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Memoria labile per una pace instabile

Nei tempi antichi, valorosi quanto rozzi capitribù eleggevano ad antenati gli eroi omerici o mettevano l’aquila nel loro vessillo, iniziando così la propria ascesa sociale verso la nobiltà. Coscienti della finzione ideologica, tutti facevano finta di crederci, tanto le questioni dinastiche più che in archivio venivano chiarite sul campo di battaglia, né il consenso delle masse era l’ossessione di un potere ancora in mano a pochi. Oggi assistiamo a un fenomeno curioso: meno il potere è democratico, più si preoccupa di creare un consenso collettivo attorno al regime, imprigionando i dissidenti ma creando al contempo una complessa macchina di propaganda. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti, penso alla Turchia di Erdogan. Meno frequente ma ben più preoccupante è un altro fenomeno, relativamente nuovo: la censura sulle ricerche storiche e la revisione della storia nazionale vengono ora condotte in piena Europa da governi di repubbliche parlamentari e democratiche. Il governo polacco ha infatti stabilito per decreto che l’Olocausto ed Auschwitz sono stati gestiti esclusivamente dai tedeschi, che i polacchi sono sempre stati estranei alla faccenda e che naturalmente l’antisemitismo non è mai attaccato nel popolo polacco. È un falso storico identitario, ma la cosa più grave è che chi afferma il contrario sarà penalmente perseguito. Ricordiamo che in democrazia la libertà d’opinione è un diritto costituzionale e che qualsiasi ricostruzione storica va prima documentata in archivio e resa pubblica solo dopo un controllo delle fonti. Altrimenti non è informazione.

Ora, la storia nazionale – o meglio, la storiografia – è spesso condizionata da ideologie e pressioni politiche; inutile negarlo. Pur senza arrivare al falso storico, secondo il clima politico si previlegia il contributo di una componente sociale o politica o militare a svantaggio di un’altra, che rimane un po’ in ombra. L’importante è che in democrazia la memoria sia condivisa, laddove una società gerarchica ed elitaria certi problemi non se li pone nemmeno. Tutto facile? No, visto che ancora si discute se la Resistenza sia stata un atto fondante della democrazia italiana. Ma è proprio nel revisionismo storico che si annida la riscrittura della memoria, come se la storia nazionale fosse un DVD riscrivibile. Pensavo in questi giorni al monumento ai parà tedeschi a Cassino, smontato ancora prima di essere inaugurato. L’avevano promosso alcuni albergatori locali, i cui clienti suppongo siano i figli e nipoti dei parà di allora, col patrocinio della loro associazione d’arma. Che la grotta, sede del loro comando in quei drammatici giorni, sia oggi una discarica abusiva invece che un museo è deplorevole, ma va anche detto che quel reggimento – lo stesso che ha liberato Mussolini – è stato in assoluto il reparto nazista che in Italia ha fatto più danni degli altri, occupando da subito l’aeroporto di Pratica di Mare e quindi Roma, inchiodando per mesi gli Alleati a Cassino e reprimendo duramente la resistenza nelle retrovie. Che fossero soldati tenaci e ben addestrati è senz’altro vero, ma la guerra è fatta anche di idee e il nazismo considerava i suoi parà uomini duri e fidati.

In difesa del monumento mancato ha preso posizione anche una parte dell’opinione pubblica, citando i tanti cimiteri militari in Italia e all’estero, dove riposano soldati di ogni paese. Da parte mia obietto che una cosa sono i sacrari e i cimiteri militari, altro invece i monumenti commemorativi, che per definizione ricordano un avvenimento o più spesso lo celebrano. I primi sono esercizi di “pietas”, gli altri risentono per forza dell’ideologia. Questo di Cassino doveva essere un monumento alla pace? Beh, pochi ricordano che il “cippo della pace” che in Sicilia ricordava il luogo dove fu firmato nel 1943 l’armistizio di Cassibile (fraz. di Siracusa) fu fatto sparire qualche anno dopo e non si è più trovato. I responsabili del gesto affermarono in seguito che quella lapide non esaltava la pace ma ricordava la resa incondizionata dell’Italia agli Alleati. Come si vede, nessun monumento è neutrale e la pace uno se la deve conquistare.

 

L’Europa in cerca di una nuova anima

La nuova Cortina di Ferro all’interno dell’Unione europea vede ampliarsi il Gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria) con lo spostamento a destra dell’Austria e che farà muro contro l’impennata d’orgoglio dell’Ue nell’attivazione delle procedure previste dall´Articolo 7 dei Trattati, quando si riscontrano delle violazioni gravi di uno Stato membro, la Polonia, dei valori fondamentali dell’Unione.

La Polonia rischia sanzioni che prevedono la riduzione degli aiuti e la sospensione dei diritti di voto, per aver approvato una riforma che mina l’indipendenza della giustizia polacca, mettendo in pericolo lo Stato di diritto.

Il vicepresidente della Commissione europea e Commissario europeo per la migliore legislazione, Frans Timmermans, ha affermato che la Polonia ha adottato, in questi ultimi anni, 13 leggi capaci di mettere in pericolo i valori fondamentali per uno stato democratico.

L’Europa solo ora si accorge di quanto la Democrazia sia in pericolo in Polonia, dopo aver lasciato da sole tutte quelle migliaia di persone che hanno manifestato per settimane contro il progetto legislativo per ingabbiare la Giustizia.

Per sospendere la Polonia dal diritto di voto in Consiglio, prevista dall’articolo 7 del Trattato, serve l’unanimità degli Stati membri che si prevede difficilmente raggiungibile, vista l’opposizione scontata dell’Ungheria di Viktor Orbán e degli altri del Gruppo di Visegrá.

Il Consiglio d’Europa potrebbe sospenderli tutti, dopo aver riscontrato non solo una deriva autoritaria nei singoli paesi, ma anche per la loro avversità a conformarsi alle scelte sulla ripartizione della ricollocazione dei richiedenti asilo all’interno della Ue.

Anche in occasione della risoluzione di condanna del riconoscimento unilaterale di Gerusalemme capitale d’Israele, messa in votazione all’assemblea generale Onu, lo schieramento dei paesi dell’est europeo (Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Romania), si è differenziato dal resto della Ue, scegliendo di astenersi e non esprimere un voto contrario.

L’Europa, in occasione del caso Polonia, si sta muovendo non più per procedure di infrazione di ordine economico, ma per i valori fondanti dell’UE, e ciò potrebbe essere l’occasione di rifondare Unione sui principi originari e non solo sugli interessi economii.

Per l’Europa, ritrovare l’Anima del Manifesto di Ventotene, è un’opportunità per riscattarsi dai tanti anni di arido tecnocratismo e trovare un’unità nei valori etici piuttosto che sulla convenienza.

Una convenienza che i paesi di Visegrá sembrano aver ben messo a frutto e ora, dopo aver preso tutto il possibile dalla Ue, si apprestano rendere difficile la convivenza tra gli stati membri.

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Qualcosa di più:
Europa: anche i tecnocrati sognano
Migrazioni, cooperazione Ue-Libia | L’ipocrisia sovranazionale
Migrazione | Conflitti e insicurezza alimentare
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Macron: la Libia e un’Europa in salsa bearnaise
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Europa: ogni occasione è buona per chiudere porte e finestre
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Europa: cade il velo dell’ipocrisia
Europa: i nemici dell’Unione
Europa: la confusione e l’inganno della Ue
Tutti gli errori dell’Unione Europea
Un’altra primavera in Europa

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Migrazione: Il balzello pagato dall’Occidente

L’Europa continua a distribuire soldi per bloccare la migrazione, rincorrendo i cambiamenti dei flussi, affidandosi a stati o a gruppi che non hanno mai dato dimostrazione di operare nell’ambito dei Diritti umani.

Si è trattato per arginare gli spostamenti dai paesi dell’est, dal Medioriente e dal nord Africa, lasciando il lavoro sporco agli altri, limitandosi ad elargire contributi, mostrandosi sempre con le mani pulite, ma non è così. L’Europa cerca di creare una rete di sentinelle esterne e interne ai confini europei.

Una Unione europea che foraggia alcuni stati perché “ospitino” migliaia di persone, fa finta di ignorare l’edificazione di muri e il Parlamento europeo si lava la coscienza promovendo il Premio Sacharov  per la libertà di pensiero, affermando di sostenere i diritti umani.

Delega ad altri drammi e scontri sociali per non sapere come si tiene lontani dall’Europa i popoli che fuggono da conflitti e carestie, ma poi accade che uno dei tanti Adan muore a 13 anni nelle civilissime contrade europee per il rispetto delle burocrazie e qualcuno si indegna perché è venuto a conoscenza che è accaduto davanti alla propria porta e non gli avevano nascosto il fattaccio.

La Ue ha una fievole voce nell’ambito dei Diritti umani, fa delle dichiarazioni di rito, magari minaccia, ma non riesce ad andare ai fatti. L’Unione che esiste quando fa i richiami e le reprimende, apre procedure d’inflazione ai singoli stati o infligge multe sui rifiuti o sull’anti-trust delle grandi compagnie, non riesce poi ad aggregare l’attenzione per partecipare agli oneri di una politica migratoria condivisa e non lasciata come zavorra ad alcuni paesi, salvo quando è il commissario per i Diritti umani del Consiglio d’Europa Nils Muiznieks che invia una missiva direttamente al ministro degli interni Minniti per avere dei chiarimenti sull’accordo con Libia, sul tipo di sostegno operativo e se i diritti degli migranti sono rispettati.

La questione dei migranti economici è un ispido punto che ha trovato l’ostilità di Macron non più lontano di un paio di mesi fà, ma Junker conosce i numeri e prevede che l’Europa avrà bisogno anche di nuovi lavoratori, una necessità per un continente europeo che sta invecchiando, prospettando l’apertura di canali legali, ma perché proporre dei «progetti pilota, quando i corridoi umanitari sono ben collaudati dal dicembre del 2015, dalla Comunità di Sant’Egidio, dalla Federazione delle Chiese Evangeliche e dalla Tavola Valdese che hanno sottoscritto un protocollo con Viminale e Farnesina, corridoi attivati in Libano, Marocco e Etiopia, a spese delle stesse associazioni, grazie alle risorse provenienti dall’8 per mille, con controlli scrupolosi e la rilevazione delle impronte digitali?

I corridoi umanitari pensati per la Ue sono differenti, non sono a fine umanitario, prevedono di agevolare l’ingresso in Europa dei migranti qualificati e il rilascio della Carta blu, contrastando il pensiero di Macron del luglio passato, basato sulla diversificazione dei diritti, ostacolando la migrazione di chi è in cerca di lavoro, ribadendo la necessità di istituire “una polizia europea delle frontiere”.

Più che una polizia europea abbiamo, con le ultime elezioni politiche in Austria e nella Repubblica Ceca, un cordone xenofobo che dalla Polonia scende giù nei Balcani per bloccare la nuova via di migrazione che dalla Turchia porta alla Romania, più che alla Bulgaria presidiata da milizie anti profughi, dove la migrazione è attiva con battelli per attraversare il Mar Nero.

È un’illusione pensare di bloccare le migrazioni, tuttalpiù si possono momentaneamente arginare, ma poi trovano altre vie ed ecco timidamente si riapre il flusso dal Marocco alla Spagna, ma anche dalla Tunisia e molti sono i migranti salvati dai pescatori tunisini e altri, molti altri, come purtroppo la sessantina di corpi, tra giugno e agosto 2017, sono arrivati senza vita sulle coste tunisine di Zarzis.

L’Occidente paga per spostare sempre più lontano dai sui confini i centri per “ospitare” i tanti profughi, invece di creare e gestire in prima persona la migrazione, le strutture di accoglienza e di assimilazione.

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Qualcosa di più:

Migrazione: Un monopolio libico
Migrazione: non bastano le pacche sulle spalle
Migrazione: umanità sofferente tra due fuochi
Migrazione: Orban ha una ricetta per l’accoglienza
Aleppo peggio di Sarajevo
Migrazione: La sentinella turca
Migrazione: Punto e a capo
Migrazione: Il rincaro turco e la vergognosa resa della Eu
Europa: la confusione e l’inganno della Ue
Europa e Migrazione: un mini-Schengen tedesco
Migrazione: Quando l’Europa è latitante
Un Mondo iniquo
Rifugiati: Pochi Euro per una Tenda come Casa
Siria: Vittime Minori
Europa: Fortezza d’argilla senza diplomazia
La barca è piena
Il bastone e la carota, la questione migratoria

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Migrazione: Non bastano le pacche sulle spalle

Per anni l’Europa non ha mostrato interesse alla questione migratoria che coinvolgeva le “frontiere” del Mediterraneo, poi sono cominciati i rimproveri per il poco impegno italiano nello schedare e nel non riuscire a tenere quei fuggitivi in Italia, nel rispetto della convenzione di Dublino, ma solo da poco si è inaugurata l’era delle pacche sulle spalle, dei ringraziamenti per il lavoro svolto.

Ora però sarebbe opportuno andare oltre la semplice rassicurazione del presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker nell’affermare che l’Italia può “continuare a contare sulla solidarietà europea” sul fronte della crisi dei migranti.

Un piccolo passo è stato compiuto da Macron, europeista e sovranista, con la sua critica ai paesi dell’est che hanno confuso l’Unione europea come un emporio dove fare la spesa senza pagare la merce acquistata, mostrando cinismo nel trattare la questione dei rifugiati.

Il presidente francese pone comunque dei distinguo tra i profughi dalle violenze e quelli della carestie, come se morire di fame e sete non fosse una violenza pari a quella di trovarsi vittime di conflitti, solo per ribadire, come aveva fatto Hollande, che la Francia si attiene al nuovo trigono del motto della Rivoluzione francese in “Liberté, Égalité, Telibecchitè”, trovando la Fraternité obsoleta, chiudendo da tempo le frontiere.

Con il vertice di Parigi tra Italia, Francia e Germania, il ministro degli interni italiano ha posto la questione di un codice per le Ong impegnate nel Mediterraneo, oltre ad indirizzare le navi su altri porti per lo sbarco dei migranti ed a maggiori pressioni sui paesi europei non impegnati nella ricollocazione.

Un vertice quello parigino che si è posto come preparatorio a quello del G20 a Amburgo, ma soprattutto all’incontro informale dei ministri dell’Interno dell’Unione a Tallinn per superare le minacce italiane di chiudere i porti italiani alle navi straniere, con una revisione del Trattato di Dublino.

Mentre l’Italia minaccia la chiusura dei porti, Francia e Spagna, insieme ad altri paesi che non si affacciano sul Mediterraneo, sprangano i loro approdi e l’Austria mette in scena un spot elettorale, poi rientrato, con il voler schierare i blindati sulla frontiera del Brennero, come dimostrazione di tanta ammirazione e empatia per lo sforzo italiano.

Anche l’avvertimento del commissario alla Migrazione Dimitris Avramopoulos sul “Ricollocarli o ci saranno sanzioni” gridata contro l’Ungheria, la Polonia e la Repubblica Ceca, pronto a proporre l’apertura di procedure d’infrazione, rimane solo una vaga minaccia.

A Berlino, al vertice preparatorio del G20, il primo ministro italiano Paolo Gentiloni ringrazia “i leader per la solidarietà e la comprensione per le difficoltà che dobbiamo affrontare in comune”, ma aggiunge anche che dopo tante espressioni di solidarietà è ora di passare ad un aiuto più concreto.

Il concreto aiuto che l’Italia si aspetta, viene specificato dal ministro degli interni Marco Minniti, in un maggiore coinvolgimento europeo nell’ospitalità dei profughi e nell’impegno di guardare all’Africa come soluzione e non come fonte del problema. Minniti all’incontro di Tallinn non ha commosso nessuno e vedere l’Africa come una risorsa rimane difficile con una Libia ufficialmente divisa in due governi e centinaia di tribù e milizie, oltre al fatto che la Cina si è radicata proprio negli stati africani da dove proviene gran parte della migrazione.

La Cina ha fatto dell’Africa, in questi ultimi decenni, un suo territorio d’oltre oceano, con gli enormi scambi di dare avere che difficilmente portano del benessere alle popolazioni native che continuano a migrare, anche per la cessione dei terreni più fertili alle compagnie cinesi, oltre ai conflitti per territori e ricchezze.

Tra pacche sulle spalle, tante parole d’incoraggiamento, ma soprattutto risatine di arroccamenti europei e porte chiuse, interviene Emma Bonino affermando che siamo stati noi a offrire i nostri porti, nell’ambito dell’operazione europea Triton, per gli sbarchi, ed ora è complicato disfare quell’accordo.

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Passeggiate romane con Dante e Mikołajewski

La commedia Romana non è una guida ordinaria di Roma, secondo me si dovrebbe considerarla più come un diario, un racconto personale della città, ma anche dell’autore stesso. Jarosław Mikołajeswki, autore già ben conosciuto come scrittore, poeta e traduttore (i suoi libri sono tradotti in varie lingue straniere come italiano, tedesco ebreo e greco). Nella “Commedia Romana” prova a rendere omaggio a Roma raccontando del grande legame tra un uomo e una città.

L’autore stesso confessa, che parlando di una città come Roma anzitutto non si sa neanche da dove iniziare il racconto, quale percorso, quale punto d’inizio scegliere. Ha scelto la Divina Commedia di Dante, perché la stessa Roma, come il suddetto libro, comprende un po’ di tutto: paradiso, purgatorio, ma anche l’inferno. Come Virgilio diviene guida di Dante nella Commedia, Mikołajewski segue le tracce di Pasolini e Caravaggio. Il libro è composto (come quello di Dante) di cento brevi capitoli, dei quali ognuno racconta l’altra storia, tuttavia l’unico tratto comune rimane sempre la città. A volte succede, che il collegamento tra concreti capitoli della Commedia Divina e Romana sembra appena visibile; pero in quei momenti viene in aiuto l’ingegnosità e perspicacia dell’autore, che sempre sa trovare un legame tra soggetti apparentemente diversi.

“La commedia Romana” non è una guida turistica con la lista dei punti “must see”, quindi sicuramente non sarebbe utile per qualcuno che viene a Roma per un weekend e non sente e non vuole sentire il fascino della storia e cultura, che accompagnano la città da secoli. Storia e cultura, ma anche l’arte, la mentalità della gente, buoni e cattivi ricordi, le leggende locali, le strade sconosciute o conosciute troppo bene, le persone quasi dimenticate o troppo famose, tutti questi elementi riuniti costruiscono un mosaico piena di colori ed emozioni che diventa la chiave per scoprire il carattere vero (ovviamente non privo dei difetti) della Città Eterna. Mikołajewski cammina per le strade, si ferma per un attimo o forse più a lungo osservando l’ambiente (à un osservatore attento, ma anche sensibile alla bellezza) spesso stabilendo un dialogo con le persone che fanno la parte del grande mosaico e creando il suo percorso personale, composto da piccoli ricordi.

Non si può dimenticare dell’altro elemento onnipresente- la poesia. La commedia romana, tranne che essere un diario e la guida eccezionale, è anche un’espressione d’amore, l’occasione per ringraziare la città in un modo particolare, affettuoso, comprendente le frasi commoventi, impressionanti, a mio parere sempre caratterizzate della verità.

Il libro è anche un modo di dire “arrivederci”. Mikołajewski, dopo tanti anni passati a Roma, è finalmente tornato a Varsavia e lui stesso dice, che non poteva immaginarsi di lasciare una città come Roma senza scrivere in anticipo.

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Jarosław Mikołajewski

La commedia romana

Presentato il 14 maggio all’Accademia Polacca delle Scienze

Passeggiate romane con Dante e Jarosław Mikołajewski

Rzymska komedia
Autor: Jarosław Mikołajewski
Wydawnictwo: Agora , Listopad 2011
ISBN: 978-83-268-0635-3
Kategorie: proza polska