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Roma prima di Roma

RF Mostre Roma prima di Roma 1Una interessante mostra è stata aperta presso i Musei Capitolini con il titolo “La Roma dei Re. Il racconto dell’Archeologia”. In realtà il periodo di tempo preso in esame è più ampio partendo da reperti del X° secolo a.C. fino ad arrivare al VI° secolo, praticamente dall’inizio dell’età del Ferro alla fine dell’epoca dei Re.

Sono quasi 850 pezzi suddivisi in varie sezioni che si articolano in un percorso che, contrariamente al solito, si snoda partendo dai reperti più recenti per arrivare ai più antichi. Nelle prime vetrine vengono presi in esame “Santuari e palazzi nella Roma Regia” con particolare riferimento all’area sacra di S. Omobono e i “riti sepolcrali a Roma tra il 1000 e il 500 a.C.” con esposizione di numerosi corredi tombali rinvenuti nella zona ora occupata dai Fori. Segue “L’abitato più antico: la prima Roma” con un grande e minuzioso plastico della Roma arcaica e poi una vasta panoramica di “Scambi e commerci tra Età del Bronzo ed Età Orientalizzante” con molti reperti rinvenuti in necropoli scavate nell’Esquilino nella prima fase edificatoria dopo il 1870. “Indicatori di ruolo femminile e maschile” e “Oggetti di lusso e di prestigio” continuano ad esporre oggetti in bronzo ed in ceramica generalmente di provenienza funeraria e frutto dell’opera di artigiani locali o di scambi con mercanti etruschi, latini e greci.

Conclude la mostra la sezione “Corredi funerari confusi” che espone reperti dello stesso tipo della cui contestualizzazione poco o nulla si sa, furono scavati in epoca non certissima, in luoghi appena citati senza avere alcuna cura di riportare il tipo di giacitura ed altre notizie utili a studiare l’epoca e la provenienza; sono elementi “muti” da apprezzare solo visivamente. L’esposizione si tiene in Palazzo Caffarelli tranne una sezione ospitata nelle vicinanze dell’imponente basamento del Tempio di Giove Capitolino.

La mostra è stata organizzata dall’Assessorato, dalla Sovraintendenza Capitolina e da Zetema con il concorso del Parco Archeologico del Colosseo, dell’Università la Sapienza e di quelle della Calabria e del Michigan che hanno eseguito scavi archeologici con reperti che in parte sono esposti.

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La Roma dei Re
Il racconto dell’Archeologia
dal 27 luglio 2018 al 27 gennaio 2019

Roma
Musei Capitolini

Orario:
9,30 / 19,30

Ingresso:
gratuito per chi ha acquistato per 5 euro la MIC Card valevole per un anno
info Rel. 060608

Orario
Tutti i giorni 9.30-19.30; la biglietteria chiude un’ora prima
Giorni di chiusura:
25 dicembre, 1 gennaio

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Migrazione: Europa, Europa

MP Migrazione Europa EuropaFateci caso, l’asse franco-tedesco comprende bene o male l’area geopolitica del Sacro Romano Impero, mentre tutti i paesi afferenti al “gruppo di Visegrad” – nessuno escluso – hanno fatto parte integrante dell’Impero Austro-Ungarico, compreso il Lombardo-Veneto da cui è partita la Lega. Che dire? Il Sacro Romano Impero era una potenza continentale poco interessata al Mediterraneo e ai paesi che vi si affacciano, tant’è vero che per secoli quattro minuscole Repubbliche marinare hanno potuto gestire da sole il traffico con l’Oriente. Da parte sua l’Impero asburgico ha dovuto combattere trecento anni per frenare l’avanzata dell’Impero Ottomano islamico, e solo lo storico Franco Cardini è convinto che i Turchi dopo Vienna si sarebbero fermati o addirittura sarebbero tornati indietro. Seminomadi sì, ma sempre potenza militare e demografica. Ce lo ricorda oggi proprio il presidente Erdogan, che ha convinto il suo popolo che i nomadi devono obbedire solo al Capo. Ma scendiamo giù nel Mediterraneo: come gli antichi Romani e come a suo tempo Giolitti nel 1911, anche noi abbiamo capito che non si possono tenere le coste della Libia senza controllare l’interno, anche se lo puoi fare solo con l’accordo con le tribù piuttosto che pattugliando a vuoto il deserto del Fezzan, come nel bel film del ventennio Lo squadrone bianco (1936).

Già, l’Italia. Per motivi storici quella che ai tempi di Roma antica governava il bacino del Mediterraneo – vista anche la sua posizione geografica – si direbbe che non si è mai più ripresa e senta ancora il complesso dell’invasione, tanto ben sfruttato dalle destre nazionaliste o meno. Ma non sarà certo un governo imprevisto e imprevedibile a risolvere quella che non è mai stata un’emergenza, quanto piuttosto un processo storico paragonabile solo alle grandi migrazioni del passato. Diciamolo: questa migrazione i governi precedenti l’avevano tollerata se non incoraggiata, abolendo di fatto le frontiere alla fine della Guerra Fredda. La cosa non deve stupire: anche se per motivi diversi, sia i cattolici che la sinistra internazionalista sono sempre stati estranei allo stato nazionale, i primi in nome dell’accoglienza cristiana e dell’ecumenismo, la seconda in nome dell’internazionalismo proletario e della ridistribuzione del reddito e delle risorse. Mentre i primi finora sono stati così coerenti da accettare anche l’ingresso (controproducente?) dei musulmani, una parte della sinistra europea sembra non abbia avuto il coraggio di andare fino in fondo, ripiegando su alleanze di governo o spinte elettorali di tipo nazionale (come in Francia e nel Regno Unito) e soprattutto senza esprimere i propri concetti in maniera chiara. Da qui una narrazione contraddittoria, travolta purtroppo da una crisi economica venuta da lontano ma durata dieci anni, la quale ha finito per mettere tutti uno contro l’altro; da una parte le classi medie impoverite, dall’altra gli ultimi e penultimi che vogliono la loro fetta di torta. Purtroppo a suo tempo si è molto discusso sull’impatto della globalizzazione sulle popolazioni migranti, ma non è stata analizzata adeguatamente la reazione delle società europee residenti messe di fronte al cambiamento.

E qui s’inserisce anche la paranoia, quella che si ripresenta puntuale MP Migrazione Europa Europa 1ad ogni ciclo economico gravido di sconvolgimenti sociali. Intendo analizzare una delle teorie più pericolose che girano in questi tempi: il mito della sostituzione etnica. In sostanza, ci sarebbe un preciso piano per sostituire gradualmente la stanca, invecchiata e decadente popolazione europea immettendo sangue fresco, possibilmente africano e musulmano. Non sarebbe una novità: nella storiografia germanica le invasioni barbariche sono tuttora considerate portatrici di nuove e giovani energie innervate nel decadente Impero romano, il quale soffriva esattamente delle stesse cose dell’Europa di oggi: crisi economica, crisi demografica, crisi militare. Ma qui il tutto è definito come il complotto di una élite di banchieri e finanzieri (per fortuna non più ebrei) che nelle chiuse stanze di un consiglio di amministrazione allocato chissà dove (ma sicuramente in un grattacielo) hanno elaborato il piano per cambiare il sangue al debole corpo della vecchia Europa e rilanciare in questo modo la produzione. Si sarebbe dunque pianificata la distruzione dei popoli europei attraverso l’attacco mirato e scientificamente perseguito alla natalità europea e grazie alla deportazione da Africa e Asia di milioni di individui sradicati che avrebbero imbastardito la razza e la cultura europea e distrutto l’identità, determinando così una massa informe di cittadini senza radici, senza patrimonio, origini, avi, tradizioni, legami comunitari e quindi facilmente assoggettabile da parte dei poteri finanziari e priva di ogni possibilità di resistenza.

Intanto, l’attacco alla natalità gli europei se lo sono pianificato da soli: la denatalità è il risultato di una serie di fattori tutti interni alle società europee. In secondo luogo, è vero che una massa di “diversi” rompe equilibri consolidati, ma è anche vero che questo processo non nega affatto l’idea di Europa, la quale altro non è che il punto terminale di una serie di migrazioni che si sussegue da millenni. Lungi però dal diventare il nulla indistinto, questa entità diventa sempre qualcos’altro, formando nuove culture e nuove società che trasmettono e riesportano in forma anche aggressiva il prodotto finale. Basti pensare all’epoca dell’espansione coloniale. E in fondo il mito del ratto di Europa significa proprio questo: quello che entra da fuori si trasforma in qualcosa di ben diverso dall’identità originale. Altro che perdita d’identità, casomai è proprio il contrario. Come si vede, oltre che paranoico il discorso del complotto è superficiale.

MP Migrazione Europa Europa 2Altro punto debole della tesi è la puerile confusione tra economia e finanza. L’economia ha bisogno di spostare uomini, la finanza no. Una fabbrica ha bisogno di materie prime, di operai, di mercato, mentre la finanza oggi può spostare capitali senza neanche muovere un atomo di materia, meno che mai nell’epoca dell’internet e del digitale. E allora che senso ha trasferire milioni di uomini da un continente all’altro? In finanza nulla, mentre in economia è diverso: il vuoto non esiste e in genere l’ingranaggio si autoregola: laddove c’è lavoro ma servono altre risorse umane il vuoto viene colmato in breve tempo. Sull’integrazione degli immigrati si può e si deve discutere, non riducendo il problema ai contributi per le pensioni o semplificando gli attriti tra culture diverse, né adattandosi forzatamente a costumi estranei ai nostri per paura di un confronto: gli spostamenti di uomini portano anche conflitti. Pur tuttavia l’economia ha le sue leggi. Alla gente semplice invece piacciono i complotti: semplificano al massimo la realtà e trovano subito il colpevole. Persino una società democratica rappresentativa sente ancora il fascino della cospirazione di poche persone riunite al chiuso di una stanza dei bottoni. Peccato che non sia la realtà. Esistono invece le convergenze di interessi, ma non è detto che esse siano strutturate e programmate come uno pensa, anzi sembrano spesso portare a conseguenze inaspettate ed effetti collaterali non previsti. L’importante è dunque saper gestire il cambiamento. Ma per farlo bisogna prima capirne la dinamica.

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Qualcosa di più:

Migrazione: bloccati prima o parcheggiati dopo
Africa: Il Sahel italo-francese non «combat»
Migrazioni, cooperazione Ue-Libia | L’ipocrisia sovranazionale

Migrazione | Conflitti e insicurezza alimentare
Migrazione in Ue: il balzello pagato dall’Occidente
Migrazione: Un monopolio libico
Migrazione: non bastano le pacche sulle spalle
Migrazione: umanità sofferente tra due fuochi
Migrazione: Orban ha una ricetta per l’accoglienza
Aleppo peggio di Sarajevo
Migrazione: La sentinella turca
Migrazione: Punto e a capo
Migrazione: Il rincaro turco e la vergognosa resa della Eu
Europa: la confusione e l’inganno della Ue
Europa e Migrazione: un mini-Schengen tedesco
Migrazione: Quando l’Europa è latitante
Un Mondo iniquo
Rifugiati: Pochi Euro per una Tenda come Casa
Siria: Vittime Minori
Europa: Fortezza d’argilla senza diplomazia
La barca è piena
Il bastone e la carota, la questione migratoria

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Africa: una scaltra “Democrazia”
Africa: attaccati al Potere
Africa: le Donne del quotidiano
Le loro Afriche: un progetto contro la mortalità materno-infantile
Africa: i sensi di colpa del nostro consumismo
Solidarietà: il lato nascosto delle banche
I sensi di colpa del nostro consumismo
Le scelte africane

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Il culto della personalità nel Novecento

AP Libri International CommunismScrivere di comunismo e di culto della personalità oggi, quando si celebra l’apoteosi del modello unico neocapitalista (in equilibrio fra neoliberismo e sovranismo) può sembrare un lavoro scomodo. Eppure, mai come oggi è di stretta attualità, visto che sempre più spesso organizzazioni politiche collegiali, magari anche di tradizioni secolari, vengono sostituite nel consenso di massa da partiti personali oppure fortemente influenzate dalle cosiddette “personalità”. Si possono fare diversi esempi: dalla Francia di Macron, Le Pen e Melenchòn, all’Italia di Berlusconi, Renzi, Grillo e Salvini, fino agli USA di Trump, per non parlare della Russia di Putin. In questo contesto, alla luce del peso che il movimento comunista internazionale ha avuto nella storia del secolo scorso, sia nei Paesi dove è andato al potere, sia in quelli dove è rimasto all’opposizione o dove addirittura ha continuato ad essere perseguitato, la bella ricerca di Kevin Morgan (docente di Social Sci Politics alla University of Manchester, e studioso del movimento comunista britannico e internazionale) è particolarmente prezioso. Attraverso la consultazione e la selezione di un vasto elenco di fonti (raccolto in diversi archivi fra Parigi, Londra, Manchester e Mosca) e di una sterminata bibliografia, l’autore ricostruisce la storia di questo rapporto fra comunismo e ruolo della personalità nel Novecento, in un excursus che va dalla Rivoluzione d’Ottobre fino al movimento zapatista messicano di fine secolo. Attraverso i sette capitoli in cui è suddiviso il libro, Morgan scompone il fenomeno nel tempo e nello spazio. Cronologicamente vengono individuate quattro fasi specifiche: 1) il periodo rivoluzionario dal 1917 fino alla morte di Lenin nel 1924; 2) quello che va dalla metà degli anni Venti a quella degli anni Trenta, in cui il feticismo religioso di Lenin è ancora preponderante; 3) la vera e propria fase in cui esplode il culto della personalità, con l’ascesa e l’affermazione del culto della personalità di Stalin (1935-1956); 4) la fase post-staliniana, dal rapporto Khrushchev al “fenomeno Marcos”, passando per il culto di Mao e dei leader dei movimenti di liberazione asiatici. Ma Morgan declina anche in termini tematici il fenomeno, che non può essere ridotto solo a Stalin e allo stalinismo. Ecco che quindi egli affronta il tema del leader come incarnazione dell’importanza e del ruolo storico del partito, il segretario generale come garante supremo dell’unità e dell’integrità del partito e dalla sua comunità militante, fenomeno questo che appartiene a tutte le specificità nazionali del movimento comunista. Fu così ad esempio per il PCF di Thorez, per il CPGB di Harry Pollit, per il PCI di Togliatti e per il PCE di Dìaz. Inoltre, l’autore evidenzia come il culto della personalità non fu solo «culto del potere», ma anche volano di un preciso immaginario dello scontro rivoluzionario, attraverso la figura del militante/dirigente «martire» (come l’italiano Gramsci o il tedesco Thälmann), del leader rivoluzionario di estrazione operaia (come ancora il francese Thorez, l’australiano Miles o lo spagnolo Dìaz), o infine della personalità carismatica, della «figura avvincente» (enkindling figure) il cui prototipo era stato Lassalle e che in Europa avrebbe visto fra gli altri il bulgaro Dimitrov, la spagnola Ibarruri, ma anche lo scozzese Willie Gallacher. Pur non nascondendo le conseguenze terribili che il culto della personalità ha avuto in URSS e in buona parte dei Paesi nei quali il movimento comunista è andato al potere nel secolo scorso, anzi dedicando loro diverso spazio nel libro, Morgan comunque non perde di vista il fatto che il comunismo e i suoi esponenti emersero nel “secolo breve” come il migliore strumento al servizio dei movimenti rivoluzionari e per la diffusione di una cultura della solidarietà che rivendicò anche il diritto ad essere praticata. Il leader rivoluzionario o di partito, il segretario generale divennero quindi per milioni di persone una sorta di simbolo che induceva all’azione e alla resistenza contro l’attendismo e l’immobilismo, caratteristica familiare di una certa politica radicale, indipendentemente che la battaglia venisse persa (come nel caso di Thälmann in Germania) o vinta (come in quello di Dimitrov). D’altronde, il carattere distintivo del comunismo non risiedeva necessariamente nell’intreccio di questi valori simbolici con un certo autoritarismo burocratico del partito (Morgan ricorda che questo era già presente nei partiti della Seconda Internazionale). Ciò che invece in essenza distinse l’esperienza comunista fu che il fatto che questo forte simbolismo rivoluzionario (incarnato dalle grandi personalità del movimento comunista internazionale) fu imbrigliato nella realpolitik di Stato (anche dove il potere non era stato conquistato) con il suo corollario di cinismo e brutalità.

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International Communism and the Cult of the Individual
Leaders, Tribunes and Martyrs under Lenin and Stalin
(Comunismo internazionale e culto della personalità nel Novecento)
di Kevin Morgan
Palgrave Macmillan, London, 2017, pp. 363

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Il potere è femmina

AB Libri teodoraCome sempre la storia è in grado di offrire grandi spunti narrativi, quando poi si va a “pescare” nel periodo storico scelto per questo romanzo i racconti sono quasi infiniti.

Per entrare meglio nei dettagli possono essere un buon punto di partenza le parole dell’autrice nei ringraziamenti finali, dove dice:

“… E a tutti coloro che lo leggeranno e si divertiranno, perché chi scrive qualcosa lo fa sempre per i lettori, sperando che questa storia piena di avventure, intrighi e colpi di scena vi consenta di passare qualche ora divertendovi…”

Può sembrare strano ma in queste tre righe Mariangela Galatea Vaglio, riesce a fare al suo stesso romanzo una una piccola e semplice recensione, perché la sua storia diverte, è piena zeppa di avventure e colpi di scena e si fa leggere in davvero poco tempo.

Il libro narra le vicende di Teodora, una delle figure più importanti della storia dell’impero bizantino vissuta a Costantinopoli nella prima metà del 500 d.C. Per rispetto di chi non conosce la sua storia non verrà svelato qui chi fu e cosa fece se non che la sua carriera ebbe inizio come attrice, un attrice molto particolare visto che, più che le parole, era il suo corpo a parlare… E sapeva usarlo molto bene a giudicare dagli obiettivi raggiunti.

Seppur la storia di Teodora sia piena di luci e ombre specialmente per i suoi inizi, giustificabili però con il fatto che allora le donne molto altro non potevano fare, il suo temperamento e il suo coraggio rappresentano un po’ il riscatto come donna, laddove riuscì ad utilizzare i suoi doni per affermarsi nella società e a mettere in riga i prepotenti.

Il suo personaggio riempie molte delle pagine del romanzo mentre in quelle dove lei non figura la scena è presa da colui che fece l’altra parte di storia a quel tempo, Pietro Sabbazio Giustiniano, detto semplicemente Giustiniano.

Nipote del generale Giustino che fu un fidato servo dell’imperatore Anastasio, Giustiniano seguì dapprima le orme dello zio nell’esercito per poi dedicarsi maggiormente alla politica di Costantinopoli, dove pian piano riuscì a ritagliarsi un suo spazio, favorito anche dall’appoggio delle fazioni del circo di città che allora controllavano il popolo.

Il circo. Non si può parlare di questo romanzo senza menzionare l’importanza che il circo di Costantinopoli aveva nel contesto politico non solo di Costantinopoli ma di tutto l’impero, dal momento che, il primo appoggio che l’imperatore doveva avere era il loro, pena la rivolta. E per avere questo appoggio tra le cose più importanti a cui l’Eletto doveva pensare era la religione. In quegli anni infatti, l’impero era attraversato dalle correnti dei monofisiti e dei calcedoniani, questi ultimi appoggiati dalla sede centrale della Chiesa situata ancora a Roma, seppur il suo splendore sia ormai un ricordo lontano. I monofisiti erano invece odiati dalla Chiesa ma avevano comunque un peso politico notevole a cui l’imperatore non poteva voltare le spalle, cosa che, come scoprirete leggendo il libro, non era per nulla facile.

Teodora e Giustiniano i protagonisti dunque, accompagnati da un carrellata di altri personaggi storici che si alternavano nella lotta al potere o che, come semplici comparse, erano in grado di cambiare gli equilibri di un impero come quello Bizantino. Detto questo però, e tornando alle parole iniziali, la storia si può leggere e conoscere anche divertendosi ed è quello che un po’ succede leggendo questo romanzo a volte un po’ “peperino”, capace di non cadere mai nella noia, svelando i retroscena più oscuri di un impero prestigioso e regalando momenti di piacevole lettura con qualche particolare piccante.

Il libro sembra essere il primo di una serie di romanzi che andranno a comporre la “Saga di Bisanzio”, del resto la storia è lunga e un solo romanzo sarebbe sprecato, chissà quali altri misteri si celano dietro questa figura affascinante di cui è bene ricordarsi il nome, Teodora.

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Titolo: Teodora. La figlia del circo. La saga di Bisanzio
Autore: Mariangela Galatea Vaglio
Editore: Sonzogno, 2018, pp. 380
Disponibile anche in ebook
Per informazioni sull’autrice è possibile visitare il suo blog

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Migrazione: Bloccati prima o parcheggiati dopo

Un recente sondaggio mostra che non solo i “sovranisti” che sventolano periodicamente il progetto del blocco navale approvano una cintura di sicurezza nel bel mezzo del Mediterraneo, ma lo approvano anche uno su tre degli elettori del Pd, l’86 per cento in Forza Italia, il 75 per cento tra i sostenitori del Movimento 5 stelle, il 93 per cento dei leghisti.

È sconfortante leggere quanti cittadini seguono la proposta della Meloni senza riflettere quanto costa schierare dei mezzi navali, con aerei ed elicotteri ad affiancarli, in modo permanente con una spesa per le casse dello Stato ben superiore a quanto viene impegnato per il soccorso e l’accoglienza.

Sarà difficile trovare altri membri dell’Unione europea, forniti di mezzi navali, che si vorranno impegnare in un’operazione destinata a fallire per l’ampia area da presidiare e pattugliare.

Salvini e Meloni, dopo aver applaudito per l’operazione “crociera” dell’Aquarius, potranno contare sull’appoggio dell’Ungheria e dell’Austria, come magari anche della Repubblica Ceca e Slovacca, che come è risaputo sono dei paesi sprovvisti di una marina.

Il governo Prodi attuò un blocco navale davanti all’Albania, ma lo spazio d’intervento era ridotto e la Pinotti del governo Pd aveva già affrontato l’argomento e bollato come inattuabile perché potrebbe essere interpretato come un atto ostile. Un precedente blocco navale davanti alle coste libiche era motivato dalla situazione di conflitto e non ha avuto un esito positivo.

La proposta dell’allora ministra della Difesa Pinotti era indirizzata ad un’attività di sostegno alle unità libiche, prospettando azioni d’autodifesa dei nostri militari in quanto “lecite”.

Le commissioni congiunte Difesa ed Esteri di Camera e Senato per la missione italiana in Libia ha ottenuto il voto favorevole del Pd e di Forza Italia, lo schieramento pentastellato leghista si è espresso contrario, mentre FdI si è astenuta.

Comunque sia stato il comportamento dell’Italia nel passato ora è il 64 per cento degli italiani ad approvare il blocco navale per fermare i migranti.

Un blocco navale che si dovrà pensare come attuarlo, se otterrà l’appoggio di quell’Ue provvista di mezzi navali efficienti, escludendo da tale conteggio Malta e Cipro impegnate più a fare affari offshore che sentirsi europeisti.

Potrebbe essere attuato passivamente, mettendosi davanti alle bagnarole e gommoni, prendendo a modello il contadino che attrezza il suo campo con spaventapasseri, o forse apriranno il fuoco come l’agricoltore per spaventare gli inopportuni uccelli, ma i mezzi navali potrebbero provocare onde insidiose per i piccoli natanti, con il rischio del loro rovesciamento e causare dei morti.

Intanto l’autoritario ministro degli Interni decreta il blocco dei porti per le navi delle Organizzazioni non governative e annuncia consistenti investimenti nei luoghi d’origine dei migranti “fuggitivi”, ma non spiega se saranno elargiti ai governi corrotti o per progetti seguiti da organizzazioni indipendenti.

Si era pensato agli hotspot su piattaforme galleggianti o nei paesi solitamente usati per imbarcarsi, si è anche collaudata la collaborazione con la Turchia come paese filtro per entrare in Europa e l’utilizzo di isole greche, prendendo ad esempio la trovata australiana nel ghettizzare i migranti in un’isola come Manus in Papua Nuova Guinea, ma la proposta della Ue di usare paesi extra Unione come Albania e Kosovo come parcheggio potrebbe trovare dell’interesse da parte di Macron e Sanchez, promotori dell’istituzione di “centri chiusi” sul territorio europeo “nei Paesi di primo sbarco”, aprendo alla proposta italiana per cui “chi sbarca in Italia sbarca in Europa” e questo varrebbe per qualsiasi altro luogo dell’Unione, per superare il trattato di Dublino.

Gli hotspot si vogliono spostare sempre più in là della Libia, magari in Niger, così Agadez non sarà più solo la porta del deserto, ma quella dell’Europa, con il continuo esternalizzare i confini europei.

In Niger i militari europei e statunitensi sono già presenti per antiterrorismo, o Ciad, magari in Nigeria. Una soluzione meno impegnativa, appurato che la realizzazione di centri è rendere difficili i flussi migratori, non potrebbe essere una soluzione mettere in sicurezza luoghi di partenza e sovvenzionare piccole imprese per dare una prospettiva di vita dignitosa?

Dopo il summit della Ue di fine giugno sulla migrazione, dove tutti hanno cantato vittoria, quello appare sicuro è un’Europa schierata contro le Ong e irremovibile nel bloccare i flussi migratori, oltre a finanziare strutture repressive in ogni luogo, magari su modello Ellis Island, e tutto il resto su è su base volontaria, non più obbligatoria, fa esultare il Gruppo di Visegrád (Polonia, Rep. Ceca, Slovacchia e Ungheria).

Passi indietro rispetto ai precedenti summit e alla possibilità di aprire delle procedure di infrazione contro gli stati inadempienti. Ora è tutto volontario e l’Europa è sempre più in ordine sparso, trovandosi d’accordo solo nel foraggiare governi corrotti e non impegnarsi nel realizzare delle microimprese, come ci dimostrano i centinaia di milioni di euro per motovedette e addestramento di eserciti.

Un progetto di piscicoltura in Camerun, in Togo la coltivazione dei funghi, buoni e con ottime proprietà nutritive, a Tambacounda, in Senegal, una lavanderia, gli orti comunitari nel Ciad. Microimprese, seguite dalla Fondazione Magis, che non coinvolgono solo intere comunità per dare un’alternativa alla migrazione, ma offrono a gruppi di donne una via all’emancipazione. Nel futuro dell’Africa potrebbe esserci anche la produzione di bioplastica dagli scarti vegetali, grazie alla ricerca dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) e dall’interesse che ha mostrato il presidente della Costa d’Avorio.

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