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FAO: L’arte come nutrimento di riflessione

La collezione d’arte contemporanea della FAO (Food and Agriculture Organization), in occasione del World Forum 2023 (dal 16 al 20 ottobre), si è arricchita di due nuove opere che rispecchiano completamente la missione dell’organizzazione dell’ONU.

Una delle opere venne realizzata dall’artista ciadiano Idriss Bakay, scomparso nel 2017, “La vie dans le potager” (La vita nell’orto) . Una tela a tempere, di cm. 80×120, come spaccato della realtà degli orti comunitari promossi nel distretto di Mongo, dove Padre Franco Martellozzo SJ opera da più di 40 anni e dove il missionario gesuita ha promosso gli orti e la banca dei cerali, per fronteggiare la povertà e le periodiche carestie.

È Padre Martellozzo che fece conoscere alla Fondazione MAGIS l’artista ciadiano e portò alcune sue opere in Italia, in occasione della mostra di Arte Solidale, alla galleria La Pigna(2015), con la partecipazione di una sessantina di artisti e con una selezione di fotografie di vita quotidiana, realizzate dal missionario gesuita.

La seconda opera è stata realizzata, nel 2016, a più mani dagli artisti del  Collettivo Artisti Oltre i Confini (Claudia Bellocchi, Elisabetta Bertulli, Luigi M. Bruno, Gianleonardo Latini, Tiziana Morganti, Alessandra Parisi, Claudia Patruno, Rocco Salvia), come omaggio all’Arte di Idriss Bakay, con una tela a tempere acriliche di cm. 80×120.

Nell’opera di Idris Bakay è la genuina raffigurazione della faticosa vita rurale in un ambiente difficile, mentre la proposta pittorica del Collettivo è ciò che potrebbe essere per ridurre le diseguaglianze di una vita in un contesto disagiato.

Due opere che entrano a far parte della Collezione della FAO grazie anche Risoluzione n. 90 che “Nel 1951, la Conferenza ha adottato la Risoluzione n. 90, che invitava i Membri della FAO a donare opere d’arte, mobili e altri esempi del proprio artigianato nazionale e rurale, da esibire nella sede della FAO per celebrare la diversità e l’unicità delle culture di tutto il mondo che fanno parte dell’Organizzazione. Alcune delle donazioni si trovano nelle sale riunioni, altre sono visibili lungo i corridoi.”

Una risoluzione che ha permesso di acquisire opere come quella dell’artista mozambicana Bertina Lopes, di Rosey Cameron Smith, donata dal governo di Saint Kitts e Nevis nel 1995, del giamaicano David Boxer e di un altro caraibico Vincent Joseph Eudovic, che ha potuto pefezionare la sua tecnica scultorea in Nigeria grazie ad una borsa di studio dell’ONU, dell’italiano Giò Pomodoro, gli africani Gebre Kristos Desta e, Álvaro Macieira, l’australiano Edward Blitner e di molti altri.

Poi c’è il lavoro di artigiani e di artisti che hanno collaborato per la realizzazione di alcune sale di rappresentanza di alcuni stati membri dell’Organizzazione.

La FAO oltre a cercare di trovare soluzioni alla povertà alimentare, promuove l’arte come nutrimento per lo spirito ma è anche un occasione di riflessione sulle diseguaglianze alimentari.

Inoltre, per chi è interessato ad approfondire la conoscenza della FAO e delle sue “ricchezze”, si può organizzare in un gruppo e richiedere una visita guidata, rivolgendosi all’indirizzo: Group-Visits@fao.org.

Un anno con due guerre

L’anno che si è appena chiuso sarà ricordato come il peggiore di quelli recenti: alla guerra in Ucraina iniziata nel febbraio del 2022 si è aggiunta nell’ottobre 2023 quella fra Hamas e Israele. Due guerre molto diverse tra di loro, una fra nazioni e l’altra fra una nazione e un gruppo terroristico difficilmente inquadrabile in un’ottica tradizionale: Hamas: per la sua capacità organizzativa e logistica, per il raggio di azione delle operazioni militari del 7 ottobre e per il supporto che riceve da alcuni stati esterni alla Palestina non è inquadrabile come gruppo terroristico di capacità e obiettivi limitati. Piuttosto è l’esercito di uno stato nello stato. In più c’è l’appoggio di Hezbollah dal Libano e degli Houthi dallo Yemen. I primi per ora conducono azioni di disturbo dal sud del Libano, gli altri cercano di disturbare o impedire il traffico navale nel Mar Rosso, per ora contrastati da alcune navi da guerra francesi, inglesi e statunitensi: è impensabile che qualcuno si permetta di sabotare il 12% del traffico merci navale mondiale senza essere prima o poi preso a cannonate.

Un’altra osservazione: tutti sono rimasti sorpresi dalle due impreviste operazioni militari. Ebbene, mi permetto di dire che a guardar bene, l’aggressione russa all’Ucraina e il conflitto fra Hamas e Israele, pur avendo colto di sorpresa gli analisti, rientrano in una continuità storica prevedibile: l’Unione Sovietica / Russia ha sempre impedito con la forza l’attrazione delle nazioni vicine per l’Occidente, mentre Israele è da sempre in guerra con chi vuole distruggerlo. Nel primo caso in quasi cento anni ne hanno fatto le spese i Paesi Baltici, l’Ucraina, la Polonia, la Germania Est, l’Ungheria e la Cecoslovacchia, praticamente tutti tranne la Bulgaria e la Romania (anche se per motivi diversi). Occupare la capitale altrui per impiantare un proprio governo di fiducia ha funzionato per anni a Berlino, a Budapest, a Varsavia e a Praga, e nei piani di Putin avrebbe funzionato anche nell’Ucraina di Zelensky. Il passaggio dall’Unione Sovietica alla Russia di Putin non ha rotto la continuità di una politica estera, almeno una volta ripreso saldamente il timone del potere. Per certo si è sottovalutata la capacità russa di riprendere in mano una situazione di egemonia, ma non si credeva possibile una guerra ad alta intensità in Europa. Era un calcolo sbagliato ma razionale: almeno sul breve periodo, una guerra costa più di quanto puoi guadagnare sul terreno e la globalizzazione del commercio. Si è persino arrivati al paradosso di aggirare l’embargo da una parte e l’altra semplicemente perché l’economia non può fermarsi. Nulla di nuovo: nel ‘600 Spagnoli e Olandesi si facevano la guerra nelle Fiandre ma lasciavano aperto il commercio navale con cui finanziavano i propri eserciti. Anche Venezia e l’Impero Ottomano non bloccavano mai del tutto il traffico navale pur essendo spesso in conflitto aperto.

La guerra in Ucraina ha invece tutti i carismi della guerra classica, del conflitto ad alta intensità, della guerra lampo impantanata in trincee che mio nonno troverebbe familiari. Tipica “Materialschlacht”, attrito di materiali, dove vincerà chi avrà ancora qualcosa da mandare al fronte, sia mezzi materiali che soldati addestrati, ma è verosimile che si verrà a un armistizio: la guerra ha un costo che alla lunga è difficile sopportare per tutti. Ogni giorno si sono scambiati 5000 colpi di artiglieria e tra morti e feriti è verosimile calcolare 300.000 perdite per parte. Una guerra di posizione è come la prima guerra mondiale e come tale finisce per esaurimento di uno dei contendenti o per lo sfaldamento delle alleanze. Ma almeno finirà perché gli obiettivi sono limitati e razionali, mentre il conflitto fra Israele e Hamas con i Palestinesi in mezzo sa il cielo dove porterà: nessuno dei due contendenti è disposto a limitare i propri obiettivi e il conflitto potrebbe allargarsi in modo imprevisto. Difficilmente p.es. si permetterà alle batterie di missili dei ribelli Houthi di disturbare o interrompere il traffico navale nel Mar Rosso, dove passa il 20% di quello che arriva in Europa. Quanto alle Nazioni Unite, si è visto quanto valgono.

Ora qualche osservazione. Lo scopo di una guerra è impadronirsi delle risorse di un altro stato o nazione. L’ideologia crea una giustificazione emotiva più che razionale,, ma alla base le motivazioni sono sempre economiche. Se le guerre non sono frequenti (almeno in Europa) è perché nell’analisi costi-benefici condurre una guerra comporta spese maggiori di quanto si può guadagnare sul campo. La guerra è la continuazione del processo politico con altri mezzi (cito Karl von Clausewitz, un classico), ma altri mezzi possono appunto conseguire gli stessi obiettivi in modo più economico. Questo lo pensavamo ancora due anni fa, ora dovremo rivedere meglio i nostri parametri e le nostre sclerotizzate abitudini mentali

Alla ricerca dei pittori perduti 4

Laszlo Neogrady (1896-1962)

Pittore sconosciuto ai più (e mi ci metto anch’io!),ma conosciutissimo e frequente con le sue opere nelle case d’asta con la sua pittura piacevole di paesaggi nordici,innevati o primaverili, di scuola naturalistica che sfiora,possiamo dirlo, la gratificante illustrazione…Nato ai margini estremi dell”800 e vissuto fino al 1962, dalla tarda scuola impressionista ha fatto suoi pochissimi principi se non per l’amore per il paesaggio in “plein air”, e del resto è rimasto totalmente estraneo a tutte le avanguardie novecentiste. Il suo mondo,appoggiato ad una tecnica sperimentata, è quello dell’incanto naturale, boschi,fiumi,montagne e rustici villaggi, immersi in una specie di favola lontana da drammi o dinamiche che in quelli anni travagliavano l’Europa.Un pittore che scelse di coltivare il suo orticello intimista, rifugiandosi in un racconto piacevolmente narrato. Tutto ciò ovviamente ha incontrato e sodisfatto per decenni le esigenze di uno stuolo di ammiratori in cerca di dipinti per il garbato arredo di salotti piccolo-borghesi, di gozzaniani estimatori di garbate nostalgie dove rifugiarsi comodamente in attesa che passi la tempesta.

Jean Metzinger (1883/1956)

Dalla provincia, come tutti i potenziali artisti in cerca di notorietà, si trasferisce a vent’anni a Parigi dove subito (bei tempi) fa una serie di incontri e di amicizie fondamentali: Delaunay, Max Jacob, Guillaume Apollinaire, stabilendosi con sicurezza nell’area  “cubista” allora agli esordi. per non parlare ovviamente  di Braque e Picasso, i due apostoli massimi del Cubismo e della teoria della multiplicità dei piani e dinamiche strutturali del Movimento.

Oltre ad esporre con continuità nei vari Salon parigini,scrive e pubblica articoli sull’arte moderna e la sua ricerca di nuove motivazioni estetiche.

Nel 1911 partecipa naturalmente alla prima collettiva cubista al Salon des Indépendants, evento che resterà memorabile per critiche e diatribe. Teorico dell’argomento,partecipa nel 1912 alla stesura del testo ” Du Cubisme” dove si delineano le basi e le ragioni del Movimento.

Metzinger negli anni a seguire continuerà ad esporre in Francia e all’estero fino alla sua morte a Parigi nel 1956.

Il Cubismo di Metzinger non ha, a mio giudizio, la profondità concettuale di Braque né il vigore innovativo di Picasso, ma piuttosto si realizza in uno scandire di piani risolti con maggiore piacevolezza cromatica e una rassicurante plasticità rispetto alle drastiche asprezze dei suoi maestri, indicando la strada dei futuri seguaci, fino ad  oggi, dell’idea cubista.

Ralph Oggiano, il pugliese che stregò l’America

Nulla sapevo di questo grande fotografo, ma per un caso ho conosciuto quest’estate alcuni suoi familiari – le nipoti per l’esattezza – le quali mi hanno parlato a lungo di questo artista nato in Puglia ma presto emigrato in America, dove a New York si fece un nome e si affermò come uno dei più grandi fotografi della prima metà del secolo XX. Figlio di scultori, era nato ad Oria, in provincia di Brindisi (ma all’epoca di Lecce), a 17 anni emigrò nel 1920 per cercare l’America e la trovò a New York. Non avendo soldi si mise in società con un altro fotografo, Herbert Mitchell, finché nel 1934 diventò abbastanza ricco e famoso per mettersi in proprio: era ormai uno dei ritrattisti più noti di Brodway, per poi approdare al successo internazionale, riaffermato in due grandi mostre nel 1940 a New York (344 ritratti fotografici di dive e nomi famosi). Ricevette committenze e tenne mostre in Inghilterra, Austria, Germania, Italia, Yugoslavia. Il suo lavoro si caratterizza per l’espressività, a tratti monumentale, del volto umano, raggiunta attraverso un innovativo e magistrale utilizzo della luce. Simbolo di coraggio e determinazione, esempio di riscatto sociale, la sua vita rappresenta in maniera emblematica la storia dell’emigrazione pugliese nel mondo, ricalcando i passi di migliaia di italiani partiti dal loro paese natale con una valigia piena di sogni e speranze, alla ricerca di una vita migliore, ma allo stesso tempo privati del conforto della famiglia e del legame con la propria terra. Terra di cui Oggiano mai si dimenticò: sposò una calabrese di New York, ebbe figli e comprò ai genitori una villa al paese natìo. In Italia tornò solo due volte: la prima alla fine degli anni ’30, una seconda nel 1949 (morì nel 1962). Del periodo “italiano” ci restano i fotoritratti del Duce e dei suoi gerarchi e – successivamente – un ritratto di Pio XII, per ora disperso. Il ritratto di Mussolini è impressionante: a parte l’uso del flou (tipico della fotografia dell’epoca), è come se Oggiano abbia saputo leggere l’anima del suo uomo, che più che Duce appare più come un padre di famiglia italiano o se vogliamo il capo del villaggio. Nulla della retorica fascista voluta dallo stesso Mussolini, che qui ha riposto assoluta fiducia nel fotografo – è infatti un ritratto ufficiale. Ma cosa caratterizza lo stile di Oggiano, vero mago della luce? I suoi ritratti sono tutti a inquadratura alta (“waist-up”) o facciali, in bianconero con luci di schiarimento e ritocco. I toni – pur contrastati – restano così molto morbidi e sfumati.

In seguito Oggiano è stato dimenticato: la sua fotografia è troppo legata a uno stile culturalmente superato. E’ stato però rivalutato negli ultimi dieci anni negli Stati Uniti e in Italia attraverso una serie di mostre e studi specializzati (1). In Italia segnalo la collettiva del 2013 a Oria (2, 3) e quella monografica, sempre a Oria, nel 2022, curata dall’architetto Alessio Carbone, dove la famiglia ha contribuito anche con cimeli personali (4). La nipote mi ha parlato della “vecchia” villa dove erano conservati oggetti personali, foto, quadri e documenti, pazientemente riordinati da Alessio Carbone, peraltro concittadino di Oggiano. Della mostra non è stato stampato un catalogo, ma in compenso Oria ha intitolato al suo figlio una piazza. Ma a questo punto propongo un progetto visionario: Ralph Oggiano merita un film o uno sceneggiato televisivo. La sua storia così emblematica ha tutti i numeri per avere successo: il giovane emigrato italiano, la gavetta a New York, il successo, la famiglia e le stesse immagini fotografiche sulla cui elaborazione Oggiano manteneva il segreto per non rivelar nulla ai concorrenti. Anche l’incontro con Mussolini deve essere stato particolare, vista l’innata diffidenza del Duce verso il prossimo. Cosa manca per un film? Almeno tre elementi: un regista (pugliese o italoamericano), un produttore che si muova bene tra l’Italia e New York, più i contributi della regione Puglia, finora ben generosa con chi vuole produrre cinema ambientato nella Regione. E’ un sogno? Anche quello di Ralph Oggiano lo era.

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NOTE:

  1. David S. Shields, Ralph Oggiano, in Broadway Photographs – Art Photography & The American Stage 1900-1930,  (www.broadway.cas.sc.edu)
  2. https://www.exibart.com/artista-curatore-critico-arte/ralph-oggiano/  
  3. https://news.oria.info/oria-shoots-prestigiosa-mostra-fotografica-presso-palazzo-martini/201325254.html
  4. https://www.brindisireport.it/eventi/mostre/ralph-oggiano-figlio-oria-strego-usa-foto-mostra.html

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Conflitti Il Mondo in balia degli estremismi

Il 2023 si è concluso con numerosi conflitti attivi, un elenco preciso è difficile e varia da fonte a fonte e non ci sono solo l’aggressione russa all’Ucraina e Hamas – Israele, ma anche la guerra civile in Sudan e quella dello Yemen, solo apparentemente in standby sospesa per intrufolarsi tra quella di Hamas e Israele.

Altri conflitti, alcuni dei quali sono guerreggiati, dimenticati e a “bassa intensità”, dove si vedono non solo missili e dromi o cannoni e mitragliatori , ma anche fucili e pistole, lance e frecce, sino a machete e coltelli, circoscritti in piccole aree per il predominio sulle ricchezze naturali o per far prevalere gli interessi degli allevatori su quelli degli agricoltori, ma in ogni caso le vittime sono sempre le stesse: bambini e donne, ma anche operatori umanitari e dell’informazione.

Conflitti che possono variare da una sessantina a qualche migliaio, se si conteggiano anche eventi violenti che sporadicamente tuonano ad insanguinare le strade per motivi politici, religiosi e tribali, secondo le fonti come: ACLED (Armed Conflict Location and Event Data Project), Sipri  (Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma) e l’Atlante delle guerre e dei conflitti del Mondo.

L’Etiopia, la regione africana del Sahel, il Mali, la Somalia, la Repubblica Democratica del Congo, la Nigeria, il nord del Mozambico, l’Afghanistan, il Libano, Haiti, il Messico, la Colombia, lo Myanmar, tra India e Pakistan per il Kashmir, gli armeni e gli azeri, i russi e i georgiani, per non dimenticare la Siria e il governo turco contro i curdi.

Un Mondo in balia degli estremismi che si nascondono tra credi ed ideologie, ma in realtà sono solo avidi di potere e bramosi di possedere ciò che non gli appartiene, creando flussi migratori.

Ci sono migranti e migranti, come ci sono profughi e profughi, con una speranza che non trova spazio in un Mondo costruito sugli egoismi, dove quello che è mio rimane mio e quello che è tuo dovrebbe diventare mio.

Nel mondo esiste l’odio e se non c’è l’amore certamente non c’è l’empatia che può avvicinarci all’altruismo.

Usare le parole in modo inconsapevole o addirittura in mala fede possono essere un linguaggio d’odio, per questo la “Carrara di Roma”, come più recentemente Rete nazionale per il contrasto ai discorsi e ai fenomeni d’odio, indica l’uso corretto dei vocaboli e il loro contesto quando si parla di migranti.

Persone che vivevano assediate ed ora assediano, cacciati che ora praticano pulizie etniche, perché dei fanatici ritengono incompatibile la convivenza tra “differenti” culture.

Conflitti che nascono per combattere i “cattivi”, ma in realtà per nascondere che “l’erba del vicino è sempre più verde” e solo perché qualcuno vuole qualcosa che qualcun altro ha.

Sono lontani i tempi nei quali si rideva dell’esorcizzazione del possesso con il film di Stanley Donen, L’erba del vicino è sempre più verde, dove Cary Grant “ha” ciò che Robert Mitchum vuole e con il ruolo politicamente scorretto di Deborah Kerr nel ruolo dell’erba più verde.

Non possiamo soccombere alla prepotenza se non per noi almeno per chi non può difendersi creando le condizioni per scardinare l’invidia.

A molti manca quel coraggio in più dalle donazioni alle organizzazioni umanitarie che oltre a mitigare i sensi di colpa fa dispetto a quella destra incapace di empatia offrendo un impegno diretto verso gli ultimi.

L’Arte non avrà la capacità di difendere  l’umanità dalla crudeltà ma può far riflettere sulle diseguaglianze e fare da megafono ai giornalisti che fanno giungere oltre le aree di conflitto l’invocazione di un ragazzo dai fieri occhi azzurri, del suo “non ho paura, ma voglio vivere. Portatemi via di qua”.

L’Arte ha il compito di seminare dubbi e far riflettere sulle contraddizioni e le diseguaglianze che affliggono il Mondo e far dialogare le persone impegnate per la Pace.

Un’Umanità vittima della fuga dai conflitti e dalle carestie e obbligata a migrare dove la speranza di trovare un luogo per vivere per migliaia di persone naufraga in mare o nei deserti, nelle foreste o davanti al filo spinato di un confine.

Secondo il Mid-Year Trends Report dell’UNHCR (l’Alto Commissariato ONU per i diritti dei rifugiati), sono oltre 100milioni le persone che fuggono dai conflitti.

Come scriveva Italo Calvino “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.” (Le città invisibili).

È un inferno dove fanatici estremisti vengono manipolati da chi ha come unico interesse il profitto, sfruttando la Natura e le Persone. Individui in cerca di profitto ad ogni costo, spesso nascosti dietro a rassicuranti elogi della Pace.

Dovrebbe essere possibile emarginare e sconfiggere i fanatici dediti a far soffrire gli estremisti che vogliono comandare. Due entità che fanno gli interessi di chi opera scommettendo sulle disgrazie altrui.

Conflitti che si protrarranno per anni se non si troveranno soluzioni diplomatiche o “non perderà” chi resisterà di più.

L’Onu come Unione Europa, i vari stati e organizzazioni sbandierano la Carta dei Diritti Umani, ma sono diritti che non valgono per tutti. Governi che accusano altri governi di violare i Diritti e la storia si ripete con il bue che da del cornuto all’asino.

Anche la nostra Costituzione, all’Articolo 2, sancisce che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”, come ha tenuto a ricordare il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella, oltre al consigliare di praticare la gentilezza, dando il buon esempio, affermando anche che “La guerra genera odio, serve cultura di pace” e ai giovani in particolare: “L’amore non è possesso” e “La democrazia è voto e non sondaggio”, è partecipazione come cantava Giorgio Gaber.