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Migrazione: Umanità sofferente tra due fuochi

Migrazione Profughi

Il Rapporto Annuale 2017 che il Centro Astalli, ha presentato l’11 aprile, è una fotografia aggiornata sulle condizioni dei richiedenti asilo e rifugiati che durante il 2016 si sono rivolti alla sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, ma è stata anche un’occasione per riflettere sugli sviluppi dell’accordo dell’Unione europea con la Turchia e le nuove direttive decreto dei ministri Minniti-Orlando.

Un’umanità che non deve solo fuggire dalla morte, ma affrontare un cammino impervio tra montagne e deserti, evitando di essere venduti come schiavi, per poi trovarsi davanti a distese d’acqua e le barriere turche, affrontare le nuove norme d’accoglienza e la tenace ostilità della destra, le schizofreniche posizioni dei penta stellati e le fosche accuse gettate dalla magistratura catanese sul ruolo di alcune navi di Ong di “comodo” per spalleggiare il traffico di esseri.

Non è possibile fare di un sol fascio le Ong come Medici Senza Frontiere o Save The Children con quelle pseudo che battono bandiere dubbie, tant’è vero che il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro sta concentrando la sua attenzione sulla maltese Moas o le tedesche.

Il procuratore di Catania ammette di non avere dei riscontri decisivi, ma la sua esternazione si basa su di una mera ipotesi, forse nata da un datato sospetto di Frontex. È triste se la Legge in Italia viene applicata su “sensazioni” o “sospetti” e non sulle prove dei fatti.

Ora Frontex, dopo aver attaccato le organizzazioni non governative di fare il gioco dei trafficanti di esseri umani, si corregge e attraverso il suo portavoce dichiara: “Salvare vite non è solo una priorità, ma anche un obbligo internazionale per tutti coloro che operano nel mare”.

Sulle polemiche di questi giorni sui rapporti di alcune Ong e scafisti, interviene anche il direttore dell’Iom (International Organization for Migration)  per l’Europa, Eugenio Ambrosi che sostiene come non sia di aiuto il fatto di “alimentare percezioni che mettono sullo stesso piano o confondono interessi criminali a scopo di lucro ed entità senza scopo di lucro che lavorano per salvare vite in mare”. Ma aggiunge “non possiamo essere ingenui. Il fatto che navi di soccorso di Ong operino così vicino alle acque libiche può essere sfruttato dai trafficanti”. E prosegue: “è necessario definire meglio il ruolo e le regole delle Ong e le risorse dell’Ue per l’obiettivo principale di garantire che nessuno muoia in mare”.

Una questione questa sulle responsabilità delle Ong nel traffico di esseri umani che un Movimento estremamente “fluido” come quello delle 5 Stelle, dalle mille opinioni che porta, certe volte, i suoi a disquisire, per noia più che per competenza, non si è fatto sfuggire per scavalcare in superficialità la Lega e i quattro gatti della Meloni che sventolano la bandiera della patria sovranità, ma è solo una vuota parola per mascherare da patriottismo il vero significato di egoisti.

Il direttore di Migrantes (Cei), mons. Giancarlo Perego, in un’intervista a Tv2000, afferma che al di là delle accuse da provare questa è una polemica “strumentale per portare lontano dall’impegno vero che dovrebbe essere di tutti i Paesi europei e i cittadini di fronte a un dramma che sta crescendo”, invece di trovare delle concrete soluzioni politiche che potrebbero proporre dei Corridoi umanitari attivati dalla collaborazione ecumenica fra cristiani della Comunità di Sant’Egidio, le Federazione delle Chiese evangeliche, le Chiese valdesi e metodiste, con un protocollo d’intessa firmato con il Ministero degli Affari Esteri e degli Interni.

Quello dei Corridoi umanitari non è solo una soluzione per salvaguardare la vita umana e garantire una migrazione avulsa da possibili infiltrazioni malavitose e terroristiche, ma soprattutto economicamente vantaggioso per l’Europa, invece di sperperare miliardi di euro solo per respingere.

La politica non dovrebbe strumentalizzare e accanirsi sulle Ong, ma trovare delle soluzioni che non siano la solita abitudine di ricorrere a un rimedio provvisorio, per una visione che invece travalichi la punta del naso modello Minniti-Orlando.

Con il decreto dei ministri Minniti-Orlando che prevede un Centro di permanenza per il rimpatrio a misura “umana” in ogni regione, eliminazione dell’appello dopo rifiuto al diritto d’asilo,  si velocizzano le procedure per la concessione del diritto di asilo e la possibilità di svolgere lavori di pubblica utilità gratuiti e volontari. Alcuni migranti si sono organizzati e hanno “adottato” un tratto di marciapiede o di mercato rionale romano nel tenerlo pulito, affidandosi al buon cuore del passante per raccogliere qualche euro.

Papa Francesco ha più volte stigmatizzato i Centri di permanenza come lager e simbolo della negazione di qualsiasi umanità. La migrazione rimane un proficuo affare, come dimostra lo stanziamento di 19 milioni di euro per garantire l’esecuzione delle espulsioni, mentre l’Ue destina alla sorveglianza, anche con droni, delle frontiere 4,5 miliardi di euro da spendere entro il 2020.

Non è tutto, l’Ue sta impegnando complessivamente una cifra vicino ai 600 milioni di euro non solo per la ricerca e lo sviluppo di progetti per la sicurezza nel Mediterraneo, ma anche per Frontex e per Eos (European organisation for Security), il principale gruppo europeo impegnato per la sicurezza, che spinge per la creazione di un gruppo di lavoro per studiare un sistema di controllo delle frontiere denominato “EU Border check task force”.

La migrazione non è solo un “affare” per tener fuori dall’Europa gli Altri, ma anche per accogliere chi riesce a mettere piede in uno dei 27 paesi dell’Unione. Ogni governo, chi più chi meno, destina fondi per gestire una crisi che dura da anni trasformando la disgrazia di molti in lavoro per alcuni e grazie a istituzioni pubbliche e private, oltre che a singoli cittadini, si possono garantire dei pasti, e con qualche difficoltà per dare dei posti letto ad ognuno.

Nell’anno passato, il Centro Astalli, ha potuto contare sull’8 per mille Cei, Migrantes, Fondazione Bnl e Segretariato sociale Rai, per poter coprire i 3milioni e 100mila euro spesi per i servizi offerti dalla sede romana.

I Gesuiti del Centro Astalli sono impegnati sull’accoglienza, mentre i Gesuiti di Magis lavorano per sviluppare delle realtà economiche di cooperazione tra gli abitanti dei luoghi dai quali proviene parte dei migranti.

La situazione migratoria continua ad essere affrontata soprattutto con la limitazione della libertà di circolazione per alcune categorie di persone, ignorando l’articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò il 10 dicembre 1948, ma sottolineando invece l’articolo 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sulla Libertà di circolazione e di soggiorno riguardante solo i cittadini dell’Unione.

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La stitichezza informativa

Il caso del ragazzotto americano Edward Snwoden stanco di essere un oscuro analista in forze ai servizi di sicurezza statunitensi per essere sotto i fari della notorietà è una dimostrazione di quanto il giornalismo italiano è interessato a queste rivelazioni solo perché l’Italia si trova coinvolta ancora non ben chiaro se come vittima o collaboratrice, piuttosto di scoprire un Mondo che non si limita al proprio condominio.

Con il cosiddetto Datagate sembra che politici e giornalisti non abbiano mai letto una spy story o visto un film di romanzate storie di spionaggio, ma è la storia di questa società spiare il vicino per la propria sicurezza o profitto. Perché tanta indignazione per il fatto che una nazione vuol sapere di più su di un’altra? Non sono degli amici che sanno ascoltare, ma degli alleati sospettosi e Edward Snwoden non rivela niente di nuovo, l’unico imbarazzo che ha sollevato è divulgare quello che “si fa ma non si dice”, mentre in Africa come nel Medio oriente sono in atto del crisi umanitarie ben più gravi del carpire qualche informazione su quel dato paese e quali sono i suoi partner economici di riferimento.

Gli Stati uniti hanno spiato i suoi alleati e i suoi alleati non sono stati sempre affidabili nel condividere informazioni o hanno occultato accordi con nazioni che in apparenza non sono amichevoli, riformulando l’adagio del nemico del mio nemico è mio amico sino a quando non si dimostra inaffidabile come l’Occidente che promette aiuti per le carestie nel Sahel o per impegnarsi nella riconciliazione di parti in conflitto.

Politici e giornalisti sono indignati per il gioco di spie che continua ad andare tanto di moda anche dopo la fine della Guerra fredda. Nel pubblico o nel privato tutti vogliono acquisire informazioni sulle diverse controparti. L’Unione europea minaccia gli Usa di sospendere le trattative per costruire l’area di libero commercio più grande del mondo che favorirà solo le grandi imprese mentre i piccoli produttori di manufatti come dell’agricolo rimarranno schiacciati.

Gli Stati uniti fanno bene a procurarsi informazioni vista la recente scelta dell’alleato turco per un sistema logistico antimissile di fabbricazione cinese piuttosto che lo statunitense Patriot. Un altro segnale di Ankara di scegliere l’orbita d’influenza cinese e allontanarsi dalla Nato e dall’Europa.

In questo panorama di tutti che spiano tutti, come nel Grande gioco definito da Rudyard Kipling, cambiamo le modalità, ma il fine è sempre lo stesso: acquisire il potere dell’informazione.

Un’informazione che per la televisione non riesce ad andare oltre il proprio ombelico, come evidenzia il Rapporto sulle Crisi Dimenticate 2013 redatto da Medici Senza Frontiere (MSF), e anche sulla carta stampata non brilla l’interesse per il futuro d’intere popolazioni.

L’indagine, realizzata con il supporto dell’Osservatorio di Pavia, prende in esame la copertura delle crisi umanitarie nei principali notiziari (prima serata) della televisione generalista (3 della TV pubblica e 4 della TV privata). Il quadro è sconfortante: nel 2012 i telegiornali hanno dedicato solo il 4% dei servizi a contesti di crisi, conflitti, emergenze umanitarie e sanitarie. È il dato più basso dal 2006, cioè da quando MSF ha avviato il monitoraggio dei TG. Le crisi umanitarie da dimenticate sono diventate invisibili. L’attenzione dell’opinione pubblica sulla situazione in Sud Sudan, nel Mali, nella Repubblica Democratica del Congo o il dramma nel quale è precipitata la Repubblica Centrafricana con i suoi oltre 4 milioni di abitanti bisognosi di un rifugio, di cure sanitarie e di cibo è nulla, mentre qualche accenno viene fatto ai rifugiati siriani in Giordania e Libano. Queste sono alcune delle Crisi Dimenticate che MSF ritiene vengono ignorate dai Tg.

Le eccezioni le troviamo in due quotidiani (Avvenire e La Stampa) e in due reti radiofoniche della Rai (Radio 1 e Radio 3), oltre ad un settimanale come Internazionale.

È poco per un paese come l’Italia calata nel mezzo del Mediterraneo e dove le carestie e i conflitti dell’altra sponda hanno delle ripercussioni sulla vita quotidiana degli italiani come gli sviluppi di federalismo in Somalia come strumento di riconciliazione o solo per camuffare la spartizione del paese in zone d’influenza islamista da una parte e laicista dall’altra.

Ignorare il ruolo di MONUSCO (Missione di Stabilizzazione delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo) e gli sviluppi nel conflitto in Congo Orientale che contrappone militarmente il governo centrale e le milizie tutsi del M23 (Movimento 23 Marzo) con occupazione di Goma, costringendo le forze armate congolesi e i Caschi Blu di MONUSCO a una precipitosa ritirata, lasciando la popolazione nuovamente in balia dei capricci di chi impugna un’arma è una grave “disattenzione”.

Le turbolenze nel Sahel dovute alla crisi maliana creano timori per il risvegliato interesse per il Niger e gli interessi stranieri legati al suo uranio. In questo ambito trova un ruolo il Ciad nel quadro di sicurezza dell’Africa centro-occidentale con il suo intervento militare per fronteggiare le milizie salafite e qaediste. Non lontano non si può ignorare la questione del Sahara Occidentale e dell’invisibilità del popolo dello Saharawi.

I quattro cavalieri dell’Apocalisse continuano a cavalcare, ma i nostri Tg sembrano non vederli.

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Sopravvivere nell’invisibilità delle baraccopoli

L’esposizione ha l’obiettivo di mostrare gli enormi bisogni umanitari e medici di donne, uomini e bambini costretti a vivere in vere e proprie “bombe a orologeria” umanitarie. La mostra, frutto della collaborazione fra Medici Senza Frontiere (MSF) e l’agenzia fotografica NOOR, propone il lavoro di cinque fotografi (Stanley Greene, Alixandra Fazzina, Francesco Zizola, Jon Lowenstein e Pep Bonet) che hanno visitato i progetti dell’organizzazione medico-umanitaria in altrettante bidonville: Dhaka (Bangladesh), Karachi (Pakistan), Johannesburg (Sud Africa), Port-au-Prince (Haiti) e Nairobi (Kenya). Le fotografie e i video-documentari che hanno realizzato accendono un riflettore sulle fasce di popolazione più povera che emigrano in massa dalle regioni rurali verso le città, nella maggior parte dei casi finendo nelle bidonville che crescono in modo esponenziale. I visitatori potranno entrare nel cuore di immense baraccopoli “invisibili” al mondo esterno e toccare con mano le condizioni di vita estreme e le sfide che MSF sta affrontando, ogni giorno, per assistere la popolazione: malnutrizione, acqua contaminata, mancanza di servizi igienico-sanitari, infezioni, HIV/AIDS. In Asia, il fotografo Stanley Greene documenta la vita nella baraccopoli di Dacca (Bangladesh), tra malnutrizione infantile, assenza di servizi igienico-sanitari e vulnerabilità alle catastrofi naturali; Alixandra Fazzina racconta attraverso i suoi scatti la baraccopoli di Karachi (Pakistan) dove MSF assiste le persone affette da HIV/AIDS e tubercolosi. L’Africa è invece vista attraverso l’obiettivo dei fotografi Francesco Zizola che ha viaggiato a Nairobi (Kenya), fra gli abitanti di Kibera, la maggiore baraccopoli della capitale, e Pep Bonet che documenta la vita degli immigrati dello Zimbabwe presenti a Johannesburg (Sud Africa) e di coloro che vivono nella baraccopoli della città, lottando contro HIV/AIDS e tubercolosi multiresistente ai farmaci. Infine, Haiti, dove Jon Lowenstein racconta la violenza e le difficoltà di Martissant, baraccopoli della capitale Port-au-Prince, colpita anche dal colera.

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Roma

Museo di Roma in Trastevere

URBAN SURVIVORS

Dal 15 dicembre 2012 prorogata al 17 febbraioio 2013

Info: tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 21.00)

MSF

Museo in Trastevere

Info

URBAN SURVIVORS

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