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Maria Pina Bentivenga e Mei Chen Tseng

La mostra, a cura di Michela Becchis e Gabriella Bocconi, presenta una trentina di opere grafiche di Maria Pina Bentivenga e Mei Chen Tseng, così da poter mettere a confronto due mondi espressivi, quello dell’artista italiana e quello dell’artista di Taiwan la quale, pur avendo studiato in Italia, porta con sé una concezione estetica legata alle sue origini. La direttrice dell’Istituto, Maura Picciau, sottolineando che la mostra è stata realizzata grazie ad un protocollo d’intesa tra l’Istituto centrale per la grafica e l’Ufficio di rappresentanza di Taipei in Italia – Divisione Culturale, auspica che tale protocollo costituisca una tappa significativa per entrambe le istituzioni, con l’obiettivo di portare avanti la cooperazione e lo scambio culturale tra Taiwan e l’Italia.
L’Istituto centrale della grafica è il luogo espositivo perfetto per questa mostra, infatti le due artiste, nate entrambe negli anni Settanta, convergono su due punti: la scelta dell’incisione come mezzo espressivo e la scelta del paesaggio come soggetto. Le lega anche la peculiare concezione del paesaggio, inteso non già sotto il profilo vedutistico, bensì come metafora di un luogo d’elezione. Eppure, nonostante i punti di contatto, le opere delle due artiste sono molto diverse e questo consente un interessante raffronto. Infatti, pur partendo da un denominatore comune, che è costituito dall’opera grafica, cioè quella che si ottiene tramite il trasferimento su carta da una matrice inchiostrata, le due artiste, utilizzando matrici diverse, hanno realizzato opere nelle quali soprattutto emerge una diversa valutazione dello spazio: ampio e arioso è quello dell’artista italiana, esaltato da un segno morbido e largo; completamente esautorato dai segni è lo spazio dell’artista di Taiwan. Ne scaturisce una esposizione in cui le idee sottese nelle varie incisioni si intrecciano e si valorizzano reciprocamente.
Maria Pina Bentivenga utilizza il metodo calcografico, cioè una matrice di metallo sulla quale lascia fondi vuoti o al massimo crea sottofondi tenui su cui far spiccare il segno. Per le opere in mostra ha utilizzato carte italiane (Magnani e Fabriano), giapponesi (Gampi) e cinesi (Shengxuan).
Mei Chen Tseng utilizza la matrice di legno di testa, per le sue xilografie, ma lascia spazi minimi tra segno e segno, offrendo una visione d’insieme compatta che sembra dettata dall’horror vacui. Utilizza prevalentemente Carta Puo Luo, con le fibre delle foglie di ananas Taiwanese.
Maria Pina Bentivenga, si è diplomata all’Accademia di Belle Arti di Roma ed ha subito seguito un suo percorso nel campo grafico dedicandosi anche al libro d’artista. Impadronitasi di tutte le tecniche incisorie ha insegnato presso la Scuola delle Arti Ornamentali del Comune di Roma ed insegna ora all’Accademia di Belle Arti di Roma e alla Rome University of Fine Arts. Numerosi sono i workshop da lei tenuti in Italia e all’estero (Londra, New York, Lussemburgo).
Mei Chen Tseng si è formata in Italia, prima all’Accademia di Firenze, poi alla Rome University of Fine Arts. Ha insegnato a Taipei, Taiwan, sia alla Fu-Jen Catholic University sia alla National University.
Una sezione della mostra è dedicata ai libri d’artista concepiti in dialogo con i testi poetici di Leonardo Sinisgalli, Reiner Maria Rilke, Dante e del filosofo taiwanese Peter Mau-hsiu Yang.


Maria Pina Bentivenga e Mei Chen Tseng
Immediati dintorni
Dal 24 marzo al 30 aprile 2023

Istituto centrale per la grafica
via della Stamperia 6
Roma

A cura di Michela Becchis e Gabriella Bocconi


Philip Colbert: Dalla Dolce Vita a Parco Gioghi

Sono lontani gli anni della Dolce Vita e sembra archeologia l’intervento di “impacchettamento” Porta Pinciana che Christo realizzò nel 1974.

Un intervento che mise in luce via Veneto da una parte e Villa Borghese dall’altra, ora la via della Dolce Vita e le Mura Aureliane diventano, per la seconda volta, l’ambientazione per mostrare delle opere giocose.

Ad un anno dall’allestimento degli umanoidi di Erwin Wurm è ora la volta delle aragoste e cactus umanizzati di Philip Colbert.

Sculture giocose, capaci di rallegrare l’infanzia e diventare un’attrazione turistica capace di occultare il degrado che nelle vicinanze soffocano le Mura Aureliane, confondendo un intervento di arte pubblica con uno spot pubblicitario.

Collocare le ingombranti e ironiche realizzazioni del Neo Pop Surrealista Philip Colbert sui marciapiedi e addossate alle antiche Mura si potrebbero confondere come arredo urbano, ma sono un divertente trionfo di colori e forme.

Le realizzazioni di Philip Colbert, come quelle di Erwin Wurm, sembrano una continuazione dei lavori di Jeff Koons, sensibili all’arredo.

Un emulo della pop-art che salta dai grandi formati all’intangibilità del digitale (NFT), Philip Colbert rimane fedele alla sua vocazione di designer di moda e arredi.

Un’iniziativa espositiva che rientra nella strana idea di “Roma Contemporanea”, immaginata dalla dal Municipio I, per un dialogo tra il passato e il presente, così per tre mesi le sgargianti opere potranno stimolare la ilarità dei passanti.

Ben diverse sono gli esempi di arte pubblica ambientate nel verde come Villa Borghese con Back to Nature, ideata da Costantino D’Orazio o alla londinese Frieze Sculpture a Regent’s Park, mentre una riflessione andrebbe fatta sull’arte contemporanea in ambientazioni archeologiche come le sculture di Giuseppe Penone alle Terme di Caracalla o nel Parco archeologico del Colosseo con le videoinstallazione di Laurent Fiévet e le sculture che Giuliano Giuliani dedica, in forma astratta, al paesaggio delle Marche.

Ma è proprio necessario instaurare un “vero” dialogo tra contemporaneo e passato, quando il presente è tale per la storia alle sue spalle?


Philip Colbert
Dal 6 ottobre 2022 all’8 gennaio 2023

Via Vittorio Veneto
Roma


Il “Cisternone” abbandonato di Villa Borghese

Terra secca, ciuffi sparuti d’erba e non siamo sulle rive del Po in carenza d’acqua, ma nei pressi dell’hotel Parco dei Principi, dove negli anni ’20 venne edificato il cd  “Cisternone”con la fontana del Sileno, ma più comunemente conosciuta come quella del  “Cisternone”.

Non è il periodo di carenza dell’acqua ad offrire uno spettacolo di arrido abbandono di un’area di Villa Borghese, non lontana dall’omonima Galleria, ma la facilità con la quale l’Amministrazione Capitolina preferisce transennare un edificio che mostra qualche debolezza, piuttosto che impegnarsi al recupero e alla manutenzione di una costruzione suggestiva nel suo strano connubio eclettico delle massicce forme assirobabilonese con dei brividi rinascimentali barocchi, per dimenticarlo del degrado.

Decoro urbano non si può identificare con il vietare o ostacolare le persone a sedersi sugli scalini per mangiare in panino quando le Amministrazioni non curano gli spazi e gli edifici

L’architetto Raffaele de Vico e l’ingegnere Pompeo Passerini mai avrebbero potuto pensare, quando lo realizzarono tra il 1922 ed il 1925, che il serbatoio dell’Acqua Marcia non avrebbe più effettuato l’approvvigionamento idrico di Villa Borghese, per profondare nel degrado e nell’incuria.

È ironico che su di una delle facciate dell’edificio è scritto Novo Urbis Decor (la nuova bellezza della città), con il suo fascino “blasé”, annoiato e indifferente nel aver perso la sua attrattiva con le fontanelle private dell’allegro zampillare dell’acqua.

Sarebbero stati utili, in questo periodo, i litri d’acqua della cisterna, forse, nell’ambito del progetto “Caput Mundi” e tra i 335 provvedimenti pensati come un’opportunità per fare Roma bella grazie al Pnrr e in coincidenza con il Giubileo 2025, il commissario straordinario per il Giubileo e sindaco di Roma Roberto Gualtieri troverà spazio, nella linea d’intervento denominata “Mi tingo di verde” (parchi, giardini storici, ville e fontane) anche di intervenire sul “Cisternone” tra i molti siti poco conosciuti da valorizzare.

Contro la guerra la Cultura del dialogo

Una giornata d’immagini, parole e suoni per testimoniare la forza negativa della guerra e la proposta di risolvere i conflitti con il dialogo, ma fermare la guerra significa fermare gli aggressori o arrendersi a la prepotenza. È difficile pensare che un popolo aggredito possa rinunciare alla libertà e che gli altri popoli ignorino le grida di aiuto e non far mancare gli aiuti non solo sanitari e alimentari. Le armi non sono la soluzione ma un mezzo per non soccombere e portare i prepotenti a trattare.

Attualmente nel mondo sono attivi un centinaio di conflitti perché una parte possa prevalere sull’altra.

Più che un ERRORE, l’aggressione dell’Ucraina è un ORRORE, come sono degli orrori ogni prepotenza.

Bertolt Brecht, nella poesia “La guerra che verrà” (conosciuta anche come “Breviario tedesco”), scriveva
“La guerra che verrà non è la prima.
Prima ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente faceva la fame.
Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente.”

Ma non ci possiamo accontentare di essere liberi dentro, per ottenere un pezzo di pane, essere liberi anche fuori è meglio, per garantire una dignità nel vivere, perché non si può soccombere ai prepotenti per non trovarsi in un’epoca distopia.


STOP THE WAR
L’11 giugno 2022 alle ore 15.00

MuDeCu – Museo delle Culture “Villa Garibaldi”
Riofreddo (Roma)

A cura di Gregorio Gumina

Espongono gli artisti: Pippo Altomare, Claudia Bellocchi, Paolo Bielli, Paolo Dolzan, Franco Fiorillo, Pippo Fucsia, Gregorio Gumina, J Sarah Gumina, Sandra Inghes Maya Lopez Muro, Volker Klein, Anna Maiorano, Giampiero Nacouzi, Paolo Signore.

Lettura poetica di F. Falasca

Intermezzo con la street band FanfaRona

Intervento video di Fulvio Abbate

Proiezione del video per l’Ucraina realizzato da 168 artisti di varie nazionalità.

Dalla mattinata apriremo una pagina online su facebook per raccogliere liberi contributi pittorici, testuali, grafici, sonori che verranno pubblicati.


Cercando di consolidare l’Arte

È difficile trovare nelle Fiera internazionale di Arte moderna e contemporanea delle nuove proposte e quella di Roma non fa eccezione, ma i Modigliani, i De Chirico, i Campogrossi e i Giosetta Fioroni non hanno necessità di trovare un mercato.

Sono gli sconosciuti ad avere necessità di essere promossi, ma le “vecchie” gallerie, come le nuove, preferiscono ufficializzare le loro produzione piuttosto che andare alla ricerca di novità per il domani.

Tra le nuove presenze nel panorama contemporaneo risalta la presenza della Talk Gallery, con sede a Parigi e a Bruxelles, nel proporre Camilla Ancilotto con le sue opere multi componibili, con le loro tre facce, in una poetico interagire nel sollecitare la creatività dello spettatore nel comporre, con le tre opere, numerose possibilità di giocare con la rivisitazione di opere antiche e i vari aspetti della natura.

Mentre Guillaume Garri e Onie Jackson offrono una visione contemporanea delle credenze sulla creazione del mondo e della mitologia greca,  in una lettura “picassiana” che sfocia nel graffitismo.

L’allestimento dello stand si completa di alcune sculture di inflessione primitiva di Guillaume Garrié e quelle futuribili  di Camilla Ancilotto.

In questo mercato dell’arte di 120 gallerie espositrici italiane ed estere c’è anche lo stand di Israele, nel quale vengono proposti artisti di varie ispirazioni, dal naif al concettuale e, per quanto possiamo saperne, questi 17, tra scultori, pittori, fotografi e ricamatori, sono presenti per rappresentare le tante sfaccettature della realtà israeliana contemporanea

Unico stand nazionale, d’altronde il contemporaneo non è nelle corde del nostro ministro Franceschini e dei suoi consulenti, che non hanno buone gambe per andare a scovare artisti che continuano ad essere ignorati; invece la Regione Lazio è presente per pubblicizzare le iniziative sul patrimonio e i luoghi della cultura, mentre il Lazio Contemporaneo è un opuscoletto come spunto per un’indagine approfondita.


Roma Arte in Nuvola
Dal 18 al 21 novembre 2021

Nuvola di Fuksas
Roma (Eur)

https://romaarteinnuvola.eu/