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Memún, alla ricerca del paradiso

Accostarsi all’opera di Adrian Levy Memún comporta, da parte dell’osservatore adulto, un attimo di straniamento per l’interrogativo se si tratti o meno di repertori per l’infanzia. Il segno sintetico, che scorre veloce sulla carta a creare figure animali casette e quant’altro in maniera estremamente approssimativa, quasi operazione ad occhi chiusi, si coniuga con un colore-luce trasparente, vivace e gradevolissimo negli accostamenti. È indubbiamente una pittura per “grandi” ma che risveglia quel fanciullino di pascoliana memoria che è l’unico a farci scorgere l’afflato poetico che emana da queste immagini.

La scultura di Adrian ribadisce il concetto. È una scultura fatta col filo di ferro sottile per creare animaletti e figurine al limite del fantastico, quelle stesse che compaiono nella pittura, e che rimandano, anche nella tecnica, ai giochi dell’infanzia.

Opere su carta, cui si aggiungono un libro d’artista e sculturine in ferro, costituiscono i poli d’attrazione della mostra di Memún “A la búsqueda del paraiso perdido – Alla ricerca del paradiso perduto” allestita nello spazio espositivo Studio Ricerca Documentazione di Anna Cochetti ed inserito nella serie di esposizioni dal titolo ”Storie contemporanee” (Arti Visive, Scrittura, Società).

La Cochetti in catalogo correttamente osserva “…le carte e le sculture di Adrian Levy ci invitano a guardare la realtà, individuale e collettiva, scommettendo su un possibile rovesciamento del reale, sulla ricerca di un punto di vista altro, su un pensiero fantastico e visionario in grado di condurre al paradiso perduto”. E l’artista visiva Elena Nieves rileva come l’opera dell’artista ”non sia solamente un desiderio nostalgico di ritornare al passato vissuto, o all’utopia di un Paradiso originale, bensì, forse, di rivalorizzare, per non perderle, le qualità umane più genuine e virtuose.”

Ma chi è Memún? È un artista argentino, classe 1960, che parla l’italiano perché “all’epoca dei desaparecidos, perseguitato approdò in Europa: Parigi e Roma l’hanno accolto e vi ha vissuto per molti anni per poi ritornare nella sua amata Buenos Aires”. A raccontarlo non è l’artista ma una sua amica, Claudia Bellocchi, artista anche lei, che lo ha conosciuto a Buenos Aires una decina di anni fa e che giustamente osserva: “La gioia di vivere, quella dei santi, dei profeti o dei bambini, profonda ed imperturbabile è a volte anche degli artisti che hanno conosciuto Inferno e Paradiso, due facce della stessa medaglia del vivere terreno”. E proprio riflettendo sull’ Inferno, in Memún la nostalgia del Paradiso si è fatta più forte fino ad oggettivarsi nelle opere di questa interessante mostra.

 

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ADRIAN LEVY MEMÚN
“A la búsqueda del paraíso perdido”
Dal 4 al 24 febbraio 2018

Storie Contemporanee
Studio Ricerca Documentazione

via Alessandro Poerio 16/b
Roma

Orario:
martedì – giovedì – dalle 11.00 alle 13.00
mercoledì – venerdì – dalle 17.00 alle 19.00

Catalogo/Libro d’Artista in Mostra.

a cura di Anna Cochetti
con un testo di Elena Nieves

tel. 328 8698229

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Il Profeta dell’Arte “famola strana”

“E’ del poeta il fin la meraviglia, / chi non sa far stupir vada a la striglia!”…. Questo celeberrimo distico dell’altrettanto celebre poeta secentista cavalier Giovan Battista Marino, ai suoi tempi ritenuto e ammirato come il più rappresentativo artista del barocco in Italia e fuori d’Italia, non potrebbe ancora oggi essere l’antesignano, il filosofo di certa “arte” la cui prima e decisiva necessità è appunto “stupire”, anzi “scandalizzare”?

“Epatér le buorgeois”, stupire il bravo benpensante borghese era la bandiera, l’imperativo categorico dell’estetica rivoluzionaria ottocentesca: rompere con la tradizione, le buone maniere accademiche, il “tran tran” dell’artista di regime, imperativo tuttavia di tanta avanguardia anche novecentista, basterebbe ricordare i proclami incendiari dei “futuristi” per non parlare delle scandalose provocazioni dadaiste.

Va tutto bene quando le barricate e gli assalti sono motivati da una necessità legittima di rinnovamento, e soprattutto quando dopo i proclami e le barricate ci sono poi gli artisti veri a dare senso e valore alle bestemmie buttate in piazza!

Dall’Impressionismo in poi, fino alla Pop-art, artisti in vena di novità si sono divertiti a scandalizzare schiere di critici “ufficiali” e “pompier” … Necessità sacrosanta quando dalla palude stagnante si vuol riuscire in mare aperto.

Ma, badate, quando sedicenti artisti in vena di rivoluzioni cialtrone e immotivate, solo per giustificare il vuoto creativo che li affligge, riprendono la frase bandiera del buon cavalier Marino (stupire, stupire a tutti i costi!) senza poi suffragare le loro “rotture” con la buona sostanza della vera poesia, allora tutto il vuoto, il chiasso e lo strepito di questi pionieri del nulla è solo starnazzare di oche che girano intorno all’aia!

Ma stiamo attenti a riderne solo un po’… Ahimé, si dovrà penosamente dire che non solo intrusi e dilettanti dell’arte giocano al “bluff” ripetuto e noioso, essi si accodano dietro la bandiera di ben altri artisti, notissimi e pregiati, che imperversano incoronati dalla critica ufficiale come i Maestri del Nuovo e del Profondo.

Così i piccoli, coperti e giustificati dagli esempi glorificati dalla ribalta internazionale, non si peritano di prodursi in installazioni ed eventi che fanno della originalità a tutti i costi (stupire!) la maschera immotivata della loro solenne incapacità tecnica e creativa.

Se lasciare stupita e allibita la spaesata umanità che è chiamata ad ammirare le ormai scontate performance è l’unica ragione d’essere di tanta presunta e pretesa arte contemporanea be’, devo dire che siamo messi proprio male! Avallare le più curiose e impensabili “trovate” come importante rinnovamento estetico è un ricatto stupido e infantile… Si dica pure, una volta per tutte, senza inutili pudori:” Ma il re è nudo!”… Povero cavalier Marino! Caposcuola di tanto eccessivo e “sorprendente” barocco, siamo ancora in braccio alla sua estetica. Solo che i contenuti dei cassonetti e le cianfrusaglie dei rigattieri si sono sostituiti ai ghirigori e alle spirali barocche!

 

Voglia d’Italia

Un titolo singolare, forse anche criptico, per una mostra singolare. La spiegazione si ha con il sottotitolo “Il collezionismo internazionale nella Roma del Vittoriano”; si tratta dell’esame del fenomeno collezionistico che interessò, fra la seconda metà dell’800 ed il primo decennio del secolo successivo, numerosi esponenti di classi alto borghesi generalmente di origine anglo-sassone e spesso residenti in Italia. La mostra si articola presso due sedi, visitabili con unico biglietto, Palazzo Venezia ed i sotterranei del Vittoriano. La prima parte, suddivisa in sette sezioni, è ospitata nell’ appartamento Barbo e nelle grandi sale del primo piano ed esamina la vita, l’attività collezionistica ed infine la donazione dei coniugi George Wurts ed Henrietta Tower. Il Wurts, diplomatico statunitense, e la Tower, ricca ereditiera, a fine ‘800 si stabilirono a Roma in Palazzo Antici Mattei iniziando a frequentare la migliore società e ricevendo in casa e nella Villa Sciarra, acquistata nel 1902, dove organizzavano spesso concerti ed incontri musicali. Nel corso della loro vita i Wurts furono collezionisti bulimici raccogliendo opere d’arte e oggetti comuni antichi o esotici, nelle varie sezioni si susseguono informazioni sulla loro vita, sulle prime raccolte di una varietà di oggetti russi, giapponesi, cinesi, tedeschi: si va da statuette lignee a paraventi laccati, da dipinti a libri, a bronzetti, a porcellane. Non ci sono capolavori, sono opere di artigianato di qualità ammassati senza alcun odine preciso, secondo informazioni d’epoca gli oggetti erano usati come elementi di arredamento con criteri molto personali che avevano alla base un sentito horror vacui. Tale arredamento “stile Vittoriale” era diffusissimo nelle dimore nobiliari ed alto borghesi del giovane Regno d’Italia.Tra il 1928 e il 1933 i due coniugi lasciarono in eredità la Villa e la loro raccolta di più di quattromila pezzi allo Stato Italiano. Particolarmente interessante la seconda parte della mostra ospitata nei sotterranei del Vittoriano parte dei quali aperti per la prima volta dopo un accurato restauro; si transita per un grande locale, non facente parte della mostra, dove sono esposti progetti e plastici del Vittoriano presentati per il concorso e si giunge alle otto sezioni dell’esposizione. Si è accolti da una grande statua bronzea di Settimio Severo copia di un originale finito in Belgio e commissionata dal Wurts per la sua collezione, si prosegue in ampi sotterranei utilizzati ai tempi della costruzione del monumento per la lavorazione dei marmi dove sono ospitate opere di ogni genere provenienti da donazioni a favore di musei o istituzioni varie. Sono esaminate le personalità di illustri collezionisti di fine ‘800 e la storia delle loro raccolte fino alla loro donazione o dispersione e poi il mondo del collezionismo, la legislazione, il sistema delle aste, gli scambi e i rapporti tra artisti e mecenati. Pezzo forte è un busto in terracotta di Donatello originariamente sul portale di una chiesa del Mugello e ora negli Stati Uniti, seguono dipinti, maioliche e ceramiche opera di artisti contemporanei in stile relativo a varie epoche artistiche. Molto interessante è la sezione relativa ai falsi di cui è un vistoso esempio una Annunciazione in marmo venduta per un prezzo elevatissimo ad una collezionista statunitense come opera di Simone Martini ed invece scolpita dallo scultore moderno Alceo Dossena. Chiude la mostra una sezione dedicata ai fregi molto di moda all’epoca della costruzione del Vittoriano con esposte due parti di un fregio bronzeo scolpito da Angelo Zanelli, bozzetti per i mosaici del Vittoriano di Guido Bargellini, disegni preparatori di un fregio di Edoardo Gioja ed alcuni cartoni predisposti da Giulio Aristide Sartorio per il fregio dell’Aula di Montecitorio. Come già detto mostra singolare sia per la tematica svolta che per il tipo e la qualità degli oggetti esposti. L’organizzazione è opera di Civita, ricchissimo è il catalogo di ben 520 pagine edito da da arte’m. Nella Sala Regia di Palazzo Venezia nei giorni 22 dicembre, 20 gennaio e 16 febbraio alle ore 21 saranno tenuti concerti jazz.

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Voglia d’Italia
Il collezionismo internazionale nella Roma del Vittoriano
Dal 7 dicembre 2017 al 4 marzo 2018

Roma

Palazzo Venezia
Ingresso da Piazza Venezia
Martedì/Domenica 8.30 – 19.30 (chiuso il lunedì)
La biglietteria chiude un’ora prima

Gallerie Sacconi al Vittoriano
Ingresso da Piazza Venezia e da Via del Teatro di Marcello (lato Aracoeli)
Tutti i giorni 9.30 – 19.30
La biglietteria chiude un’ora prima

informazioni:
tel. 06/32810
http://www.gebart.it/

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Il sognatore che inventò il classicismo

Johann Joachim Winckelmann nacque nel Brandeburgo nel 1717 da famiglia modesta, segnalatosi negli studi soprattutto di cultura greca e latina, divenne il responsabile di una grande e ricca biblioteca principesca. Studiò appassionatamente gli autori classici maturando il desiderio di conoscere dal vivo il loro mondo recandosi a Roma dove giunse nel 1755 al seguito del Cardinale Archinto, nunzio pontificio in Polonia;  questi lo convinse a convertirsi al cattolicesimo cosa che avrebbe favorito il suo inserimento nel vivace mondo culturale romano alimentato anche dai molti visitatori d’elite del Grand Tour. A Roma divenne amico del famoso pittore boemo Anton Raphael Mengs, del colto Cardinal Passionei e dello scultore e restauratore Bartolomeo Cavaceppi. Si legò anche al Cardinale Albani che lo ospitò nella sua villa suburbana sede di una ricca biblioteca e di una ingente raccolta di statue greche e romane e qui il Winckelmann estese i suoi studi alla statuaria classica stabilendo cronologie, tipologie, attribuzioni ed elaborando interessanti teorie sull’antichità classica. Visitò anche Napoli e gli scavi di Ercolano allora da poco iniziati e cominciò a pubblicare i risultati delle sue ricerche: particolarmente importante per tutti gli studiosi dell’epoca il volume “Storia dell’arte nell’antichità” nel 1764. L’anno precedente a Roma era stato nominato Commissario alle Antichità, incarico prestigioso e di grande impegno. Nel 1768 andò a Vienna e ricevette in dono dall’Imperatrice Maria Teresa alcune medaglie in metallo prezioso che furono causa della sua morte; di passaggio a Trieste, per tornare a Roma, fu ucciso per rapina da tale Arcangeli. Il corpo è sepolto nella cattedrale di San Giusto. Le sue teorie sull’arte classica, ora in gran parte superate, erano elaborate sulla base di due principi “grande semplicità e quieta grandezza”, vedeva il mondo antico come “armonia”, misurato ed equilibrato, candido e solenne, popolato da uomini e donne simili a semidei. Proclamò la supremazia dell’arte greca su quella romana perchè basata sulla purezza, sul rigore ed anche in quanto proveniente da un sistema politico democratico; emblema del suo pensiero era l’Apollo del Belvedere. Le teorie del Winckelmann ebbero una grande diffusione soprattutto nella seconda metà del ‘700 e nei primi decenni dell’800 coinvolgendo artisti come Mengs, Ingres, David, Canova, Thorvaldsen. Il mondo che immaginò di candido marmo, dalle forme perfette, popolato da persone  belle e solenni si è rivelato, agli studi successivi, frutto di grande passione e di numerosi fraintendimenti. Roma non era diversa dalle attuali Cairo o Mumbay, sporche e disordinate, ricche di colori e di odori forti, popolate da moltitudini in cui sono numerosi i “brutti, sporchi e cattivi”. Con la ragione concordiamo, specie dopo le ultime ricerche, ma in fondo all’animo continuiamo a coltivare il sogno del Winckelmann e la sua visione serenamente olimpica del mondo classico. Quest’anno ricorre il terzo centenario della sua nascita ed il prossimo anno il duecentocinquantesimo anniversario della morte e per solennizzare gli eventi varie istituzioni culturali hanno predisposto numerose iniziative tra cui spicca la mostra organizzata dalla Sovraintendenza Capitolina ai Beni Culturali e da Zetema Progetto Cultura. E’ ospitata presso i Musei Capitolini, il più antico museo pubblico del mondo dato che è stato fondato da Papa Clemente XII nel 1733,  ed espone 124 reperti  in due sedi. Nella prima, Palazzo Caffarelli, sono in mostra una serie di reperti, documenti, libri, disegni, sculture antiche e moderne, dipinti che illustrano il mondo artistico  e culturale in cui operarono il Winckelmann e le persone a lui legate; di sua mano sono le autorizzazioni a licenze di esportazione di opere d’arte. La seconda sede è in Palazzo Nuovo, al piano terreno in tre sale abitualmente chiuse ed al primo piano, e riguarda trenta sculture della normale dotazione museale ma contraddistinte da un particolare pannello esplicativo; si tratta di opere studiate e catalogate dal Winckelmann che ne valutò le attribuzioni e le cronologie. Generalmente si tratta di ricerche ormai superate ma la mostra ci permette di apprezzare le grandi capacità dello studioso tedesco e rivivere il suo fantastico sogno.

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Il Tesoro di Antichità. Winckelmann
e il Museo Capitolino nella Roma del Settecento
Dal 7 dicembre 2017 al 22 aprile 2018

Musei Capitolini – Palazzo Caffarelli Palazzo Nuovo
Roma

Ingresso:
tutti i giorni 9,30/19,30
chiuso il 25 dicembre e il 1 gennaio

Informazioni:
tel. 060608

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Jérémy Demester: Realizzare per Roma

La mostra è frutto della prima di una serie di residenze d’artista che Mucciaccia Contemporary ha deciso di iniziare proprio con il giovane artista francese, rinnovando la tradizione romana dell’accoglienza degli artisti e offrendo loro la possibilità di risiedere e lavorare in città per un mese e godere della cultura, dell’arte e della luce di Roma.
E come sottolinea la curatrice “Jérémy Demester è un uomo che reagisce alla luce, nel duplice significato di essere a proprio modo reattivo a essa, ma anche di saperla utilizzare per esprimere le proprie reazioni. Ciò avviene perché egli viaggia in continuazione: un certo spostamento, o addirittura il nomadismo delle sue origini familiari, è infatti indispensabile ad apprendere e comprendere la luce. Questa, nella sua pittura, non si riceve mai, ma si acquisisce. Jérémy stabilisce il suo atelier volta per volta creando uno spazio che gli appartiene, frutto di un processo narrativo che ha origine dal viaggio che si compie attraverso di lui. Ciò che viene realizzato ad ogni tappa è, solo in parte, espressione del sito specifico in cui è stato stabilito l’atelier e si iscrive già all’interno del viaggio che costituisce il progetto artistico”.
In mostra otto grandi opere, tutte inedite e tutte realizzate per lo spazio della galleria: una scultura e sette dipinti che narrano del tempo, dell’immediatezza, della prova del momento, che trasudano potenza vitale e positivi.
La mostra è accompagnata da un catalogo bilingue illustrato italiano-inglese (Carlo Cambi Editore), con un’intervista della curatrice all’artista.

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Jérémy Demester
A Buon Rendere
Dal 16 dicembre 2017 al 20 febbraio 2018

Mucciaccia Contemporary
piazza Borghese, 1/A
Roma

Informazioni:
tel. 06/68309404

a cura di Natacha Carron Vullierme

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