’opposizione unita.

Sta di fatto che Trump si trova in difficoltà quando con degli alleati come la Turchia, membro strategico della Nato, deve fare i conti con vedute e interessi divergenti, oltre al fatto di adottare dei sistemi difensivi differenti.

Il rapporto tra Trump e il suo entourage è un continuo contraddittorio, sottoponendosi a grotteschi e repentini voltafaccia.

Il presidente cambia opinione come le mutande, per le mutande è un augurio, per le opinioni è una sciagura, che confonde tanto quanto il suo voler cancellare ogni scelta del suo predecessore Obama e da far sospettare che sotto quella chioma non c’è poi molto.

Più che “American first” è una America sola, come il presidente davanti ai giornalisti quando i suoi ministri sono in disaccordo con le dichiarazioni di quel momento, nel voler sanzionare l’Iran per delle pretese violazioni all’accordo sul nucleare, quando la Ue e la Russia lo smentiscono.

Gli Stati uniti stanno diventando una macchietta nello scacchiere internazionale e il voler fare la voce grossa con Cuba e con l’Iran, mettendo con la prima a rischio l’apertura all’imprenditoria turistica e con la secondo la reputazione di una nazione della quale non ci si può fidare se con un presidente si firmano degli accordi e con un altro si vengono messi in discussione, anche con la Corea del nord ha difficoltà a trovare un comportamento condiviso, rendendo la Corea del sud e il Giappone sicuri con l’alleato statunitense.

Anche l’avviare le pratiche per uscire, dopo aver disconosciuto gli accordi parigini sull’ambiente, dall’Unesco, non rende Trump e il suo paese popolare.

****************************

Qualcosa di più:

Trump Il commesso viaggiatore tra i sauditi e gli israeliani
Trump: un elefante nella cristalleria del Mondo
Trump: un uomo per un lavoro sporco
Trump: Quando l’improbabile è prevedibile
Arabia Saudita: Le donne si ribellano al controllo maschile
I Diritti Umani secondo i sauditi
Un anno di r-involuzione araba
Primavere Arabe: il fantasma della libertà
Donne e Primavera araba. Libertà è anche una patente

****************************

 

Iran: Sei mesi di speranze

Al tavolo delle trattative sul nucleare iraniano l’Europa non si presenta come un’unica entità, ma come accade sempre più spesso in questo suo ordine sparso nella geopolitica. L’Unione europea, forse per la debolezza rappresentativa del responsabile della politica estera, è presente con la Gran Bretagna, la Francia per affiancare gli Stati uniti, la Cina e la Russia, Paesi che hanno diritto di veto al Consiglio di sicurezza dell’Onu, e sono riusciti, con la formula del “cinque + uno”, a far imbucare anche la Germania, in un ruolo subalterno.

È una delle innumerevoli dimostrazioni non solo della debolezza europea, ma soprattutto di una mancanza di una politica estera comune che Catherine Ashton, l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, cerca di sopperire intrufolandosi ad osservare o indire conferenze stampa con il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif.

Anche se più di una volta sono apparsi segnali ottimistici che hanno fatto pensare ad un imminente positiva conclusione, sono state altrettante le volte che hanno generato delusione.

È talmente poco considerata la Catherine Ashton che il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius gli ha sottratto la scena con una conferenza stampa che pone delle riflessioni sulla volontà di voler conseguire un accordo condiviso.

I paesi dell’Occidente, e tra questi in prima fila si trova l’Italia, dimostrano tutta la loro impazienza a riallacciare, alla luce del sole, i rapporti commerciali con Iran. Fremono e non vorrebbero aspettare che si concludano le trattative sul nucleare e la conseguente attenuazione delle sanzioni economiche.

Le speranze riposte nei 5 + 1, con la presenza notarile dell’Unione europea, per trovare il giusto compromesso tra le paure che un nucleare civile si trasformi in bellico e le ambizioni per uno sviluppo industriale di un Iran ricco d’idrocarburi appaiono ben riposte con la firma a Ginevra nella notte del 23 novembre tra le parti.

Con l’attenuarsi delle minacce reciproche e l’apertura alla diplomazia ha permesso, con molte diffidenze, dare un’opportunità alla civile convivenza con la messa in prova di sei mesi.

02 OlO Europa Davanti al nucleare iraniano raggiunto primo accordo

Magazine di Spunti & Riflessioni sugli accadimenti culturali e sociali per confrontarsi e crescere con gli Altri con delle rubriche dedicate a: Roma che vivi e desideri – Oltre Roma che va verso il Mediterranea e Oltre l’Occidente, nel Mondo LatinoAmericano e informando sui Percorsi Italiani – Altri di Noi – Multimedialità tra Fotografia e Video, Mostre & Musei, Musica e Cinema, Danza e Teatro Scaffale – Bei Gesti