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Papa Francesco e i social del presenzialismo: la lezione ignorata

Alla scomparsa di Papa Francesco, mentre il mondo cattolico e non solo si stringeva in un sincero cordoglio, non sono mancati gli omaggi sui social: gesti a volte autentici, ma spesso caratterizzati da una smania di visibilità che strideva dolorosamente con l’umiltà e il messaggio del Pontefice.

Dopo le benevoli frasi di rito – e anche quelle meno benevole, senza ipocrisie, degli esagitati reazionari – sulla scomparsa di una figura che ha segnato la vita di molti, restava evidente quanto Bergoglio avesse inciso profondamente nella Chiesa e nella società civile.

I giorni seguenti sono diventati l’occasione per l’inevitabile elenco di ciò che Papa Francesco ha fatto e di ciò che, secondo alcuni, avrebbe potuto o dovuto fare. Tra le critiche più ricorrenti, non è mancato il riferimento al tema femminile, senza però riconoscere che proprio durante il suo pontificato si è registrata una svolta significativa: per la prima volta, diverse donne sono state chiamate a ricoprire incarichi di governo all’interno della Città del Vaticano, segnando un cambiamento storico pur in una realtà complessa e tradizionalmente maschile.

Tuttavia, come ha osservato una sociologa, il Papa guida “un transatlantico che non può cambiare rapidamente rotta”: una perfetta fotografia di un’istituzione imponente, refrattaria ai mutamenti repentini, dove persino un leader aperto e dinamico deve confrontarsi con inerzie secolari.

Mentre la Chiesa si interrogava sul futuro, il mondo della rete ha dato il peggio di sé: smartphone in mano, l’importante era esserci, postare, taggare. L’attenzione si è presto spostata su chi ha scelto il palcoscenico social per “presenziare” a questo momento storico, trasformando un evento di raccoglimento in una vetrina personale.

In questo teatrino del “mi si nota di più se vado o se non vado?”, sembra che l’insegnamento di Papa Francesco sia stato completamente ignorato. Il Pontefice aveva più volte ammonito contro la “coca-colizzazione” della cultura e della spiritualità, contro quella superficialità effimera che svuota l’umano di significato. Nel suo recente discorso alla Pontificia Università Gregoriana, aveva chiesto con forza di umanizzare il sapere, di coltivare un’istruzione inclusiva, capace di rispettare le differenze e guidata dalla dignità della persona.

Eppure, nella settimana del suo ultimo saluto, il culto dell’apparenza ha prevalso: foto, video, selfie, post a uso e consumo di like e visualizzazioni. È lo stesso spirito contro cui il Papa si era scagliato a Lampedusa, nella sua profetica omelia contro la “globalizzazione dell’indifferenza”. Di fronte alla tragedia dei migranti, Francesco aveva denunciato come la cultura del benessere ci abbia resi incapaci di piangere, prigionieri di “bolle di sapone” dorate, indifferenti al dolore del mondo.

Anche tra i politici e i rappresentanti delle istituzioni si è visto il contrasto tra chi ha scelto la discrezione e chi, invece, non ha resistito alla tentazione del selfie o dell’apparizione.

Il funerale di Papa Francesco sarebbe dovuto essere un momento di raccoglimento e di riflessione su quella “cultura della cura” che tanto aveva a cuore. Invece, per molti, si è trasformato in un’occasione di esibizione. Un triste spettacolo che evidenzia quanto ancora sia attuale – e inascoltato – l’invito di Francesco a riscoprire il senso della fraternità e della responsabilità reciproca.

“Non dimenticate il senso dell’umorismo”, aveva esortato il Papa, citando Thomas More. Ma di fronte a certe scene, più che sorridere, viene da chiedersi dove, e quando, abbiamo perso la bussola.

Clima: Quando un virus limita l’inquinamento

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Il virus che mette a dura prova le capacità dell’umanità nel fronteggiarlo, porta anche a riflettere su quest’epoca Antropogenica ed al rapporto che le persone hanno maturato in questi anni con la natura. Non si può ignorare che alcune settimane di blocco delle attività abbia ripulito l’aria e che nelle città sia la fauna, più che la flora, a riappropriarsi degli spazi urbani che l’invasività della presenza umana ha relegato nella clandestinità.

Sul Covid-19, più noto come Coronavirus, si sono fatte molte ipotesi sulla sua apparizione nella vita quotidiana delle persone e tra queste quella della ribellione della natura alla prepotenza antropocentrica.

Un’ipotesi da prendere in considerazione dopo che la NASA ha pubblicato delle foto satellitari della Cina di gennaio 2020 che confrontate con quelle di febbraio evidenziano  una nuvola rossa dell’inquinamento che in un mese si è ridotta significativamente.

Una pandemia che ha portato al blocco delle attività, all’isolamento di intere città , con milioni di persone segregate in casa, portando a riflettere sul futuro del Pianeta e fare delle consapevoli scelte per non essere vittime della nostra incapacità di ripensare al modello di vita fino ad ora perseguito.

Qualche anno fa era comparso sugli schermi una serie televisiva della CBS basata sull’omonimo romanzo di James Patterson, dal titolo Zoo. La serie preconizzava una pandemia che infettava gli animali in varie parti del mondo, facendogli assumere comportamenti aggressivi verso l’uomo.

Con gli odierni virus gli animali non aggrediscono, ma fanno da silenti vettori, come monito per un periodo sabbatico da dedicare all’ambiente, perché il problema era la normalità e tornare alla sbandierata normalità non potrà essere uguale a quella sconvolta dal coronavirus.

Basterebbe, senza intraprendere svolte radicali, far tesoro della pubblicazione Laudato si’ che papa Francesco ha dedicato al rapporto dell’uomo con la natura, richiamando alla sobrietà per non essere travolti dal consumismo e dallo spreco.

Per questo sarebbe opportuno tenere presente il punto:

95. L’ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti. Chi ne possiede una parte è solo per amministrarla a beneficio di tutti. Se non lo facciamo, ci carichiamo sulla coscienza il peso di negare l’esistenza degli altri. Per questo i Vescovi della Nuova Zelanda si sono chiesti che cosa significa il comandamento “non uccidere” quando «un venti per cento della popolazione mondiale consuma risorse in misura tale da rubare alle nazioni povere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere».

Non si deve soccombere ad una decrescita imposta da una pandemia, ma essere guidati verso un altro stile di vita, la prossima normalità non sarà come quella passata e dovremmo essere consapevoli delle conseguenze che le nostre azioni avranno sul Pianeta , nel quale vorremmo vivere in un modo diverso.

Un Pianeta che non preveda, come nel documentario“Tiger King”, trasmesso da Netflix, lo sfruttamento degli animali selvatici in via di estinzione ed in particolare il confinamento della Natura in spazi sempre più angusti.

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Una Roma distopica

Diciamolo: tutte queste immagini di Roma e delle città italiane deserte ci piacciono: esteticamente perfette, ci riportano a una visione astratta dell’arte, del paesaggio, dell’urbanistica. E’ l’Italia delle vecchie foto Alinari, dove l’elemento umano è un puro accidente. Roland Barthes già notava in Miti d’oggi che nelle guide blu Michelin città e monumenti vivono nell’assoluto (1) e lo stesso vale per le guide del Touring Club Italiano. Ma piace anche l’idea di una metropoli invasa da cinghiali, anatre selvatiche con paperotti al seguito e magari le capre che brucano l’erba che cresce tra i sampietrini: Madre Natura si sta riprendendo quello che le appartiene e fa piacere vedere i delfini a Trieste, a Venezia e a Salerno, o l’acqua del Po di un colore diverso. Se un barile di petrolio vale oggi meno di un dollaro, vuol dire che tutto è fermo. Ma assai prima del compiaciuto moralismo ecologista (al quale Greta Thunberg finora non si è associata) ci sono state nei secoli centinaia di riflessioni morali sulle rovine della Roma imperiale: a partire dal Medioevo, viaggiatori e pellegrini confrontano fino alla noia la visione dell’Urbe deserta e degradata con la nuova Roma cristiana risorta dalle ceneri pagane. Altrettanto scontata è la visione del’epidemia come castigo biblico per i nostri peccati, stavolta anche ecologici. Ma ora si è aggiunta una variante: le ricche chiese evangeliche americane e alcuni settori ultraconservatori cattolici vedono nella solitudine di Papa Francesco in piazza san Pietro la punizione divina per il pontefice eretico, socialista e anticristo. Niente di nuovo, visto che l’AIDS fu considerato il castigo divino per Sodoma ma non per Gomorra. Stupisce però che un gesto simbolico così forte come quello di Papa Francesco sia stato interpretato ora in modo laico – per Sgarbi è il fallimento della religione (2), ora in modo paranoico, anche se certe correnti religiose non sono nuove a interventi estremi, al limite del patologico. Diversa la reazione islamica: all’epoca delle conquiste l’epidemia riguardava le affollate città infedeli (quindi era meritata) e in seguito – quando toccò a loro – fu vista come equivalente alla morte in guerra o volontà divina (3). Come si vede, le metafore belliche oggi tanto frequenti non sono nuove: la malattia rimanda alla debolezza umana, la guerra al sacrificio collettivo per la vittoria finale. Ma le grandi religioni oggi sembrano più caute: anche se per l’ISIS la pandemia è il flagello contro gli infedeli, questo non rappresenta il pensiero di tutti gli islamici. Piuttosto, le grandi religioni monoteiste si stanno responsabilmente adeguando a tutte le disposizioni sanitarie, ma promuovendo nel contempo la preghiera in casa, la meditazione personale, la fratellanza universale e l’armonia con la natura; in sostanza, una forte spiritualità svincolata dalla rituale riunione collettiva dei fedeli. E come negli anni passati la Radio Vaticana diffondeva in tutto il mondo il messaggio del Papa, oggi ben altri mezzi telematici permettono la partecipazione collettiva al positivo messaggio di speranza.

Ma torniamo all’immagine di Roma come non l’abbiamo mai vista. Tra tanti video ne voglio valorizzare uno, breve (3 minuti), girato il 14 marzo, senza droni e in un quartiere – Testaccio, Porta Portese – diverso dalle solite cartoline. L’ha girato Roberto Di Vito, un videomaker romano indipendente, autore anche di medio metraggi, il migliore dei quali è “Bianco” (2011, 78”) (4). Non è la solita carrellata sulle piazze e i monumenti di una Roma stupenda perché deserta; ricorda piuttosto certe sequenze del regista sovietico Tarkovskji o del suo allievo Lopushanskj, caratterizzate da ambienti reali resi alieni dal disuso, svuotati della presenza umana. Vediamo dunque il video “Emergenza Coronavirus.

Le immagini sono drammatiche, evocatrici, efficaci nella loro essenzialità, quasi prese di peso da un film di fantascienza. Eppure la videocamera inquadra elementi reali, banali, i quali riescono stranamente a trasformare un video di tre minuti in un documento storico mai visto prima. Inquietante la voce fuori campo che grida: ” Dove sei? Dove sei amico. Vieni qui“. Non sappiamo chi la pronuncia e perché, ma risuona in un vuoto. Ma è un vuoto metafisico, simbolicamente saturo. Tutto questo è ottenuto con mezzi poveri, essenziali, da vero regista indipendente: il valore aggiunto viene prodotto attraverso un procedimento per sottrazione. E qui Di Vito è coerente: continua un discorso iniziato con “Ai confini della città” (1998, 34”), amaro apologo di una civiltà e di più generazioni allo sbando, all’interno di una Roma inedita, svuotata, pronta alla desertificazione che avverrà da un giorno all’altro appena una ventina d’anni dopo.

Note:

Migrazione: Umanità sofferente tra due fuochi

Migrazione Profughi

Il Rapporto Annuale 2017 che il Centro Astalli, ha presentato l’11 aprile, è una fotografia aggiornata sulle condizioni dei richiedenti asilo e rifugiati che durante il 2016 si sono rivolti alla sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, ma è stata anche un’occasione per riflettere sugli sviluppi dell’accordo dell’Unione europea con la Turchia e le nuove direttive decreto dei ministri Minniti-Orlando.

Un’umanità che non deve solo fuggire dalla morte, ma affrontare un cammino impervio tra montagne e deserti, evitando di essere venduti come schiavi, per poi trovarsi davanti a distese d’acqua e le barriere turche, affrontare le nuove norme d’accoglienza e la tenace ostilità della destra, le schizofreniche posizioni dei penta stellati e le fosche accuse gettate dalla magistratura catanese sul ruolo di alcune navi di Ong di “comodo” per spalleggiare il traffico di esseri.

Non è possibile fare di un sol fascio le Ong come Medici Senza Frontiere o Save The Children con quelle pseudo che battono bandiere dubbie, tant’è vero che il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro sta concentrando la sua attenzione sulla maltese Moas o le tedesche.

Il procuratore di Catania ammette di non avere dei riscontri decisivi, ma la sua esternazione si basa su di una mera ipotesi, forse nata da un datato sospetto di Frontex. È triste se la Legge in Italia viene applicata su “sensazioni” o “sospetti” e non sulle prove dei fatti.

Ora Frontex, dopo aver attaccato le organizzazioni non governative di fare il gioco dei trafficanti di esseri umani, si corregge e attraverso il suo portavoce dichiara: “Salvare vite non è solo una priorità, ma anche un obbligo internazionale per tutti coloro che operano nel mare”.

Sulle polemiche di questi giorni sui rapporti di alcune Ong e scafisti, interviene anche il direttore dell’Iom (International Organization for Migration)  per l’Europa, Eugenio Ambrosi che sostiene come non sia di aiuto il fatto di “alimentare percezioni che mettono sullo stesso piano o confondono interessi criminali a scopo di lucro ed entità senza scopo di lucro che lavorano per salvare vite in mare”. Ma aggiunge “non possiamo essere ingenui. Il fatto che navi di soccorso di Ong operino così vicino alle acque libiche può essere sfruttato dai trafficanti”. E prosegue: “è necessario definire meglio il ruolo e le regole delle Ong e le risorse dell’Ue per l’obiettivo principale di garantire che nessuno muoia in mare”.

Una questione questa sulle responsabilità delle Ong nel traffico di esseri umani che un Movimento estremamente “fluido” come quello delle 5 Stelle, dalle mille opinioni che porta, certe volte, i suoi a disquisire, per noia più che per competenza, non si è fatto sfuggire per scavalcare in superficialità la Lega e i quattro gatti della Meloni che sventolano la bandiera della patria sovranità, ma è solo una vuota parola per mascherare da patriottismo il vero significato di egoisti.

Il direttore di Migrantes (Cei), mons. Giancarlo Perego, in un’intervista a Tv2000, afferma che al di là delle accuse da provare questa è una polemica “strumentale per portare lontano dall’impegno vero che dovrebbe essere di tutti i Paesi europei e i cittadini di fronte a un dramma che sta crescendo”, invece di trovare delle concrete soluzioni politiche che potrebbero proporre dei Corridoi umanitari attivati dalla collaborazione ecumenica fra cristiani della Comunità di Sant’Egidio, le Federazione delle Chiese evangeliche, le Chiese valdesi e metodiste, con un protocollo d’intessa firmato con il Ministero degli Affari Esteri e degli Interni.

Quello dei Corridoi umanitari non è solo una soluzione per salvaguardare la vita umana e garantire una migrazione avulsa da possibili infiltrazioni malavitose e terroristiche, ma soprattutto economicamente vantaggioso per l’Europa, invece di sperperare miliardi di euro solo per respingere.

La politica non dovrebbe strumentalizzare e accanirsi sulle Ong, ma trovare delle soluzioni che non siano la solita abitudine di ricorrere a un rimedio provvisorio, per una visione che invece travalichi la punta del naso modello Minniti-Orlando.

Con il decreto dei ministri Minniti-Orlando che prevede un Centro di permanenza per il rimpatrio a misura “umana” in ogni regione, eliminazione dell’appello dopo rifiuto al diritto d’asilo,  si velocizzano le procedure per la concessione del diritto di asilo e la possibilità di svolgere lavori di pubblica utilità gratuiti e volontari. Alcuni migranti si sono organizzati e hanno “adottato” un tratto di marciapiede o di mercato rionale romano nel tenerlo pulito, affidandosi al buon cuore del passante per raccogliere qualche euro.

Papa Francesco ha più volte stigmatizzato i Centri di permanenza come lager e simbolo della negazione di qualsiasi umanità. La migrazione rimane un proficuo affare, come dimostra lo stanziamento di 19 milioni di euro per garantire l’esecuzione delle espulsioni, mentre l’Ue destina alla sorveglianza, anche con droni, delle frontiere 4,5 miliardi di euro da spendere entro il 2020.

Non è tutto, l’Ue sta impegnando complessivamente una cifra vicino ai 600 milioni di euro non solo per la ricerca e lo sviluppo di progetti per la sicurezza nel Mediterraneo, ma anche per Frontex e per Eos (European organisation for Security), il principale gruppo europeo impegnato per la sicurezza, che spinge per la creazione di un gruppo di lavoro per studiare un sistema di controllo delle frontiere denominato “EU Border check task force”.

La migrazione non è solo un “affare” per tener fuori dall’Europa gli Altri, ma anche per accogliere chi riesce a mettere piede in uno dei 27 paesi dell’Unione. Ogni governo, chi più chi meno, destina fondi per gestire una crisi che dura da anni trasformando la disgrazia di molti in lavoro per alcuni e grazie a istituzioni pubbliche e private, oltre che a singoli cittadini, si possono garantire dei pasti, e con qualche difficoltà per dare dei posti letto ad ognuno.

Nell’anno passato, il Centro Astalli, ha potuto contare sull’8 per mille Cei, Migrantes, Fondazione Bnl e Segretariato sociale Rai, per poter coprire i 3milioni e 100mila euro spesi per i servizi offerti dalla sede romana.

I Gesuiti del Centro Astalli sono impegnati sull’accoglienza, mentre i Gesuiti di Magis lavorano per sviluppare delle realtà economiche di cooperazione tra gli abitanti dei luoghi dai quali proviene parte dei migranti.

La situazione migratoria continua ad essere affrontata soprattutto con la limitazione della libertà di circolazione per alcune categorie di persone, ignorando l’articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò il 10 dicembre 1948, ma sottolineando invece l’articolo 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sulla Libertà di circolazione e di soggiorno riguardante solo i cittadini dell’Unione.

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2015: Senza Guerre e Schiavitù

Mentre Papa Francesco per il 2015, in occasione della Giornata Mondiale della Pace, augura  che non ci siano più guerre, le spese militari in Italia non subiranno tagli, anzi si prevede 5 miliardi per nuovi armamenti.
Il 2015 non solo un Anno di Pace ma anche senza schiavitù, perché la Guerra rende Schiavi e non Fratelli.

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Pace 11873-1La Repubblica
Gli auguri del Papa: “Mai più guerre, sia un anno di pace”

Il Sole 24 Ore
Il Papa: «La pace è sempre possibile»

Il Fatto Qutidiano
Spese militari, nel 2015 niente tagli alla Difesa. E 5 miliardi per nuovi armamenti

Per la Pace
Schiavi o fratelli? E’ tempo di scegliere

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